C’è tempo ancora fino al prossimo 4 ottobre, per visitare la memorabile mostra di Leandro Erlich a Palazzo Reale. L’esposizione, davvero imperdibile, accoglie per la prima volta in Europa un’ampia monografica di una delle maggiori figure di spicco della scena artistica internazionale. L’artista argentino, infatti, è noto per le sue opere d’arte concettuali e innovative che sfidano la percezione e coinvolgono attivamente lo spettatore. Nato a Buenos Aires il 20 settembre 1973, Erlich ha guadagnato la fama mondiale per il suo lavoro che si situa tra l’arte visiva, l’installazione e la performance. Oggi vive e lavora tra Parigi, Buenos Aires e Montevideo.
“Oltre la soglia” (questo il titolo della mostra) è promossa da Comune di Milano-Cultura ed è prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, in collaborazione con lo Studio Erlich e con la curatela di Francesco Stocchi.
Erlich crea grandi installazioni, con cui il pubblico si relaziona e interagisce, diventando esso stesso l’opera d’arte. Le sue opere sono uniche e rappresentano un’assoluta novità nel mondo dell’arte, unendo creatività, visione, emozione e divertimento. Palazzi in cui ci si arrampica virtualmente, case sradicate e sospese in aria, ascensori che non portano da nessuna parte, scale mobili aggrovigliate come fossero fili di un gomitolo, sculture spiazzanti e surreali, video che sovvertono la normalità. Sono tutti elementi che ci raccontano qualcosa di ordinario in un contesto straordinario, dove tutto è diverso da quello che sembra, dove si perde il senso della realtà e la percezione dello spazio.
I lavori di Erlich sono frutto di una ricerca artistica profonda e concettuale, che gioca con i paradossi della percezione e che ha già raggiunto milioni di visitatori nel mondo (600.000 a Tokyo e 300.000 a Buenos Aires). Ovunque il pubblico è accorso alle sue mostre, caratterizzate da installazioni site specific molto complesse da realizzare e quindi molto rare.
Il pubblico milanese, dunque, ha ancora la possibilità di conoscere il lavoro di Erlich attraverso le sue opere più note e iconiche, per la prima volta riunite in una sola sede (nonostante le sue opere figurino nelle collezioni di importanti musei come la galleria londinese Tate Modern e il Centre Pompidou di Parigi), con l’intento di sistematizzare la produzione dell’artista.
Erlich porta il visitatore in un altrove magico, dove il possibile diventa impossibile, ma che stupisce ed emoziona grazie a un grande senso estetico e a una poesia fortemente intrinseca.
Il risultato è esplosivo, divertente, appassionante, indimenticabile, davvero molto coinvolgente. Ogni opera dell’artista sudamericano presente alla mostra milanese apre una finestra sul mondo sensibile, ma invece di ingannare l’occhio svela gli inganni visivi a cui può essere soggetta la mente, aprendo nuovi orizzonti e interrogativi.
Un’opera di Erlich suscita, come prima reazione, un senso di familiarità rispetto al quotidiano, per poi insinuare un certo dubbio. Osservando con attenzione l’opera, lo sguardo dello spettatore inizia a dubitare di ciò che percepisce trovandosi di fronte a un fenomeno inspiegabile.
Suscitare nel pubblico domande, dubbi, emozioni che interagiscono con i suoi lavori è l’obiettivo del fare artistico di Erlich, ed è proprio la partecipazione dello spettatore che rende completa l’opera.
È difficile, comunque, spiegare Erlich a parole, bisogna provare l’esperienza per capire. Le 19 opere in mostra a Palazzo Reale dimostrano che liberandosi dalle nozioni acquisite con l’esperienza ognuno di noi può sperimentare una propria dimensione, una nuova visione non offuscata: l’avvento di un nuovo tipo di mondo.
In questi mesi (l’esposizione ha aperto i battenti lo scorso 22 aprile) il pubblico milanese si è lasciato letteralmente rapire dal susseguirsi delle opere in mostra, come nel caso di Port of reflections (2014), dove tre barche sembrano galleggiare sull’acqua. In realtà, quest’installazione utilizza un computer per calcolare il modo in cui una barca dondola sull’acqua, per poi ricrearne con precisione l’aspetto e le movenze. Il pubblico percepisce l’opera in questo modo perché crede che una barca sia qualcosa che galleggia sull’acqua. In questo modo, l’opera ci aiuta a capire quanto vediamo le cose attraverso la lente dei nostri preconcetti e stereotipi.
Passando a descrivere Changing rooms (2008), ecco che vediamo il visitatore pronto a entrare in un camerino elegantemente arredato, dove però gli specchi si estendono in lontananza creando spazio, piuttosto che mostrare il nostro riflesso.
Infinite Staircase (2005) sembra invece una scala a chiocciola a grandezza naturale, compresa la tromba delle scale, e poi ruotata di 90 gradi. Sebbene lo spettatore stia guardando un’opera d’arte in verticale dal pavimento, viene colto dall’illusione ottica di sbirciare in una tromba delle scale rivolta verso il basso. Le altre persone sulle scale possono essere viste guardando di lato, non verso l’alto, il che rafforza ulteriormente un’esperienza dai tratti inquietanti. Con quest’opera, che elimina il ruolo di una scala per far salire e scendere le persone, Erlich libera la struttura architettonica dalla sua funzione originale, trasformandola attraverso la sua sovversione percettiva, in un’opera d’arte autonoma.
Un’altra opera che suscita enorme stupore è Hair salon (2017), dove il visitatore entra in un salone da parrucchiere con specchi e sedie ordinate, che però presenta delle sorprese. Alcuni specchi non mostrano i riflessi cosi come siamo abituati: non vediamo noi stessi, ma piuttosto persone che non sono nemmeno presenti nella stanza, che ci guardano disorientate quanto noi. In effetti, dall’altra parte di quello che pensiamo sia lo specchio c’è uno spazio completamente diverso. Erlich fa leva sulla nostra aspettativa che lo specchio mostri il nostro volto, mentre in realtà lo specchio è solo una cornice che separa un altro spazio vuoto, in un gioco percettivo di pieni e vuoti comune all’artista.
Ma il momento clou arriva alla fine della mostra, quando ci si imbatte in un’opera che sta monopolizzando i feed dei social network: Bâtiment (2004) è una riproduzione della facciata di un edificio, posizionata nel cortile interno di Palazzo Reale. I visitatori possono divertirsi simulando cadute e aggrappandosi a balconi e parapetti. Ma si tratta di un’illusione generata da un grande specchio inclinato che si staglia sopra di loro. È inevitabile associare un’opera come Bâtiment a una “instagrammabilità” che non conosce tregua, forse eccessiva. In effetti, chi scrive ha assistito alle file e agli assembramenti che si creano per scattare foto e selfie spettacolari, non solo nel cortile di Palazzo Reale, ma durante l’intero percorso della mostra. Tuttavia, è importante ricordare che l’interesse dell’artista per l’immersività e l’inganno percettivo ha radici molto anteriori al debutto degli smartphone e dei social network. Ciò che interessa all’artista argentino è l’esperienza in sé. La condivisione mediatica è comunque accolta con favore. Ben venga, quindi, l’approccio “social” alla visita della mostra. Senza però tralasciare di leggere e approfondire anche la biografia di Leandro Erlich.
Stefania Chines