Dire Dino Buzzati è un po’ come dire Milano.
Sono forti e numerosi, infatti, i legami dell’autore con la città lombarda.
Pur essendo nato a San Pellegrino di Belluno, trascorre, fin da piccolo, lunghi periodi nella città meneghina. Il padre era docente di Diritto Internazionale alla Bocconi e il piccolo Dino si trasferiva spesso durante l’anno nell’abitazione che la famiglia possedeva nel capoluogo lombardo. Studierà al liceo classico Parini, per poi lavorare diversi anni al Corriere Della Sera, come redattore e inviato. Il disegno era una delle sue numerose passioni; il suo quadro più famoso è “Piazza del Duomo di Milano”, nel quale la Cattedrale è raffigurata con le sembianze di una montagna dolomitica (Buzzati era anche un alpinista), circondata da campi e pascoli verdi (il quadro, in forma rivisitata da Tiziano Riverso, è presente nella copertina di “Milano è femmina, un po’ mamma e un po’ puttana”, di Ermanno Accardi e Domenico Megali).
Luoghi milanesi legati a Buzzati:
Via San Marco, 12: prima abitazione di Buzzati (dal 1909 al 1919).
Piazza Castello, 28: la seconda abitazione (dal 1919 al 1929).
Via Donizzetti, 20: terza abitazione (dal 1929 al 1932).
Via Solferino, 28: la sede del Corriere della Sera, in cui Buzzati lavorò per quarantatrè anni)
Viale Majno, 18: quarta abitazione (dal 1932 al 1962).
Via Boito: inaugura la sua prima mostra di pittura.
Giardini di Porta Venezia: incontra la sua futura moglie, Almerina.
Via Amedei, 1: il ristorante preferito di Buzzati, “Alla collina pistoiese”.
Cimitero Monumentale: uno dei luoghi preferiti dell’autore, all’interno del quale faceva lunghe passeggiate. Qui portò Almerina al loro primo appuntamento.
Ma arriviamo al romanzo “Un amore”, che considero uno dei miei preferiti in assoluto, sia per il tema affrontato che per lo stile utilizzato dall’autore.
Nel romanzo, ambientato a Milano, vi è forse la migliore e famosa manifestazione di flusso di coscienza della Letteratura Italiana.
Questi sono i miei appunti di lettura:
• Romanzo ideato nel 1959 e pubblicato da Mondadori nel 1963
• Lo studio dell’architetto Antonio Dorigo è in via Moscova: “…vasto complesso condominiale intersecato da viali-giardino dove potevano parcare le automobili.”
• L’inquinamento in città era già presente: “Era una delle tante giornate grigie di Milano, però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia al di là della quale il sole, forse. Oppure semplicemente caligine uscita dai camini, dagli sfiatatoi delle caldaie a nafta, dalle ciminiere delle raffinerie Coloradi, dai camion ruggenti, dalle fogne, dai cumuli di detriti immondi rovesciati sulle aree fabbricabili della periferia, dalla trachea dei milioni e milioni – erano tanti? – assembrati fra cemento, asfalto e rabbia attorno a lui.”
• Le radioline giapponesi venivano vendute in centro a venticinquemila lire.
• Dorigo di fronte alle donne non si sentiva sé stesso: “La donna era sempre per lui la creatura di un altro mondo, vagamente superiore e indecifrabile.”
• E’ un fumatore incallito.
• Milano lavorava, come sempre: “Lavorava in pieno la città, a quell’ora, sopra sotto e intorno a lui, nella medesima casa uomini come lui lavoravano, e nella casa di fronte lavoravano e nella casa vecchissima di via Foppa che si intravedeva in uno squarcio tra le case, e dietro ancora, nelle case invisibili e più in là, nella caligine, per chilometri e chilometri, lavoravano.”
• La storia del romanzo inizia un martedì, 9 febbraio del 1960.
• La casa chiusa che frequenta Dorigo si trovava vicino a Piazza Missori, in via Velasca.
• Dorigo era un fedele cliente di questo luogo, trovava soddisfazione ad andare a prostitute: “Che cosa meravigliosa la prostituzione […]. Per ventimila lire, anche per meno spesso, avere subito, senza la minima difficoltà e pericolo, delle figliole stupende che nella vita solita, fuori del gioco, sarebbero costate una quantità di tempo, di fatiche, di soldi e poi magari al momento buono capaci di bruciare il paglione.” Io, invece, non andrei a prostitute nemmeno gratis: trovo eccitante essere desiderato da una donna e non che venga con me per soldi o per “farmi un favore”.
• Buzzati “la tocca piano” già dalle prime pagine: “Ed erano tante, queste ragazze, e di così varia origine, educazione e livello sociale che era legittimo pensare la prostituzione fosse un atteggiamento normale di tutte le donne, solo che in certi ambienti, a motivo di una rigorosa disciplina contro natura, questa istintiva propensione fosse coartata e spenta: pronta tuttavia a ridestarsi se i casi della vita avessero offerto una occasione”.
• Ci si può innamorare di una persona che non ci dà nulla in cambio? Non è innamoramento, bensì infatuazione: mancanza di lucidità e scarsa conoscenza (quasi inesistente) dell’altra persona. Dorigo, pur di averla tutta per sé, arrivava anche a immaginare che Laide finisse sotto a un tram con una gamba, in modo tale da non poter fare più la prostituta. Non è “Un Amore”, è quasi bisogno di uno psicologo.
• Il comportamento di Antonio Dorigo peggiora fino a diventare quasi incomprensibile e ingiustificabile: diventa una persona pesante, fastidiosa. Laide, da desiderio non corrisposto, diventa ossessione. Verrebbe voglia di dare due sberle a Dorigo, dicendogli “Svegliati, torna in te.”
• Laide va a stare in affitto a Città Studi.
• Io, una come Laide l’avrei mandata a quel paese in due secondi.
• Groggy: chi non riesce a stare in piedi per la stanchezza. Dal pugilato, chi stordito da un colpo fatica a stare in piedi.
• Alla fine, Dorigo è un coglione. Glielo dice l’ex puttana, amica di Laide. E’ Dorigo il male e si merita di aver sofferto. E’ un borghese che usa le donne. Queste parole escono dalla bocca della donna o è anche quello che pensa l’autore?
• La colpa di essere arrivati in quella situazione “sentimentale” o meglio di coppia, è di entrambi e di nessuno. Questo è forse il punto di forza del romanzo. A mio parere, però la “colpa” principale è esclusivamente di Dorigo. E secondo voi?
Alberto Fumagalli (scrittore milanese)