Nel corso del tempo, noi milanesi (nativi e adottivi) ci siamo costruiti una fama, tra le tante: quella di abitare nella “città delle città”, perlomeno nel nostro Paese. Milano è la città industriale per eccellenza, quella che sostiene e fa girare l’economia nazionale e anche una grossa fetta di quella europea. Ovvio che poi sia diventata anche la città multietnica per antonomasia. Filippini, peruviani, ecuadoriani, cinesi, arabi, africani. Sono questi i nuovi milanesi che abitano la mia città, più o meno con diritto di cittadinanza. Vi risparmio i numeri perché sono noiosi e anche perché le presenze sono in continuo aumento (nonostante la crisi siamo pur sempre la città più gettonata). Diciamo che all’incirca il 20 per cento della popolazione cittadina è rappresentato dagli “altri”; siamo già arrivati alla terza, forse alla quarta generazione di stranieri nati a Milano, un esempio lampante di come l’integrazione tra forestieri e nativi funzioni piuttosto bene, a parte le immancabili eccezioni. Giovani che sono una risorsa importantissima perché sono i mediatori naturali e ideali con le loro specifiche comunità e perché vivono una condizione di doppia appartenenza.
Fra questi, c’è il mio caro amico Sharl Said, 32 anni, egiziano, un sorriso e un calore travolgenti, proprietario del ristorante-pizzeria “Charlie”, in via General Govone, angolo via Principe Eugenio. Lui è arrivato in Italia giovanissimo, a 14 anni, nel 2001, tre anni dopo la partenza carica di speranze di suo padre per il nostro Paese. “Sì, Papà è partito per primo, poi l’ho raggiunto con Mamma e le mie due sorelle”, racconta Sharl. “Prima abbiamo lavorato tutti come dipendenti presso altri locali; poi, cinque anni fa, abbiamo aperto finalmente il nostro ristorante”. L’impatto di Sharl e della sua famiglia con la nuova realtà non è stato particolarmente traumatico, anzi. “Ci siamo trovati subito molto bene e siamo stati accolti con grande umanità”, conferma. “Essendo cristiani-copti, non abbiamo avuto nemmeno problemi legati a grandi differenze di credo religioso. Però per molti miei connazionali è stata dura; la diffidenza era forte, anche se in un certo senso è normale, siamo diversi. Dopo molto tempo, tanta fatica e non so quanti sorrisi alla fine si riesce a farsi accettare e a far capire alla gente di essere delle brave persone e che certamente c’erano anche i delinquenti e quelli che non avevano voglia di lavorare e di rispettare le leggi e le regole, ma che non si poteva generalizzare. Oggi, invece, io personalmente non ci capisco più nulla. Siamo in troppi, c’è troppo casino, si fa confusione e la gente o si stufa e diventa cattiva oppure accetta tutto, senza dire niente”.
Da quando Sharl è arrivato a Milano molte cose sono cambiate e come tutti i cambiamenti hanno determinato aspetti positivi e purtroppo anche negativi. “E’ vero, la città è cambiata, ma complessivamente in meglio”, dice il giovane ristoratore. “Certo, come dicevo prima l’immigrazione oggi è incontrollata e crea molti problemi di sicurezza. Però, nonostante questa situazione difficile e delicata, Milano resta di gran lunga il luogo migliore dove vivere e lavorare, non solo rispetto ad altre città italiane, ma anche nei confronti di altre metropoli straniere. E poi la nostra zona, caro Ermanno, è proprio bella, una delle migliori di tutta la città, molto servita e ricca di attività commerciali. Mi auguro che cresca ancora di più, che aprano nuovi negozi e che costruiscano nuove abitazioni. Io e la mia famiglia siamo proprio felici di vivere qui”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)