Ha una passione smodata per il football americano e una continua curiosità per le Forze Armate e le loro singole specificità. Ma soprattutto, è innamorato dalla sua Milano, dov’è nato, dove vive, lavora e si trova perfettamente a suo agio, da vero uomo metropolitano. Massimo Ciprandi, classe 1968, sposato, due figli, una laurea in Giurisprudenza, è un imprenditore con le idee chiare e una fortissima carica di empatia nei confronti dei suoi interlocutori. Ha iniziato la carriera di assicuratore presso l’allora Istituto Nazionale delle Assicurazioni, collaborando in seguito con diverse società di brokeraggio. Tredici anni fa ha fondato la Villamarina Real Estate e la Aegis Intermedia. Quest’ultima, due anni più tardi, è diventata una società di brokeraggio assicurativo e la crescita costante l’ha infine portata, nel 2021, ad entrare nel novero dei cinquanta maggiori broker italiani…
Caro Massimo, dall’Expo in poi (pandemia a parte) la nostra città è oggettivamente cambiata: è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, a mio avviso, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche una crisi economica che continua a mordere risulta schiacciato verso il basso. Che ne pensi?
“La mia impressione è che si sia sfilacciato il tessuto superficiale messo a dura prova dalle vicissitudini della pandemia e della crisi che ne è seguita, ma che al contempo, sotto la superficie, si comincino ad intrecciare nuovi fili, fatti di un tessuto diverso, figli di una multiculturalità vissuta finalmente come valore e non come contrapposizione, e si cominci ad intravedere un’onda di rinnovamento, seguita ai progressi tecnologici, ma anche allo sviluppo di nuove professioni e nuovi stili di vita. Un’onda così profonda da impattare sul modo stesso di vivere la città”.
Milano ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Pensi che sia in grado, anche oggi, di interpretare questo ruolo? Oppure è stata “colonizzata”, nel senso che questo interesse esterno ha prodotto investimenti economici e finanziari che hanno portato imprenditori, finanzieri e banchieri ad impadronirsene?
“Penso che sarà il banco di prova della città e della sua guida, non solamente politica, dei prossimi anni. Milano è da sempre un territorio di conquista, ma ogni volta ha saputo incantare i suoi conquistatori, trasformandoli in ambasciatori della “milanesità”, o in icone stesse dell’essere milanese. Moltissimi milanesi celebri non sono nati alla Mangiagalli, per intenderci. La sfida che ci attende sarà quella di sedere allo stesso tavolo delle grandi metropoli mantenendo quell’identità che ha reso la città stessa un marchio capace di competere con i brand più famosi”.
Come hai visto e vissuto la città prima e come la vedi e la vivi oggi, da cittadino e imprenditore?
“Ho vissuto da ragazzo l’esplosione degli anni Ottanta, quando attraverso la televisione Milano si è ritrovata al tempo stesso motore ed emblema di un cambiamento che ha trascinato con sé tutta l’Italia. Dopo quegli anni ho avuto l’impressione che la città si fosse fermata, compiaciuta del proprio successo, impegnata più a specchiarsi che a crescere. Negli ultimi anni ho ricominciato a sentire il fermento. I teatri non hanno mai smesso di andare in scena, ma non fanno più solo ridere, sperimentano linguaggi nuovi; le aziende non fanno solo a gara per offrire l’aperitivo sulla terrazza più bella, ma vogliono raccontarti cosa stanno facendo di nuovo anche se dovessero farlo in uno scantinato. La musica spinge dal basso e dai grattacieli, i quartieri dormitorio si stanno svegliando, si danno nuovi nomi e confini liquidi, riconquistano spazi che diventano opportunità per fare rete e impresa. Per un certo periodo sembrava che Milano volesse crescere solo verso l’alto, puntando ai grattacieli, mentre da qualche anno inizia a guardare anche ad altezza d’uomo. Unisce le periferie, crea punti di aggregazione, immagina nuovi spazi verdi, come un giovane uomo che abbia raggiunto la maturità e la consapevolezza di quello che vuole diventare. Ci vedo finalmente un progetto”.
