Di partenze e ripartenze economiche se ne intende perché ne ha viste parecchie, durante tutta la sua carriera universitaria e professionale. E sulla ripresa di Milano e della Lombardia, dopo la drammatica emergenza sanitaria che le ha travolte, mostra un cauto, ma al tempo stesso fiducioso ottimismo. Massimo Introzzi, 63 anni, comasco di nascita e milanese di adozione, sposato e padre di due figli, è professore a contratto nel corso di Investment Banking dell’Università Bicocca e consulente strategico di aziende italiane ed estere. Nel 1984 si è laureato in Ingegneria Elettronica (con indirizzo in Bioingegneria) al Politecnico e in seguito ha maturato esperienze significative alla Honeywell Information System Italia, poi alla Boselli Sistemi (joint venture IBM Pirelli) e da ultimo alla ICAR. Dal 1990 ha fondato e gestito aziende proprie nei settori della consulenza e dell’ICT. Attualmente è socio di maggioranza in Made Investimenti e Partecipazioni (di cui è Managing Partner) e 3I Partner. Dal 2007 opera come Business Angel e investitore informale; per quattro anni siede nel board di IBAN (Italian Business Angel Network). Siede e ha seduto in numerosi Board e CDA, assumendo anche incarichi operativi. Dal 2016, nel suo corso universitario, sviluppa la tematica Da Start-Up a Investment Grade. “Oggi, a distanza di circa quattro mesi dall’inizio della pandemia, vedo una Milano provata, ma che secondo la migliore tradizione meneghina sta stringendo i denti e faticosamente si sta rimettendo in marcia”, esordisce l’esperto docente lombardo. “La poliedricità di attività presenti in città ha fatto sì che diversi comparti abbiano comunque lavorato, anche se a ritmi più blandi, rispetto alla normalità pre-Coronavirus. Purtroppo, l’importante crescita del turismo stanziale sulla città, gli eventi e i luoghi culturali che si sono affermati come meta preferenziale per un turismo sempre più diffuso e l’articolato tessuto commerciale, dalla moda alla ristorazione, che ha fatto da sostegno all’economia si sono dovuti fermare e faranno fatica a riprendersi. Sono stanco dello stereotipato “Ce la faremo”, ma sono sicuro che lavorando a testa bassa e con le maniche rimboccate ritorneremo in tempi ragionevoli a dove siamo stati interrotti”.
Che idea si è fatto, a questo punto, riguardo alla reazione di Milano e della Lombardia? Secondo Lei è stato fatto finora tutto quello che era possibile e doveroso fare?
“Distinguerei tra la reazione della popolazione e quella delle Istituzioni. La popolazione ha reagito in modo esemplare, sia in Regione che in Milano. Trovo marginali certe situazioni di assembramento stigmatizzate dalla stampa e da alcuni politici in modo assolutamente strumentale. Per quanto concerne le Istituzioni, invece, mi sembra che emergano disorientamento e impreparazione nella gestione di una situazione complessa e difficile come questa. E’ davvero incomprensibile la quantità di comitati, esperti e consulenti che sono stati attivati a discapito di una macchina governativa costosa e numericamente importante e che avrebbe dovuto dare risposte, proponendo iniziative”.
Sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori?
“Sono stati molteplici, di diversa gravità (spesso al limite della correttezza) ed equamente ripartiti tra politica, esperti o pseudo esperti e sistema dell’Informazione. La difficoltà intrinseca di dover comunicare un fenomeno che ha necessariamente bisogno dei numeri e di una loro interpretazione ha fatto sì che l’ignoranza diffusa abbia preso il sopravvento e la comunicazione sia stata poco chiara e spesso contraddittoria. Tutti abbiamo comunque letto fenomeni di disinformazione e utilizzo distorto delle notizie. E questo indipendentemente da ideologie, schieramenti e credo politico. Un discorso a parte merita la comunicazione governativa, basata sugli annunci, spesso sensazionalistici, che ha avuto il solo pregio di dimostrare che la componente politica, rispetto alla componente burocratica e organizzativa dello Stato, conta e soprattutto incide poco o nulla nella gestione delle emergenze”.
