Oggi è una giornata di pioggia. Pioggia di quella pesante, quella pioggia che ti fa pensare. Quella pioggia che ti consola, perché lava via tutto. Come diceva Woody Allen, la pioggia lava via le memorie dai marciapiedi della vita.
E allora dovremmo abbandonarci, accettare la pioggia come un dono catartico, che ci rinnova perché ci impone di fermarci a riflettere.
Invece a Milano? La gente corre ancora di più. Cacofonia di clacson, urla, gente che si accalca nelle metro e sui treni del Passante. Stamattina ho visto gente che si affannava a fotografare con lo smartphone i tabelloni che segnalavano i ritardi dei treni.
Gente che voleva avere la foto da mostrare al datore di lavoro, per giustificare il ritardo, per evitare la sfuriata di qualche nuovo “Cumenda”…
Certo, anch’io ho fatto la mia foto, più che altro per condividere con i miei colleghi su WhatsApp la sventura, ma stamattina c’era gente davvero preoccupata e in ansia…
Ecco cara Milano, anche se ti voglio bene, sono questi i momenti in cui mi fai incazzare, perché la vita del milanese è ancora quella del romanzo “La vita agra” di Bianciardi. Le torme di impiegati che transumano ogni santo giorno, avanti e indietro, come se il mondo fosse rimasto agli anni Sessanta. Niente lavoro in remoto, niente smart working, niente obiettivi da raggiungere, ma ancora cartellini da timbrare, schede di entrate e uscita, permessi e ritardi, saldi positivi e negativi.
E ogni maledetta giornata lavorativa piovosa, code, ingorghi, treni in ritardo, pranzi frettolosi ingollati in un bar, insalatine squallide condite nella ciotola di plastica, che poi verrà bruciata in qualche deposito rifiuti, insieme ad altre tonnellate di plastica. E tonnellate di petrolio bruciate dai motori accesi, fermi ai semafori, in coda. E ore e ore di vita delle persone sprecate.
Con i rincasamenti nel tardissimo pomeriggio, stanchi, arrabbiati e bagnati.
Seattle, città dove piove 300 giorni all’anno, è diventata la capitale dell’informatica, quindi lavoro per tanti, anche in remoto.
Milano, invece, no. A Milano la gente corre ancora sue giù, come ai tempi delle acciaierie. Come negli anni Sessanta, anche se siamo nel 2018.
Milano, ti voglio bene, ma quanto mi fai incazzare a volte…
Marco Lombardi (giornalista e scrittore)