Ci siamo incontrati qualche giorno fa, in occasione di un’intervista che gli ho rilasciato per il suo canale YouTube. E a margine di quella chiacchierata abbiamo parlato a 360 gradi della città di cui siamo entrambi figli adottivi, ripromettendoci di continuare il discorso qui, su queste pagine. Tra me e Paolo Mansolillo è nata una simpatia spontanea, come spesso sanno essere spontanei gli uomini del Sud, comunicando con una cordialità quasi studentesca, quando individuano alcuni punti di contatto nel loro pensiero. Foggiano, 48 anni, una laurea in Scienze Politiche conseguita all’Università Statale, Mansolillo è da sempre un grande cultore della fotografia. Si è formato con l’aiuto di vari professionisti dell’immagine, interessandosi all’inizio di paesaggi, sport e natura, per poi arrivare alla sua vera passione, la moda. Oggi guarda con ambizione al proprio futuro, lavora a diversi progetti, pubblica servizi fotografici su diverse riviste internazionali e si sta formando nelle tecniche di realizzazione video per la cura e lo sviluppo, appunto, del suo canale YouTube. Senza dimenticare l’impegno nell’editoria, curando alcune pubblicazioni di carattere storico e fotografico. “Sì, ho sempre avuto una forte passione per la fotografia e appartengo a quella generazione a cavallo tra la analogica e la digitale”, esordisce. “Non ho mai sviluppato una pellicola in camera oscura, ma da ragazzino, nella mia città natale, acquistavo quelle macchine fotografiche usa e getta a rullino che permettevano di realizzare un numero di scatti proporzionato alla capacità, appunto, del rullino al suo interno. Una volta esaurito quel numero portavo tutto nei negozi di fotografia, che un tempo si trovavano in molti angoli delle città, dove sviluppavano quello che avevi prodotto. Provengo da una famiglia umile, ma con tanta dignità”, pro-segue. “Sono il secondo di cinque figli e a casa si facevano i salti mortali per condurre una vita normale, non c’era spazio per il superfluo. Questo mi faceva vivere la mia passione con molto distacco, la vedevo come qualcosa d’élite, per ricchi. Nel 2010, quando avevo 32 anni, mi venne regalata la mia prima macchina fotografica, era una Nikon Coolpix, una di quelle macchine compatte che andavano tanto di moda, e a me sembrava un autentico tesoro. Nel 2013, però, mio fratello Gabriele mi regalò la mia prima reflex; da lì, ho iniziato seriamente a scattare e studiare fotografia. La parte video, poi, è stata una conseguenza naturale dell’immagine fissa. Ad un certo punto, ho capito che dovevo aumentare la mia offerta, andandomi a formare anche in questo specifico settore. Alcuni contenuti di altri youtuber che seguo sono stati fondamentali per la mia crescita personale e per migliorare l’offerta qualitativa dei miei contenuti. Mi hanno permesso di capire che quello della community (e non il mio) poteva diventare uno spazio dove parlare del bello e di cultura in modo fresco, senza annoiare il pubblico”.
Secondo te, Milano è una città da fotografare e filmare? E non intendo soltanto dal punto di vista artistico e architettonico…
“Milano è una città meravigliosa, come l’hai definita tu, sotto molti punti di vista, e la fotografia è una di queste. Ho scattato street photography (ma non solo), la utilizzo spesso come set per i miei editoriali di moda. Insomma, è un set a cielo aperto. E mi piacerebbe ambientare uno dei miei primi documentari proprio qui”.
“Possiamo definire Milano veramente una città dal respiro internazionale? Oppure ci sono ancora resistenze (diciamo così) di carattere culturale?
“Paragonata alle altre grandi città italiane, la risposta è decisamente affermativa. Cosa ben diversa, invece, quando il paragone è con le altre big d’Europa. Diciamola così: negli ultimi 15 anni, Milano ha inserito la sesta marcia per colmare il gap con le altre, che in passato era davvero impietoso”.