I comportamenti complessivi dei milanesi e dei lombardi finora sono stati buoni o possono ancora migliorare?
“Ritengo che siano stati corretti e coerenti con le indicazioni ricevute. Qualche raro episodio di intemperanza c’è stato, ma deve essere considerato una spiacevole eccezione”.
Entriamo nel merito dei provvedimenti presi dalle autorità nazionali, regionali e cittadine. Da cittadino che opinione hai al riguardo?
“Mi preme sottolineare che l’eccezionalità della situazione avrebbe messo in difficoltà qualsiasi struttura di governo della res pubblica, sia a livello centrale che locale. Le azioni intraprese sono state a mio giudizio lente e troppo condizionate da elementi esterni. Si è manifestata una profonda confusione tra risposta all’emergenza e gestione politica dell’emergenza. Gli esperti suggeriscono, ma il Governo dovrebbe scegliere e sviluppare il pensiero politico. Questo però non è accaduto. Trovo pressapochistico lo sviluppo della Fase 2 e della Fase 3, soprattutto in regioni come la Lombardia, dove si avanza di quindici giorni in quindici giorni a colpi di decreti, che evidenziano come non ci sia una pianificazione. E’ necessario che ci sia un piano chiaro e definito, con passaggi misurabili e paletti evidenti. Mi permetta di alzare lo sguardo e fare io una domanda: molti parlano di seconda ondata, ma come ci stiamo preparando? quali saranno i segnali e a quali livelli di diffusione ci dovremo di nuovo rintanare? La popolazione, se indirizzata, può essere aiutata in questa fase difficile, ma l’incertezza che tutti i nostri politici comunicano e i media alimentano non aiuta”.
Che ne pensa della App per il tracciamento dei contatti, tenendo conto che con l’utilizzo quotidiano della tecnologia siamo già tutti tracciati?
“Sul fatto che noi si sia già tutti tracciati è vero. Ma anche se può sembrare semplicistico, i nostri dati e le tecnologie, almeno quelle che tutti noi conosciamo, sono stati strutturati per altri scopi e sarebbe stato difficile adattarli. L’adozione dell’App Immuni, così come qualsiasi altra App, lasciata al libero arbitrio del cittadino se scaricarla o meno (quindi con un grado di copertura ampiamente incompleto rispetto alla popolazione Italiana) non serve a nulla. Comunque, per correttezza bisogna dire che i dati di Paesi che hanno usato estesamente una soluzione simile ad Immuni in realtà non hanno ottenuto risultati significativi. Credo che il problema riguardi le caratteristiche del fenomeno stesso della diffusione dell’infezione e che non sia gestibile con una tecnologia di tracciamento”.
Come giudica l’impegno delle università milanesi in questa vicenda?
“E’ notevole, specialmente da parte di quelle che hanno forti e consolidate aree tecnico-scientifiche. Politecnico, Statale e Bicocca, estremamente reattive, hanno espresso una professionalità e una competenza di livello mondiale. E non bisogna dimenticare tutti i dipartimenti medici degli atenei milanesi (e più in generale lombardi) per il valore espresso nei terribili mesi dell’epidemia di Covid-19. Le nostre università sono un valore costruito nel tempo e hanno dimostrato come gli investimenti in formazione e l’attenzione ai giovani siano fondamentali per tutta la società, che prima o poi ne ha un ritorno. Credo che Milano e la Lombardia dovrebbero ringraziare i ricercatori, gli studenti che hanno contribuito ai progetti dell’emergenza, i docenti, il personale tutto e i rettori in modo formale”.
Veniamo al rapporto tra i cittadini e le banche. Che snellimento dovrebbe intervenire per aiutare, di fatto, le aziende?
