“Penso che un sogno…”. Ma qual era il sogno di Mimmo come lo chiamavano gli amici e in famiglia, soprattutto il papà – perché questo è il dialogo costante e ininterrotto fra un figlio e un padre – quello che poi diventerà il Mimmo nazionale, fin da ragazzo? “Volevo fare l’attore”, dichiarerà in tutte le interviste una volta diventato famoso. E forse davvero Mimmo, dotato di così tanti talenti come dimostrerà anche in veste di sceneggiatore e di regista, non pensò mai che con quella sua voce così venata di infinite sfumature, una materia prima preziosissima, tutta da plasmare, da incanalare, avrebbe potuto diventare un cantante di grande successo, richiestissimo e apprezzato in tutto il mondo. Il dialogo, che inizia fin da bambino, è il tessuto attorno al quale Mario Perrotta, già affermato attore e regista teatrale nonché autore di numerosi testi dal forte impatto civile, sullo sfondo dell’Italia del secondo dopoguerra costruisce e narra la vicenda umana e artistica di Domenico Modugno, dalla formulazione del sogno nella natia Polignano a Mare fino alla consacrazione ufficiale con la vittoria al Festival di Sanremo del 1958 con la canzone Nel blu dipinto di blu, di cui era autore – primo cantautore a partecipare alla manifestazione canora -, nello spettacolo NEL BLU, avere tra le braccia tanta felicità, visto al Teatro Franco Parenti e in scena al Teatro Inzino di Gardone Val Trompia (Brescia) il 27 marzo. Nella figura del padre, che incoraggerà Mimmo per tutta la vita ma che al tempo stesso lo metterà sempre in guardia dalla fatica e dall’insuccesso, Mimì – così era chiamato in famiglia da piccolo – vede se stesso come riflesso in uno specchio. Vuole aprirsi un varco nella vita, abbattere i confini della sua terra pur se amatissima, come testimonierà nella canzone Amara terra mia del 1971, e per la lingua locale, il salentino, dalla quale non si separerà mai e che anzi contribuirà in gran parte al suo successo per la sua somiglianza con il siciliano e nel quale scriverà le sue prime canzoni. Mimmo parte. Negli occhi e nel cuore porterà la luce tagliata dal vento, il mare irripetibile di Polignano. Forse la felicità lo aspetta, forse è dietro l’angolo, certo un angolo irto di ostacoli, la valigia di cartone per il viaggio verso il Nord, Torino, i primi lavori come cameriere e apprendista gommista nella grande città alloggiando in una baracca in affitto. Ma la sua conoscenza della chitarra, che ha imparato a suonare da ragazzo da un calzolaio, e della fisarmonica, lo aiuteranno a entrare nel mondo della musica, grazie anche alla sua bella voce e alla sua avvenenza. Mario Perrotta canta, con una voce in alcuni tratti somigliantissima all’originale, accompagnato dai musicisti dell’Ensemble Vanni Crociani, Giuseppe Franchellucci e Massimo Marches. “Io voglio cantare la felicità – dichiarerà dopo i primi successi -. Anche se non esiste, mi voglio illudere che esista, devo credere che esista”. E lo afferma allargando le braccia come faceva da ragazzo, per farsi notare, certo, ma anche per abbracciare tutto il mondo, quel mondo che dopo il successo di Sanremo lo conoscerà come Mr. Volare, o come quando interpreta, abbracciando tutto l’amore che lo pervade, Dio, come ti amo, la sua quarta vittoria al Festival di Sanremo del 1966. A Roma -. che spettacolo! – vince un concorso per attori dilettanti che gli permette di iscriversi alla scuola per attori del Centro sperimentale di Cinematografia dove conquisterà una borsa di studio da 50mila lire al mese e dove conosce una giovane aspirante attrice siciliana, Franca Gandolfi, che poi diventerà sua moglie, ma soprattutto dove comincia a esibirsi al Circolo Artistico di Via Margutta cantando, oltre alle sue prime composizioni in salentino, anche brani popolari. Nel frattempo entra anche nel mondo del cinema dapprima come comparsa e poi via via in ruoli sempre di maggior spessore. Mimmo è disinvolto, padrone della scena e lo esemplifica senza esitazione Mario Perrotta quando si esibisce davanti al microfono ad asta e, meglio ancora, quando, microfono alla mano, fa suo percorrendolo, l’intero palcoscenico. Le luci ad arte baciano ora i singoli musicisti ora Perrotta. Parallelamente alle prime scritture nella settima arte, Modugno continua la sua attività come musicista, e rumorista, alla radio dove sarà sua nel 1953, accanto a Franca, la conduzione sul secondo programma di Amuri… amuri…, trasmissione nella quale canterà una canzone nuova a ogni puntata. Ma con Franca ci saranno anche momenti difficili e per farsi perdonare Modugno comporrà per lei Musetto nel 1955 e altri di gioia, vedi Meraviglioso del 1968. Grazie al contratto con la RCA italiana nel 1953 Modugno inciderà i suoi primi dischi a 78 e a 45 giri in dialetto salentino e siciliano ispirandosi al folklore di quelle due regioni. Protagonisti dei suoi testi sono infatti minatori e pescatori, ma anche animali come cavalli e pescispada. Sua ispirazione sono sempre state la musica, le parole, l’amore, grazie ai quali saprà creare nel panorama musicale italiano “l’inesistente”. E il successo arriverà anche sulle scene, in Tv, al cinema. Modugno si rivelerà ben presto un artista a tutto tondo e quel sogno tinto di blu Perrotta lo accenna appena “Penso che un sogno…” mentre tutta la platea plaudente inizia a cantare Volare. Ottima prova per Mario Perrotta, che dello spettacolo firma anche la regia e di cui è produttore con la Permar Compagnia Mario Perrotta e con Emilia Romagna Teatro Ert.
Elisabetta Dente