Il concetto di sicurezza è spesso travisato e mal compreso, di solito trattato in maniera ideologica e di conseguenza perso in lunghe discussioni da bar, con le quali non si perviene a nessun concetto concreto, a nessuna strategia utile e (ahinoi) a nessun risultato. Da tutto questo ne nasce una situazione di sicurezza che è il residuo di quello che la sorte non fa succedere di male.
La sicurezza è una condizione che sovrasta le altre; senza sicurezza non si studia, non si produce, non ci si cura, non si va nemmeno in vacanza. In inglese viene definito “over arching”, sovrastante, appunto. Si tratta quindi di studiare un concetto che per sua natura abbraccia tutti gli altri.
Il primo elemento da tenere presente in questa elaborazione è che l’opposizione anarco-ideologica ad ogni iniziativa di sicurezza genera una diffusa confusione. Disordini, tumulti e violenze sono spesso il risultato di una cultura novecentesca che, minoritaria e anacronistica, è dura a morire, anche se non è mai riuscita ad uscire dagli angusti ambiti del ribellismo cittadino.
Il secondo elemento alla base delle analisi è che la sicurezza è collegata alla cultura di fondo della società, ai suoi egoismi, alle difficoltà nei rapporti umani e a tutte le spinte disgregatrici presenti nella nostra comunità. L’egoismo è oggi così diffuso perché si nutre di edonismo, ricerca del successo facile, di sproporzione dell’ego.
Milano è sicuramente un grande laboratorio in cui queste cose si possono studiare, avendo a disposizione una varietà di situazioni e di condizioni a volte particolari e a volte simili ad altre comunità. Purtroppo, la sicurezza è un concetto che si articola in parecchi elementi, ai quali bisogna fornire risposte diverse. La sicurezza di una grande città come la nostra dipende da fattori economici, etnico-religiosi, sociali, giuridico-amministrativi e da un sostrato culturale che rendono difficile ridurre tensioni, conflitti e frustrazioni derivanti da tanti tipi di fragilità.
Pensare la sicurezza vuol dire scindere la situazione complessiva in tutti i suoi elementi e analizzarli prima singolarmente e poi complessivamente, se si vuole elaborare una teoria, altrimenti si rischia di fare solo propaganda, come quella secondo cui la sicurezza cittadina sarebbe stata garantita da un “super esperto”, già capo della Polizia di Stato, a capo di un ennesimo Comitato, le cui risultanze si perdono nelle pieghe dell’assemblearismo di cui ci sono fin troppe tracce nella “res publica”, la cosa pubblica che a tutti noi dovrebbe interessare, al netto di un grave fenomeno di assenteismo elettorale, che è la prima spia di malessere.
La sicurezza, dunque, vista come un enorme mosaico, formato da numerosissimi pezzi, in cui gli incastri risultano chiari soltanto se ripuliti da pregiudizi concettuali e osservati con onestà intellettuale.
Francesco Cosimato (Generale di Brigata in congedo)
(Immagine tratta dal web)