Il cicaleccio, il brusio testimoniano già l’entusiasmo della piccola sala del Teatro Oscar, circa 300 posti a sedere, tutto gremito di genitori, parenti, amici, compagni di scuola dei 70 fra studenti e studentesse del Liceo Classico e del Liceo Scientifico della Fondazione Sacro Cuore di Milano che, dopo aver partecipato al laboratorio condotto da Marco Martinelli, felici di fare teatro, per una sera e per un pomeriggio vivono l’emozione di respirare la polvere del palcoscenico, di sentirsi attori. Ma, quando dopo aver fatto loro prendere posto sulla scena, Marco Martinelli sale a sua volta sul palco, esplode un boato. Applausi di incoraggiamento, certo, ma anche tanta condivisione, tanta partecipazione perché, come annuncia lo stesso Martinelli, uno dei più importanti registi e drammaturghi italiani contemporanei, nonché fondatore con Ermanna Montanari nel 1983 del Teatro delle Albe, rivolgendosi ai presenti “quello a cui assisterete stasera (sabato 8 febbraio) e domani pomeriggio (domenica 9 febbraio) non è uno spettacolo, ma una sorta di lavoro aperto. Ci sarà un impulso, un’onda di energia che sarà il fondamento, l’ossatura di quello che vedrete e di cui voi – ed ecco perché non ho fatto abbassare le luci di sala – non sarete spettatori, ma testimoni: un lavoro in corso di cui abbiamo creato una base e sul quale continueremo a lavorare. Non c’è sipario, le luci sono fisse. È un’arena, un’agorà di cittadini insieme e vi faremo vedere come in poche ore si lavora sulla poesia, in particolare su Dante, e come si forma un coro”. È finalmente arrivato il momento della speranza: a dieci anni dal precedente testo di Marco Martinelli, prodotto da Il Teatro de Gli Incamminati, Eresia della felicità, e a quattro mesi dall’inizio della stagione 2024-’25 del Teatro Oscar, che quest’anno ha per filo conduttore Il vizio della speranza, come la chiamò Giovanni Testori. Siamo chiamati alla speranza perché la speranza non delude. La speranza risorge di continuo, non solo come un’eresia o come un vizio, ma anche come un pensiero inconfessabile. Ma allora che cos’é la speranza? Nonostante sperare sia difficile, noi speriamo sempre anche se sappiamo che nell’umano non c’è nulla di facile, ma soprattutto perché abbiamo bisogno di sperare. Speranza come atto di ribellione in un mondo che sembra negarla. Eresia in quanto scelta, libertà di pensiero. E lo spettacolo si ispira proprio a poeti che hanno espresso questa tensione nella loro opera come Dante e Majakovskij, ma anche Raffaello Baldini e Angelus Silesius. Dante mette assieme l’Io e il Noi, tutti sprofondati nella medesima disperazione, in fondo alla quale però c’è la via d’uscita, la luce. Così, mentre Martinelli introduce il viaggio di Dante con il I e il II Canto dell’Inferno e con versi dal Purgatorio, ricorda come avesse già vissuto la medesima esperienza in molte altre parti del mondo – da Nairobi con i 150 bambini della baraccopoli di Kibera, a Shanghai, da New York all’Argentina, sulla sala scende lentamente impalpabile un pulviscolo di emozioni. 70 adolescenti sono lì tutti uguali, ma tutti diversi con i loro jeans blu e le loro t-shirt nere: le braccia tese lungo il corpo o alzate il più possibile o protese in avanti, pronte a disegnare nell’aria nuvole, onde, cerchi, carezze, abbracci in un caleidoscopio di sentimenti accompagnati dalla voce. Se questa fosse una partitura, potremmo leggervi la Dinamica musicale in tutte le sue espressioni: dall’Adagio al Pianissimo, dall’Andante con moto al Fortissimo, ma qui è la mano del Maestro a dare il la, l’incipit indicando l’urlo o il sussurro, il grido o il bisbiglio, come pure i salti da fare con forza, ripetuti, ossessivi sul pavimento. Così, l’Ouverture del Lohengrin di Wagner abbraccia i versi da Ascoltate e da La nuvola in calzoni di Majakovskij. Ogni rima, ogni strofa sono scandite con un’espressione, un movimento: “Sentitevi liberi di esprimervi, ragazzi!”, suggerisce loro Vinicio Capossela con il suo Ballo di San Vito. Particolare risalto acquista la figura femminile quando dai soprusi dell’antichità si passa a quelli contemporanei, alla sopraffazione, alla libertà negata, all’amore tossico che le ragazze, scese in platea, esemplificano illustrando una serie di luoghi comuni. E’ proprio un frammento di Poetica di Cesare Cremonini a concludere la scena delle Pie di Dante nella quale i ragazzi cambiano atteggiamento e convertono il loro sguardo scendendo in platea, mescolandosi alle ragazze e il canto iniziato da loro diventa il canto di tutte e di tutti. Ovazione finale dopo un’ora e un quarto di spettacolo, esito di un laboratorio di tre giorni di due ore ciascuno per concludere che siete voi ragazzi i giovani uomini della nuova generazione di domani. Non permettete “alla barca dell’amore – come scriveva Majakovskij – di schiantarsi con il grigiore del quotidiano”. Lasciate che amore, rispetto, tenerezza siano la vostra linfa, il nutrimento della vostra anima, del vostro cuore, della vostra mente, del vostro spirito. Imprimete i vostri passi nel cammino della speranza.
Elisabetta Dente