Mi onora da qualche anno della sua amicizia e della sua stima, frutto anche di una spontanea simpatia nata fra di noi, entrambi figli adottivi della nostra città. Per questo, ad un certo punto, abbiamo deciso di trasferire sulle pagine di questo blog uno stralcio delle frequenti chiacchierate fatte davanti a un buon caffè o a un aperitivo, con la speranza che possano interessare ai lettori e offrire loro qualche spunto di riflessione. Luigi Dellomonaco, classe 1960, pugliese di Mesagne, nel Brindisino, trapiantato a Milano, sposato e padre di tre figli, una laurea in Tecnologie Industriali Applicate, è un generale dell’Esercito Italiano, dal mese di marzo di quest’anno transitato nella riserva. Tra i molti ambiti di formazione militare, ha frequentato l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione dell’allora Corpo Automobilistico (ora Arma dei Trasporti e Materiali), con sede a Roma. Ha prestato servizio in alcuni battaglioni, distretti e reggimenti, partecipando a diverse missioni, in Italia e all’estero. Per non dire delle molte onorificenze conseguite, tra le quali il Cavalierato dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e la Croce d’Oro per l’anzianità di servizio…
Luigi, partiamo da Milano, dove viviamo e dove (in teoria) siamo al sicuro da ogni ipotetico o reale conflitto bellico. Senza andare troppo indietro nel tempo, fermiamoci al secolo scorso, subito dopo il secondo dopoguerra. Che rapporto abbiamo, qui, con le Forze Armate? Come le consideriamo?
“Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la presenza dei reparti militari in città era notevole. Nel corso degli anni, ci sono stati diversi cambiamenti in Europa, è mutata la situazione geopolitica e di conseguenza c’è stato un certo ridimensionamento, di adattamento, dello strumento militare, sia qui sia in tutta la Lombardia. Ho comandato un importante centro logistico cittadino del nostro Esercito; per ragioni connesse a quell’incarico, ho avuto modo di partecipare a varie cerimonie e manifestazioni e posso dire, con estrema certezza, che le nostre Forze Armate godono di grande rispetto e sono molto apprezzate dalla maggior parte della cittadinanza. C’è anche una minoranza, ovviamente, avversa alle divise, soprattutto per motivi ideologici. Per quanto riguarda, invece, un conflitto armato sul nostro territorio, ritengo che si tratti di un’ipotesi alquanto remota”.
Siamo da sempre una città generalmente aperta e accogliente. Come ci comportiamo con i cittadini stranieri dei Paesi in guerra nel mondo? Non soltanto con i profughi, ma anche con quelli che non sono in fuga…
“Milano è una città particolare, dove chi arriva si sente accolto e diventa milanese, diciamo così, ma nello stesso tempo non gli viene negato il legame che lo lega alle proprie origini e alla terra di provenienza. Da migrante, visto che sono pugliese, penso che il fenomeno dell’immigrazione andasse gestito diversamente, già qualche decennio di anni fa. Bisognava capire (e non era difficile farlo) che un arrivo massiccio e incontrollato di persone avrebbe creato enormi problemi. Milano è una città che purtroppo mostra due differenti realtà: quella del Centro, della moda, della finanza e del divertimento, e quella delle periferie, del degrado, dell’insicurezza, dello spaccio, della criminalità, degli anziani che hanno paura di andare a fare la spesa per non vedersi occupata la casa”.
Lasciamo Milano e andiamo all’estero. Tu sei stato in Kossovo, Afghanistan e Iraq. Quali sono state le differenze e i punti in comune di quelle situazioni?
“Quanti ricordi, amico mio. E quante emozioni… Per raccontarti tutto dovrei scrivere un libro, ma forse un giorno lo farò. Prima della partenza per il Kossovo avevo il pensiero fisso di come avrei affrontato quell’esperienza e immaginavo tutte le opzioni, anche quelle peggiori, come fa un buon comandante. Non ero preoccupato, ma sentivo forte il peso della responsabilità. Avevo molti uomini alle dipendenze, oltre a mezzi, materiali e armi. Comandavo un reparto logistico che doveva assicurare viveri, acqua e carburante a tutti i reparti militari italiani dislocati nell’area, ognuno con delle specifiche mansioni. Bisognava anche garantire la riparazione dei mezzi dell’intero contingente. Un lavoro complesso, che grazie al personale alle dipendenze ho sempre garantito.
