Tipico dialogo fra colleghi di un’azienda con sedi a Roma e Milano:
il romano: “vabbene, se vedemo domattina”.
il milanese: “a che ora?”.
il romano: “domattina”.
il milanese: “sì, ma domattina quando?”.
Il dialogo potrebbe continuare all’infinito.
Ecco, la prima cosa che salta all’occhio fra milanesi e romani è la diversissima concezione del tempo.
In questo caso, la faccia puritana del milanese emerge in tutta la sua potenza: il tempo è denaro, e il denaro è la gloria di Dio su di noi.
Per il romano, invece, abitante della città Eterna, il tempo è – appunto – Eternità, quindi non c’è un passato, non c’è un futuro, e la misurazione del tempo viene a essere un’azione priva di senso, davanti all’Eternità.
Poi in realtà ho conosciuto romani che l’orologio lo guardavano eccome, ma rimane questa idea: per i romani il tempo non esiste, se non il presente, inteso come attimo che si dilata fra un passato che non esiste e un futuro che esiste ancora di meno, perché tutto si annega nell’Eternità.
Così, mentre il romano si gode la vita con un sano principio di “qui e ora”, il milanese vede il godimento presente come frutto del lavoro svolto nel passato e come incitamento al godimento futuro, come frutto del lavoro futuro che però sarà diventato passato quando sarà il momento, nel futuro, di godersela ancora.
Poi ha voglia il milanese a prendersela con Roma per la spesa pubblica improduttiva, per la burocrazia, per i mezzi pubblici che non arrivano.
Questo, alla fine, divide Roma da Milano: la diversa concezione del tempo.
Questo i romani lo sanno bene; infatti, assistono alle nostre vite concitate con un sorriso un po’ compassionevole, come gli dei dell’Olimpo, che consapevoli della loro Eternità assistevano agli struggimenti terreni degli antichi greci…
Marco Lombardi (giornalista e scrittore)