“Questa è una nota dolente. Il sistema è fortemente ingessato da regole nazionali ed europee, che nel corso degli anni hanno consolidato il muro tra le esigenze del mercato e l’offerta di denaro e i servizi finanziari. Non penso che sarebbe sufficiente uno snellimento perché il sistema dovrebbe essere rifondato. Credo, però, che oggettivamente questa non possa che essere una speranza”.
Gli istituti di credito offrono finanziamenti perché sono garantiti dallo Stato, però poi in realtà non li erogano perché dicono di non aver ricevuto alcuna garanzia statale. Qual è la verità?
“Questo rientra in parte in quanto detto in precedenza. L’azione politica del Governo e le sue azioni sono lance spuntate, nessun esecutivo ha il potere di imporre a chicchessia di dare corso ad un’azione decisa nell’interesse della nazione. Questa situazione ha consentito ai vari attori coinvolti di mettere in scena il balletto che abbiamo visto: non abbiamo indicazioni, il sistema non funzione e così via. D’altronde, il più grande Istituto Pubblico, l’INPS, ha fatto la peggior figura di sempre, peraltro lasciando decine di migliaia di dipendenti senza un euro per mesi, nonostante ne avessero diritto. La domanda che forse ci dovremmo fare (anche perché qualche parola in tal senso, da parte di dirigenti bancari, l’ho sentita) è se il sistema bancario si fida dello Stato Italiano”…
Insomma, cosa manca nel Decreto Rilancio perché sia davvero uno strumento legislativo utile alla ripresa economica milanese, lombarda e nazionale?
“Manca una cosa che allo stato attuale del nostro assetto normativo non potrà mai esserci: l’immediatezza. Un altro elemento che latita in tutti i decreti è la disponibilità finanziaria. Dobbiamo essere tutti consci del fatto che le risorse sono poche e che quelle europee, ammesso che arrivino, non saranno disponibili prima della primavera del 2021. Nessuno ci regalerà nulla, dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci a lavorare duramente per ricostruire”.
Come cambierà lo stile di vita a Milano? Almeno fino a quando i suoi abitanti saranno costretti a cambiarlo, visto che questa città vive delle sue relazioni, degli incontri che diventano occasioni e progetti e invece per mesi ha dovuto organizzarsi diversamente, con i social network e le video chiamate…
“Nonostante la scoperta che lo smart working funziona e fa risparmiare tempo, soldi e fatica bisogna ricominciare ad incontrarci, a vederci, a discutere vis-a-vis e anche a divertirci insieme. La relazione è un moltiplicatore di pensiero e suscita idee e riflessioni, è la base della creatività, bisogna assolutamente preservarla. Milano è creatività. Per ritornare alla domanda, non credo che lo stile cambierà, siamo solo in un momento di stasi”.
Non pensa che come spesso accade, paradossalmente, in situazioni come queste si creino nuove opportunità in tutti gli ambiti, dal sociale al culturale e a quello lavorativo e professionale?
“Sento che il nostro tessuto economico e sociale è di nuovo in fermento. Molte realtà non ce la faranno, ma se conosco i milanesi e i lombardi in genere è difficile immaginarli seduti o piegati a lungo. Credo che ne vedremo delle belle. Questo non vuol dire che sarà facile, ma comunque non riesco a pensare all’immobilismo”.
Per chiudere, Professore: quale sarà, secondo Lei, il futuro politico-economico milanese, al termine di questa storia?
“Credo che sullo scenario politico vedremo dei volti nuovi e spero degli approcci più professionali. Sugli aspetti economici la città riconfermerà il proprio ruolo di motore dell’economia e della finanza italiana. Quelli che potremmo vedere cambiati sono le modalità di approccio al business e il ritorno di attività, prevalentemente manifatturiere, che nel corso dei decenni passati hanno lasciato la città”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)