Dall’Expo in poi (pandemia a parte) la nostra città è oggettivamente cambiata: è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, a mio avviso, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche la crisi economica che continua a mordere risulta schiacciato verso il basso. Che ne pensi?
“Expo è stato un volano per Milano e tutto il suo hinterland. Il livello di internazionalizzazione sembrava aver raggiunto un ottimo livello di crescita. Devo dire che la crisi economica e in modo particolare il Covid hanno in parte tagliato le ali a questo volo che la città stava spiccando. C’è un grosso problema sociale, soprattutto tra i giovani. Mi permetto di suggerire una ricerca che coinvolga i migliori professionisti tra sociologi, antropologi e psicologi, per capire meglio cosa possa essere scattato nella testa di molti, soprattutto dei più fragili”.
È opinione diffusa, però, che Milano sia la città ideale, oggi, non solo per gli studenti universitari, ma anche per le persone di età compresa fra i trenta e i cinquant’anni, possibilmente single. Qual è la tua opinione?
“Milano è sempre stata idealizzata come la città, in Italia, delle grandi opportunità. Quel tipo di lungo respiro, di cui ti parlavo prima, ha reso questa città nell’immaginario collettivo e in modo particolare per quella fascia d’età la città ideale. Per essere ottimista, mi piacerebbe che si potesse riprendere a marciare spediti verso un modello europeo, per esempio nello stile della fantastica Oslo”.
Parlando ancora di città internazionale: tu sei di fede calcistica interista (a proposito: complimenti per la vittoria dello scudetto). Quando nasce il tuo amore per i colori nerazzurri?
“Sì, questo nuovo successo in campionato è stato fantastico. Per la fede calcistica devo ringraziare mio padre. Mi ricordo di reunion con gli amici, per vedere le partite dell’Inter in coppa. Papà mi portava sempre con lui (ero l’unico bambino), è da lì che ho forgiato la mia fede per i colori nerazzurri. Voglio citare una frase famosa di un coro: “Te l’ho promesso da bambino, per sempre ti starò vicino”…
Vedere una squadra che non è più nelle mani di un presidente italiano (e soprattutto milanese) che effetto ti fa?
“Nessuno. L’importante è che faccia il bene dell’Inter. Noi interisti siamo fratelli del mondo”.
Torni ancora in Puglia? E com’è oggi Milano vista dalla regione in cui sei nato?
“Pochissime volte. La mia vita ormai è qui e preferisco che siano i miei genitori a venire a trovarmi. Per un pugliese, Milano è la città della realizzazione, dove se ti dai da fare puoi raggiungere i tuoi obiettivi”.
Gironzolando per le strade di Milano che opinione ti sei fatto (se te la sei fatta) del fenomeno dell’immigrazione in questa città? Intendo, ovviamente, l’immigrazione d’oltreconfine, molto diversa da quella interna del secondo dopoguerra. Fra l’altro (non so se lo sai), la comunità più numerosa di migranti italiani, qui, è proprio quella pugliese…
“Credo molto nella mescolanza e nella contaminazione, sono valori forti di crescita e di progresso. Ho notato, però, che qualcosa si è inceppato. Dobbiamo sforzarci per offrire maggiori servizi di integrazione e non permettere che si creino ghetti, dove l’inclusione e l’integrazione vengano viste come un problema”.
In conclusione, Paolo: come immagini (se la immagini) la Milano del futuro? Sarà ancora una città da fotografare e filmare?
“Sono ottimista di natura. Credo che nonostante le difficoltà degli ultimi anni, Milano saprà tornare a volare e chissà che le Olimpiadi del 2026 non possano fare da volano ad un nuovo slancio. Mi aspetto dal futuro una città che sappia scommettere su di sé, come ha sempre fatto, che possa guardare alle sfide del futuro in maniera lungimirante e senza chiudersi nella conservazione. Ti faccio un esempio: mi piacerebbe che l’Inter potesse avere una casa moderna qui, in città, allo stesso livello delle grandi squadre d’Europa, facendola diventare un’occasione per riqualificare un quartiere come quello di San Siro. In bocca al lupo, Milano. Sei meravigliosa”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)