Renato, vecchio partigiano e Medaglia d’Oro al Valore della resistenza, sua figlia Aurora, ex terrorista, Manuel, giovane teppista di destra sono i tre protagonisti di FARA’ GIORNO, commedia di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, in scena da ieri sera e fino a domenica prossima, 2 marzo, al Teatro Franco Parenti, che lo ha prodotto, nell’ambito della rassegna “La Grande Età, insieme”. Una commedia sì, ma dolceamara, potremmo dire, perché non mancano momenti di autentica commozione accanto alle grandi emozioni, quelle dei sentimenti più veri, nascosti ma mai sopiti che colgono e avvolgono i tre personaggi in maniera fulminea, inaspettata in un momento della loro vita in cui forse non avrebbero più creduto in un futuro così prossimo e così ricco di prospettive. Il testo è ambientato nel 2007 e questo allestimento reca la firma di Piero Maccarinelli come l’edizione del 2013 nella quale l’intensa e arguta interpretazione di Gianrico Tedeschi in questa stessa sala conferì al ruolo di Renato un’aura di grande prova attorale. Ma Vittorio Franceschi, classe 1936, attore di lungo corso nonché drammaturgo, regista e poeta, non gli è da meno nel tratteggiare una psicologia intatta nella difesa del suo coraggioso passato alimentato e nutrito da valori e principi e il suo sguardo malinconico ma integro su un presente opaco e sgualcito reso ancora più pesante dai rumori e dal caos della città tutto intorno che di quando in quando irrompono nel silenzio della sua dignitosa dimora accompagnati dalle musiche di Antonio Di Pofi. E se è vero che nulla accade per caso, a inondare la stanza – una scenografia di Paola Comencini solo apparentemente minimalista completata da elementi d’antan illuminati dalle luci di Francesco Traverso – della vita di Renato è un incidente quando Manuel (Alberto Onofrietti), delinquentello di periferia, in una manovra errata uscendo dal garage condominiale, investe con la sua auto Renato e per evitare una denuncia gli prospetta un periodo di assistenza domiciliare. Qui ha inizio la frequentazione fra i due o meglio l’incontro/scontro di due tifoserie, verrebbe da dire, se si potesse applicare al linguaggio e alla gestualità dei due personaggi i colori e le metafore di due appassionati di calcio ma paladini di due squadre diverse. Qui l’ardore si fa ancora più vibrante: all’orgoglio esibito da entrambi si contrappone un passato troppo lungo per Roberto, troppo breve per Manuel, diametralmente opposto che si scontra inevitabilmente con due diverse visioni della vita e del senso della Storia. L’incontro, che diventa una frequentazione e in seguito una convivenza fra i due, si snoda in una sfida senza esclusione di colpi ma a poco a poco emergerà da parte di entrambi una comune ricerca di verità, di un rapporto sincero nel quale entrambi riusciranno a rivelare l’un l’altro fragilità e paure, a superare le rispettive diffidenze. Manuel si prende sempre più cura di Renato, che nell’incidente aveva riportato la frattura di una gamba, e la costruzione del loro rapporto procede lentamente anche se a fatica. Nel corso di questa convivenza forzata i due impareranno a conoscersi: Manuel, che non nasconde simpatie nazifasciste e la sua scarsa propensione per la lettura, ascolterà attento anche se scettico quanto Roberto gli saprà trasmettere della sua viva fede negli ideali di libertà e di democrazia e lo avvicinerà ai testi cardine della convivenza civile. E i due si sentiranno accomunati da una profonda anche se sottile vena di malinconia. La disperazione sopraggiunge quando muore la speranza, confessa Roberto, quando ormai anziani, si nutrono solo rimpianti, che diventano ancor più dolorosi della disperazione. E se invece la speranza fosse svanita perché uno è già morto dentro da giovane? gli fa eco Manuel. La convivenza da forzata si sta tramutando a poco a poco in una lezione di vita: cadono le barriere ideologiche e nasce un’amicizia. La vita di Manuel, al di là delle pareti domestiche di Renato, si svolge su una linea di confine fra mancanza di prospettiva e piccola delinquenza. Roberto saprà uscire dalla propria solitudine raccontando al ragazzo com’era stata la sua giovinezza durante la guerra e cosa aveva significato per lui la scelta della lotta partigiana dopo la morte del figlio e della moglie. All’improvviso irrompe nelle loro vite l’inaspettato ritorno di Aurora Giovanna Bozzolo), la figlia di Renato. Rientrata dall’Africa dove lavorava come medico in una struttura assistenziale che aveva dovuto abbandonare, si riavvicina ora a un padre anziano e malato. Aurora si è riscattata da una giovinezza da terrorista, che all’epoca le sembrava l’unico percorso di vita praticabile, imponendosi un imperativo morale, diventare medico dopo aver scontato la pena, per permettere a sé stessa di perdonarsi. Ora sarà lei a prendersi cura del padre. Manuel, che si offre come volontario in un campo nomadi, si ritroverà coinvolto in un incendio. Costituitosi, dovrà scontare due mesi di custodia cautelare occupandosi della biblioteca del carcere. Roberto in un dolcissimo abbraccio alla figlia, che era stata lontana da casa per trent’anni, riuscirà a confessarle che durante le terribili notti della guerra si ripeteva spesso “Farà giorno” e che se un giorno avesse avuto una figlia l’avrebbe chiamata Aurora. Nulla è perduto: Roberto non vedrà più i giorni a venire, ma altre albe e altri tramonti attendono Manuel e Aurora. Imperdibile questo spettacolo, se dopo nove messinscene è ancora capace di commuovere e di emozionare un pubblico che ne decreta il rinnovato successo con calorosi applausi dopo 105 minuti ininterrotti di rappresentazione.
Elisabetta Dente