La prima volta che mio padre vide la nebbia era l’inverno del 1963. Alla guida della sua Fiat 1300 grigia era andato a trovare un amico, un altro siciliano immigrato a Milano, che abitava dalle parti di San Siro. C’era ancora la luce del giorno e la coltre non era fitta, anche se già si notavano le prime avvisaglie. Alle sei di sera, quando riprese la via di casa (abitavamo in via Settembrini, zona Stazione Centrale), non si vedeva più nulla. Fece fatica a trovare la macchina parcheggiata. Poi si avviò, senza sapere dove andare, visto che il muro di nebbia era impenetrabile. Vago’ per un po’ a dieci all’ora, con la faccia incollata al parabrezza. Ad un certo punto intravide le sagome di altre vetture, verdi e nere, ferme in fila: si trovava nei pressi di un parcheggio di taxi. Allora accostò, scese dalla macchina e si avvicinò al finestrino della prima auto pubblica. Il tassista lo salutò e lo invito a salire, ma papà lo sorprese dicendogli: “Buonasera a lei. Mi sono perso nella nebbia con la mia auto. Sa, io sono siciliano e dalle nostre parti questo fenomeno sappiamo a malapena che esiste. Può scortarmi fino a casa? Io la seguirò, ma non vada troppo forte perché se la perdo non potrò pagarle la corsa”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)