Poi l’Afghanistan. Sotto l’aspetto logistico, avevo fatto un salto di qualità: dormivo in un container assieme a un altro pari grado, mentre sottufficiali e truppa in tende molto grandi. Il contingente spagnolo, che occupava l’altra metà della grande base, aveva dei sistemi abitativi che in confronto a quelli italiano sembravano alberghi di lusso. Le sirene suonavano con una certa frequenza, per segnalarci l’arrivo di qualche missile, e allora bisognava correre nelle varie postazioni di cemento, dislocate in vari punti della base, per raggiungere quella più vicina. E correvamo, credimi, come se fossimo degli atleti olimpici. Uno dei tanti trasferimenti nella capitale Kabul, prima in aereo e dall’aeroporto al centro città tramite navette, rappresentavano sempre un pericolo enorme. Durante uno di quei trasferimenti, ci fu un’allerta e il rapido cambio di percorso, per via di inequivocabili segnali di pericolo: la strada, da caotica a improvvisamente deserta, e un’autovettura ferma in lontananza sul lato opposto della strada che stavamo percorrendo. Colpo in canna, sangue freddo e sorrisi forzati tra noi, che significava consapevolezza di quanto stava per accadere e che per fortuna non si verificò per la preparazione e la prontezza di riflessi della nostra scorta. Nei giorni seguenti, purtroppo, ci fu un attentato, e questa volta registrammo delle vittime.
Infine, l’Iraq. Alloggiavo in una stanzetta minuscola in muratura, con un condizionatore d’aria che avevo staccato, per via dell’insopportabile rumore che faceva, e anche un televisore scassato, che per farlo funzionare bisognava dargli, ogni tanto, qualche bottarella. A volte, nel pieno della notte, riuscivo a vedere un telegiornale italiano. I lanci di missili sulla nostra base erano frequenti; fortunatamente, la maggior parte non colpiva l’obiettivo, ma qualcuno, purtroppo, andava a segno, provocando morte e distruzione. Tutte e tre le missioni, caro Ermanno, erano accomunate dal fatto che il soldato italiano, nel senso più ampio del termine e senza distinzione di grado, si è sempre impegnato al massimo, comportandosi benissimo e con la piena consapevolezza di rappresentare il nostro Paese”.
Torniamo a casa, comunque, che è meglio… Dall’Expo in poi (pandemia a parte) la nostra città è oggettivamente cambiata: è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, a mio avviso, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche una crisi economica che continua a mordere risulta schiacciato verso il basso. Che ne pensi?
“Mah… Sai, Milano è certamente una città della cultura, forse la capitale della cultura di questo Paese. Consapevole del fatto che non si finisce mai di imparare, cerco di partecipare il più possibile ai moltissimi eventi culturali, ai convegni, alle presentazioni di libri (compresi i tuoi, e ride… ndr), alle visite a mostre, musei, biblioteche. Riguardo a quest’ultime, sono un assiduo frequentatore di quella di Baggio e della Harar. In relazione al tessuto sociale, invece, mi viene da dire che molto dipende dall’immigrazione incontrollata, come Ti dicevo prima. A mio avviso, la situazione si è incancrenita molto; i grandi parchi cittadini sono diventati quasi tutti mercati della droga a cielo aperto (mi capita spesso di essere fermato dagli spacciatori, che mi offrono la loro roba) e Milano, ormai, senza tema di smentita, è la prima città d’Italia per la vendita e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Occorrerebbe prendere iniziative coraggiose per tamponare l’emergenza (quelle che la gran parte della popolazione vorrebbe) e riportare un minimo di legalità. Chissà, forse si prenderanno provvedimenti concreti quando il problema, dalle periferie, andrà ad interessare anche le zone più tranquille e centrali”.
Qual è, a tuo avviso, il livello attuale della politica e della comunicazione pubblica milanese? E quali contributi ha portato, secondo te (se lo ha portato) lo sviluppo della tecnologia e dei social network?
“Guarda, come te sono un boomer. Ci chiamano così, no? Per cui, sugli aspetti tecnologici non mi esprimo, perché le nostre competenze sono limitate, rispetto alle generazioni che ci seguono. Riguardo alla politica, invece, voglio ricordare che chi si candida a ricoprire cariche comunali, provinciali e regionali lo fa per scelta, per vocazione e senza alcuna imposizione. E dovrebbe farlo con l’intima convinzione di essere al servizio della collettività, non per il potere o per convenienza economica. Ed è più che giusto, bada, che sia ben pagato per questa missione (chiamiamola così), che deve assolvere sempre nel migliore dei modi. Sono stato chiaro?”.
Sei stato chiarissimo, come al solito. Parliamo del clima milanese, prima di chiudere. È oggettivamente e notevolmente cambiato, dal punto di vista meteorologico. La nostra città è spesso colpita da nubifragi ed esondazioni di fiumi, che provocano danni ingenti e disagi a non finire alla popolazione. Quanto è importante avere in città i militari per affrontare al meglio le emergenze civili?
“Le alluvioni periodiche e disastrose che a Milano si verificano da alcuni decenni, nel ventunesimo secolo e in una città internazionale come la nostra, non sono assolutamente giustificabili. Le responsabilità politiche, neanche a dirlo, ci sono. Dal canto suo, l’apparato militare locale e regionale è certamente in grado di intervenire per portare soccorso, ma i problemi devono essere principalmente risolti da coloro i quali si sono assunti la responsabilità di farlo. I militari sono e saranno sempre disponibili, anche per questo tipo di interventi, ma non possono fare miracoli”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)