Nozze sontuose fra Virginia Marino, figlia di Tommaso Marino, banchiere e uno degli uomini più ricchi del suo tempo, ideatore e proprietario del palazzo milanese che prenderà il suo nome, e Martino de Leyva, uomo d’armi appartenente ad una importante casata, nipote del Governatore spagnolo di Milano. Gennaio 1576, il matrimonio è allietato dalla nascita di una bambina alla quale verrà dato il nome di Marianna. Poco dopo, però, il lutto si abbatte sulla famiglia: Virginia muore a causa della terribile peste che in quell’anno e durante il successivo strazia la popolazione milanese. Marianna cresce orfana di madre e con il padre perennemente assente, chiamato a combattere in diverse battaglie. Ma sarà proprio lui, il padre, il fautore del destino atroce di sua figlia. Dopo pochi anni, infatti, decide di risposarsi con una nobile spagnola; però, perché venga accettata la richiesta di matrimonio e il futuro suocero ottenga per lui l’incarico di Maestro di Campo Generale della Cavalleria, Martino de Leyva deve portare un cospicuo patrimonio. Solo in un modo potrà disporre di una somma considerevole: togliendo alla figlia Marianna la dote lasciatale in eredità dalla madre. E solo in un modo potrà attuare il suo disegno: avviando la figlia in convento. Il 15 marzo 1589 Marianna, tredicenne, veste l’abito monastico e sceglie il nome di Suor Virginia in ricordo della madre. Passano gli anni. Alla storia si aggiunge un protagonista, Giò Paolo Osio, venticinquenne bello, ricco, ozioso, molti privilegi di nascita e molti successi con le fanciulle. Ha già una macchia criminale sulla coscienza, è un omicida, ha ucciso il Fiscale di Monza e si è dato alla fuga per un anno. Ora è tornato nella dimora paterna che sorge proprio accanto al chiostro del convento dove si trova la monaca Virginia. Un giorno l’Osio, dopo averla vista dalla finestra, chiede un colloquio con quella giovane suora “per ragionar di cose sacre”. E poi l’innamoramento reciproco, il desiderio, la passione. Diventano amanti, e per i loro segreti incontri si affidano alla complicità di alcune suore, che lasciano il portone del convento aperto perché di notte Giò Paolo possa entrare. Ma si avvicina un periodo oscuro e drammatico.
La conversa Caterina minaccia che parlerà con il Vicario delle monache, Canonico della Collegiata di Sant’Ambrogio, atteso da lì a qualche giorno. Glielo racconterà, lei sa bene quel che accade in convento. Virginia e le monache sue complici sono terrorizzate. Se veramente Caterina parlasse, cosa verrebbe loro riservato? Giò Paolo Osio ha però la soluzione: Caterina deve essere uccisa. Ci penserà lui, a colpi di mazza, il corpo sepolto nel giardino di Palazzo Osio. Però della frequente presenza di Giò Paolo in convento, a Monza, si vocifera e molto. Lo Speziale delle monache, che parla troppo, una sera al tramonto viene sfiorato da un’archibugiata. Al fabbro, spesso chiamato per dei lavori in convento, andrà meno bene perché lo troveranno con la gola squarciata. Ormai la situazione, trasformatasi da amorosa in delittuosa, è orribilmente sfuggita di mano. Il Governatore di Milano, Conte Fuentes, ordina che l’Osio venga condotto nelle prigioni del Castello di Pavia per essere interrogato sulle voci che dicono di scandalo e di morte, ma il prigioniero riuscirà a fuggire e tornerà a Monza, dove ucciderà due delle suore complici per impedire loro di testimoniare. L’oscura vicenda sollecita anche l’attenzione del Cardinal Federigo Borromeo. E così nel buio e nel silenzio della notte, per evitare ulteriore scandalo, Suor Virginia viene traferita a Milano per essere interrogata proprio dall’Arcivescovo. Inizia il processo, che si concluderà con una sentenza terribile. La pesantissima condanna alla carcerazione nel Ritiro delle Convertite di Santa Valeria, a Milano. La carcerazione impone che Suor Virginia venga murata viva in una cella di due metri e mezzo per uno e mezzo, solo con una piccola fessura per passarle il cibo e una piccola feritoia per l’aria. Resisterà 14 anni in quel buio e in quella atroce solitudine, infine graziata proprio dal Cardinal Borromeo. Semicieca e deformata dall’artrite, vivrà ancora incredibilmente a lungo e morirà nel 1650, a 74 anni. E Giò Paolo Osio? Viene condannato alla forca e prima verrà anche torturato, ma ancora una volta riesce a fuggire. A Milano raggiunge il palazzo (oggi Palazzo Isimbardi) di proprietà d’un amico, il conte Lodovico Taverna, fedele compagno di baldorie e di peccati. E’ certo di aver trovato rifugio sicuro. Invece proprio l’amico lo tradirà. Osio verrà condotto nei sotterranei e verrà ucciso a bastonate dagli sgherri del conte, che forse desidera ottenere qualche favore dal Senato di Milano, al quale avrebbe potuto dimostrare di essere un cittadino esemplare anche nel servire la giustizia. O forse è ingolosito dalla taglia di ben 1.000 scudi che pendeva sulla testa del fuggiasco…
Giovanna Ferrante (giornalista e scrittrice)