Qual è, a Tuo avviso, il livello attuale dell’imprenditoria milanese, in particolare nel Tuo settore? E quali contributi ha portato, secondo Te (se lo ha portato) lo sviluppo della tecnologia e dei social network?
“Noi assicuratori viviamo in un altro tempo, facciamo la stessa cosa dai tempi delle repubbliche marinare. E anche se attraverso strumenti diversi, siamo gli stessi che scommettevano sulle navi cariche di spezie provenienti dall’Oriente. Quello che è davvero cambiato è il tessuto imprenditoriale sottostante; gli imprenditori che si siedono alla mia scrivania, infatti, non parlano più in dialetto milanese, ma in tante lingue diverse. Ancora di più è cambiato quello che fanno: su dieci nuove aziende che assicuriamo, almeno un terzo svolge un’attività che dieci anni fa non esisteva. Abbiamo assicurato una centrale idroponica, un’azienda specializzata in blockchain, società di crowdfunding e AI specialist. Alzi la mano chi saprebbe dire con esattezza di cosa si occupino tutte quante”…
A proposito di social network: questa città vive delle sue relazioni, degli incontri che diventano occasioni e progetti e invece i social network, le video chiamate e l’utilizzo sempre più crescente della tecnologia, in generale, stanno un po’ modificando questa caratteristica. Tu invece fai parte di un network di comunicazione che predilige ancora gli incontri in presenza…
“Dopo la pandemia mi sono accorto che non capivo gli entusiasmi dei colleghi in Smart Working. Per me anche solo bere il caffè con i colleghi era motivo per andare a lavorare di buonumore. Oggi sono consapevole che le video-call economizzano tempo e costi, ma non sono compatibili con quello che vorrei dalla vita. Certo, una consulenza si può fare senza problemi in video, ma è troppo difficile condividere un’avventura imprenditoriale senza la presenza fisica. Troppe cose rimangono fuori dallo schermo. Hai mai sognato qualcuno in video call? Io credo di no. Penso che sia la stessa cosa con le relazioni, anche quelle di lavoro, e negli anni abbiamo cercato di raccogliere nei nostri eventi gli altri “naufraghi” delle relazioni dal vivo come noi. Non c’è nulla come un buon piatto e un buon vino in compagnia e a Business Roundtable, il network al quale hai accennato, cerchiamo di non farceli mancare mai”.
Che opinione hai del fenomeno dell’immigrazione a Milano? E di come viene gestita? Esiste il problema della sicurezza cittadina (Stazione Centrale a parte), nei termini in cui viene rappresentato tutti i giorni dai mezzi d’informazione?
“L’ultima volta che sono stato a Londra, tornando verso Whitechapel, ho provato le stesse sensazioni di una passeggiata a Buenos Aires. Abbiamo sicuramente un problema di sicurezza, ma anche gli anticorpi per combatterlo. Le seconde e terze generazioni di immigrati sono una risorsa formidabile contro i problemi che genera l’immigrazione e la loro integrazione è la carta vincente nella partita per il futuro della città. Un amico londinese mi diceva che non avrebbe potuto essere razzista perché il suo capo era vietnamita, il suo direttore di banca bengalese e l’avvocato che ne aveva curato il divorzio un indiano. Penso che il nostro futuro sia questo: tanti milanesi nuovi, con il cognome che termina con una consonante e la voglia di portare questa città in alto”.
Per concludere, Massimo: come vedi il futuro di questa città, in relazione anche all’attuale situazione italiana e internazionale?
Amo Milano e non saprei vederla che felice. Ho assoluta fiducia nelle nuove generazioni, la quantità di informazioni di cui dispongono li ha dotati di una chiarezza di pensiero che li pone molto avanti rispetto a chi li ha preceduti. E’ vero che mancano di esperienza, però hanno una consapevolezza di loro stessi e del percorso che vogliono fare che mi stupisce. Alla loro età, io dovevo ancora scoprire il mondo e identificare i confini del mio. Ma, soprattutto, si trovano nel posto giusto per realizzare il miglior futuro possibile. In una Milano, come la chiami tu, Meravigliosa”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)