E’ figlio di una terra tenace, operosa, orgogliosa, appartata, quasi defilata, rispetto alle grandi linee di comunicazione. Eppure lui della comunicazione si è sempre servito per portare al di là dei confini regionali la sua grande passione per la Storia e la Letteratura. Mauro Tonino, sessant’anni, friulano di Udine, un passato da sindacalista e un presente da esperto funzionario pubblico della sua regione, è uno scrittore fertile e un instancabile animatore di attività culturali. A Milano cala non di rado, per ragioni personali ed interessi professionali, onorandomi della sua amicizia. E proprio nella nostra città, davanti a un buon caffè di uno storico locale del centro cittadino, abbiamo chiacchierato amabilmente del suo nuovo libro, “Il sistema periferico” (scritto insieme al giornalista Giuseppe Liani e al docente Bruno Tellia e riguardante l’attuale martoriata e tormentata Unione europea) e della nostra “Milano vicino all’Europa”, come cantava già parecchi anni fa Lucio Dalla. “La motivazione che ha portato me e i miei due colleghi di scrittura ad affrontare la spinosa questione dell’Unione è che rispetto alla visione nobile dell’Europa che noi tutti abbiamo (e che sostanzialmente corrisponde a quella dei padri fondatori, De Gasperi, Adenauer, Spaak) la situazione oggi è completamente diversa e di quello spirito se ne è persa ogni traccia”, esordisce Mauro Tonino. “Sprechi, omologazione e imposizioni ne caratterizzano spesso l’azione; il caso Grecia è emblematico, come la politica sui migranti o l’azione della Francia in Libia, dove c’è poco di solidale, ma molto d’interesse. Le fonti che abbiamo citato sono le analisi della Corte dei Conti Europea e la stampa non sovranista, nonché le attente valutazioni di diversi premi Nobel dell’Economia sulle scelte, appunto, politico-economiche operate dalla Commissione. Oggi abbiamo un’Unione a trazione franco–tedesca e questo non va bene. Francia e Germania, da sempre, privilegiano gli interessi nazionali e non si capisce perché non dovrebbe farlo anche l’Italia. Osserviamo pure un dibattito sterile, tra europeisti a prescindere e sovranisti, quasi uno scontro tra tifoserie, dove manca un confronto e un’analisi seria. Al riguardo ritengo si debba come sempre guardare ai fatti, che confermano la malattia dell’Unione. Continuare a fare finta di niente non permette di approntare le adeguate cure per riportarla allo spirito originario. Questo, almeno, è quanto sosteniamo, oltre ad invitare il nostro Paese ad esercitare in Europa un ruolo non subalterno”.
E’ opinione diffusa che Milano sia l’unica città italiana davvero europea. Tu che ne pensi?
“Condivido. Milano è la città italiana più internazionale, trovo che sia la sua vocazione naturale ed è un fatto che ci rende tutti noi meno provinciali (permettimi la battuta). Qui si respira un’aria diversa, vuoi per le contaminazioni, vuoi per l’apertura oltre le Alpi. Milano ci porta a fare riflessioni alte, a guardare e interfacciarci con New York, Pechino, Mosca, Tokio e di questo ne beneficiano tutti, non solo i milanesi. Insomma, per tornare al discorso sull’Unione Europea, questa città può tranquillamente dialogare alla pari e senza riverenza con Berlino e Parigi”.
Frequenti Milano ormai da molto tempo. Com’è cambiata e come sta cambiando, secondo te?
“La vecchia Milano, quella cantata da Jannacci e Gaber e rappresentata al Derby Club non c’è più, come altre espressioni che caratterizzavano la città. Un fenomeno, questo, comune a molte metropoli, ma rispetto ad altre città, ad esempio Roma e Firenze, Milano è più dinamica. Credo che saprà adattarsi velocemente ai cambiamenti, soprattutto se la dirigenza politica lombarda saprà assecondarla e non porvi vincoli o freni”.
