Sarà “milanesaggine”, ma mi piace… Forse come tutto ciò che ci riporta ai ricordi dell’infanzia, dove guardavamo le cose con occhi diversi, dove il tempo era solo uno spazio da riempire di emozioni e fantasia. E non ci importava di arrivare in “ritardo”… o che fosse “pericoloso”, due parole che per i bambini non hanno molto significato.
E poi da ottobre a marzo a Milano la nebbia c’era sempre… Andare a scuola voleva dire farsi avvolgere dalla nebbia.
Era ancora buio quando si usciva dalla portineria e la strada non si vedeva in quel buio azzurrino e opaco che avvolgeva ogni cosa. A memoria, guidati da uno dei profumi più buoni del mondo, quello del pane appena sfornato, ci si infilava nella panetteria al di là della strada e si consumava il magnifico rito quotidiano: l’acquisto della focaccia per la merenda.
” Il resto in caramelle all’anice, per piacere… ”
Mi facevano impazzire, bellissime, avvolte ognuna in quella carta bianca e lucida con le scritte blu in corsivo inglese. In fondo, a sei sette anni ero già molto io, affascinata dalla Semplicità e dall’eleganza… La signora, mi sorrideva, e me ne dava quattro o cinque, sempre; anche se il resto non c’era.
“Buona scuola, Occhioni Belli!” mi salutava e io me ne andavo col mio tesoro che non diminuiva di valore, anzi aumentava, per il fatto di essere una certezza quotidiana, come la nebbia. Anche in questo i bambini sono stupendamente unici…
Mia sorella, intanto, dal silenzio più assoluto in cui era stata da quando avevamo varcato la porta di casa, a quel punto aveva cominciato a piangere. I lacrimoni scendevano lenti e silenziosi su quel faccino rosso di freddo. La sua manina, cominciava a sfuggire dalla mia, con la frizione scivolosa e strana dei nostri guantini di lana blu. A lei la scuola non piaceva proprio, come tutto ciò che la separava da casa e dalla mamma. Ma la Tata ( le “baby-sitter” non c’erano ancora…) teneva forte l’altra sua manina recalcitrante e cominciava a recitare col suo accento veneto la paziente litania rassicurante, che in realtà aveva solo l’effetto di trasformare in singhiozzi le lacrime silenti.
Il passo rallentava troppo per i miei gusti, mi staccavo dal gruppo e mi avviavo saltellando nel mio cappottino carta da zucchero con le tasche e il colletto di velluto blu (anche i piumini non c’erano ancora, credo… per lo meno a casa mia…), una tasca gonfia di caramelle all’anice, astuccio e quaderni che sbatacchiavano ad ogni saltello nella cartella sulle mie spalle, con un rumore particolare che mi ricordo perfettamente, mentre nel bianco della nebbia, fingevo di essere in alto nel cielo e di svolazzare dentro una nuvola…
Elena Mosca