E’ uno dei giuslavoristi più preparati, stimati e apprezzati di Milano e della Lombardia, ma l’eco della sua caratura umana e professionale ha da tempo superato i confini della nostra città e della nostra regione. Ma per quanto mi riguarda, Martino Puppi è innanzitutto un caro amico, prima ancora di essere il bravissimo avvocato che ha fin qui dimostrato di essere. Originario di Guanzate, nel Comasco, ma milanese di adozione, 47 anni, compagno di Sofiya e padre di due bambine, Puppi si occupa, appunto, di Diritto del Lavoro, Previdenziale e Sindacale. Una materia sicuramente ostica e maledettamente attuale, vista la situazione di emergenza sanitaria, politica, economica e sociale in cui ancora ci troviamo. “Ma dopo oltre un anno dall’epifania del Covid in Lombardia, personalmente non la ritengo più un’emergenza, caro Ermanno”, esordisce il legale lombardo. “Conviviamo ormai da troppo tempo con questo virus, che non eravamo certamente organizzati ad affrontare. E purtroppo stentiamo ancora a tenergli testa”.
E allora, caro Martino, entriamo nel merito dei provvedimenti presi finora dalle autorità nazionali, regionali e cittadine, tenendo conto anche del recente cambio di governo. Da avvocato e cittadino che opinione hai al riguardo?
“È un lungo discorso. In una battuta, da avvocato mi ha colpito la confusione dei provvedimenti alluvionali, a vari livelli. Da cittadino italiano fin qui mi è dispiaciuta soprattutto la scarsità e la lentezza delle tutele per una parte della popolazione, quella meno garantita. Ma non mi hanno sorpreso, purtroppo. Anzi”…
Trovi legittimo e opportuno il continuo utilizzo della decretazione d’urgenza, riducendo, di fatto, l’attività parlamentare?
Si. Nell’ultimo anno, in materia di Covid, ho contato una ventina di decreti legge. I requisiti di necessità e urgenza non hanno certo mancato di verificarsi. Ho trovato meno, molto meno opportuno il ricorso ai DPCM (provvedimenti amministrativi) per limitare le libertà personali fondamentali e addirittura contenenti gnomici tentativi di prefigurare reati. In generale, fuori da questo periodo, da svariati anni si sta verificando un vero e proprio abuso di decreti legge governativi”.
In questo difficile e delicato momento uno studio legale giuslavoristico è un osservatorio privilegiato sul mercato del lavoro. Qual è, a tuo avviso, lo scenario attuale a Milano, in Lombardia e in Italia? E cosa si prospetta per l’immediato futuro?
“In Italia, nel settore privato, sono già stati persi circa mezzo milione di posti di lavoro. Corrispondono per lo più ai mancati rinnovi o alla mancata stabilizzazione di contratti di lavoro subordinato a termine, alla loro naturale scadenza. Sempre riguardo al lavoro subordinato, stanno creando grandi scompensi sia la trasformazione del Lavoro, solo accelerata dal Covid, sia il blocco generalizzato dei licenziamenti economici, che dura incredibilmente da oltre un anno, con poche eccezioni. Da un lato, la cassa integrazione “nasconde”, diciamo così, una massa di posti di lavoro ormai fittizi, che in realtà non esistono più. Dall’altra parte, ai lavoratori coinvolti non sono stati forniti gli strumenti per aggiornare e/o convertire le proprie competenze rispetto al mondo del Lavoro, che cambia rapidamente. Ricorrendo a un paragone, è come se il nostro Paese avesse fin qui giocato solo in difesa (politiche passive del Lavoro) e poco o per nulla in attacco (politiche attive del Lavoro). Lasciando molti, troppi giocatori in panchina, se non in tribuna. È un vasto programma. Mi attendo, tra qualche mese, grandi riorganizzazioni da parte delle imprese e molti esuberi di personale (qualcuno li sta già affrontando, gestendo le eccezioni a cui accennavo), probabilmente scaglionati da interventi legislativi. A fronte di imprese e di settori in forte sofferenza (turismo, ristorazione e via dicendo) ci sono, invece, imprese e settori in espansione (ad esempio delivery e distribuzione), come spesso capita in situazioni di crisi. Un altro aspetto è il lavoro autonomo e professionale. Anche qui, mi aspetto rilevanti trasformazioni”.
Non pensi che paradossalmente, in situazioni del genere, si possano creare nuove opportunità lavorative, sia a livello collettivo che individuale?
Certo. Si sperimentano nuovi lavori e nuove modalità di lavoro (tra cui il remoto su larga scala). Nuove tecnologie e nuovi beni e servizi si susseguono sempre più rapidamente. Non è certo una novità. Un centinaio di anni fa, le lavandaie non avrebbero mai pensato che la lavatrice avrebbe presto sostituito il loro lavoro. Hanno preso piede nuovi lavori attorno alla costruzione e alla commercializzazione della lavatrice. E il fenomeno dell’urbanesimo. È storia. Ora, molte imprese hanno già variato la propria organizzazione, in funzione dei mutamenti delle esigenze e delle abitudini dei cittadini. È un fenomeno già in essere da tempo e solo accelerato dall’epidemia. Cambiano i tempi di vita e di lavoro delle persone. E con loro, mi attendo cambiamenti nelle città, anche ovviamente nella “nostra” Milano”.
Per concludere, Martino: cosa manca nella politica economica del momento perché sia davvero uno strumento utile alla ripresa milanese, lombarda e nazionale?
“Non sono un economista. L’idea che mi sono fatto, da cittadino, è che siano necessarie diverse misure. Da un lato, prendersi cura delle molte persone che hanno perso e che perderanno il loro posto di lavoro, nel settore privato (i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici non hanno subito conseguenze reddituali negative dall’emergenza Covid, anzi). Non solo dei lavoratori subordinati. Sostenerne realmente il reddito, aiutarle e non disincentivarle a trovare rapidamente nuove occupazioni (ci sono tanti posti di lavoro vacanti), formarle. Dall’altro lato, credo sia un grave errore, sia per i lavoratori sia per le imprese, prorogare ulteriormente il blocco generalizzato dei licenziamenti”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)