Il mondo dell’editoria è un osservatorio privilegiato sulla città. Ma è davvero privilegiato, questo osservatorio? Qual è a tuo avviso la situazione, a Milano, riguardo a questo ambito professionale? E quali contributi ha portato, secondo te (se lo ha portato) lo sviluppo dei social network?
“Dovrebbe essere un osservatorio privilegiato, in passato lo è stato ed è stato pure l’humus sul quale si sviluppava la cultura. Oggi però non mi pare che sia così. Non vorrei apparire nostalgico, ma le grandi penne del passato sono naturalmente scomparse e sinceramente non ne vedo di brillanti all’orizzonte. L’aver sostituito nelle proprietà di media e stampa l’editore puro con i finanzieri ha fatto il resto. Per quanto riguarda i social network (come del resto internet, complessivamente), penso che abbiano apportato un nuovo modo, più positivo che negativo, di approcciare alla comunicazione e all’informazione. Questo ha messo un po’ in crisi l’editoria, forse poco incline al cambiamento, ma molto attenta agli umori e agli interessi della proprietà. Era inevitabile, pertanto, la sua decadenza”.
Milano ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Pensi che sia in grado, anche oggi, di interpretare questo ruolo? Oppure è stata “colonizzata”, nel senso che questo interesse esterno ha prodotto investimenti economici e finanziari che hanno portato imprenditori, finanzieri e banchieri ad impadronirsene?
“Non credo che sia stata colonizzata perché finanzieri, banchieri e grandi imprenditori, salvo rare eccezioni, di solito sono più interessati ai “danè” immediati, piuttosto che ad interventi urbanistici e strutturali in una città, rimodellarne l’aspetto e la missione. Milano ha svolto un ruolo importante in passato e credo che sarà in grado di esercitarlo anche in futuro, ma serve pensare in grande, avere un sogno e un progetto. Vedo gli interventi urbanistici realizzati in molte importanti città europee, cose delle quali necessiterebbe anche Milano, quindi l’amministrazione comunale non dovrebbe limitarsi alla seppur doverosa e manageriale gestione ordinaria del bilancio comunale, ma mettere in campo un’idea, quella della Milano del terzo millennio”.
A proposito della Milano europea e multiculturale: che opinione hai del fenomeno dell’immigrazione qui?
“Quella di chi passeggia per la città, magari in certe vie, diciamo così, “etniche”, di chi arriva alla stazione di sera. Negli ultimi anni ho visto una maggiore presenza di quelli che a seconda dei casi e dell’appartenenza politica vengono chiamati migranti, clandestini, rifugiati oppure ospiti. La sensazione è che questo fenomeno sia diretto da qualcuno, ma non governato o limitato e qualora in futuro non lo fosse il rischio di seri problemi sociali e di sicurezza sarà altissimo, anche perché l’esperienza francese dovrebbe insegnare qualcosa. Gli italiani non sono mai stati razzisti (vedi la migrazione da Sud a Nord, della quale Milano ne è stata protagonista) ma se la classe politica non darà risposte inevitabilmente si creeranno tensioni. Peraltro questo è un problema purtroppo diffuso in tante città italiane”.
Altre due domande per concludere, Mauro: hai in cantiere a breve un nuovo libro? E come vedi il futuro di Milano, in relazione anche all’attuale situazione italiana e internazionale?
“In cantiere ho diversi progetti editoriali: due thriller, un saggio storico sulle vicende del Confine Orientale 1943-1945 e nel 2020 un nuovo libro sull’Europa, alla luce dei recenti sviluppi. In futuro vedrei per Milano un ruolo come quello di Firenze nel Rinascimento: un faro che potrebbe trascinare questo Paese fuori dal pantano che dura dall’inizio degli anni ’90. Milano ha le potenzialità, le energie e le capacità intellettuali per poterlo fare”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)