Anche quel giorno l’alba imbevuta di rosa e violetto non la colse di sorpresa. Amava svegliarsi presto al mattino per inforcare la bicicletta e andare a comprare il giornale. Un’abitudine da paesotto di provincia che lei continuava a coltivare anche a Milano, sicura che un po’ di moto non solo l’avrebbe riconciliata con la bilancia, ma le avrebbe riequilibrato anche i pensieri.
“Un tempo a quest’ora dormivo profondamente. Chissà da quanti anni non faccio più le ore piccole”, pensò con una punta di rimpianto. D’un tratto vide avanzare una donna dai capelli castani, leggermente ondulati. Indossava un abito di seta bluette che la fasciava morbidamente. La cintura, stretta in vita, vibrava di sfumature tra l’azzurro scuro e il fiordaliso. Le maniche, arricciate ai polsi, facevano intravedere, attraverso uno spacco, le braccia affusolate.
“Un tempo possedevo un abito così anch’io. Non mi ricordo a chi l’ho regalato. Ma cosa ci fa una signora così elegante in giro da sola?”, si chiese continuando a pedalare nell’aria fresca del primo mattino.
Proseguì decisa sino a intravedere il fianco della Basilica di Sant’Eustorgio. Più avanti, sulla piazzetta, notò tre uomini con una cartella in mano. Una donna li intratteneva sfoggiando un eloquio che le parse divertente. Improvvisamente ecco che la donna si stacca e si mette a correre verso il portale principale della chiesa. Vuole entrare all’interno mentre i suoi compagni cercano di dissuaderla. “È ancora presto, ma se hai un po’ di pazienza fra mezz’ora qualcuno dovrebbe aprire le porte – le dice in tono comprensivo uno dei tre uomini -. Non capisco però perché tu stia fremendo. Eravamo qui due giorni fa. Ricordo il tuo stupore davanti all’Arca di San Pietro situata all’interno della Cappella Portinari. Il marmo bianco di Carrara del sarcofago ti avrà riportato a quell’estate ormai lontana”…
Sì, pensò lasciandosi alle spalle la Basilica, forse la donna si era perduta nello splendore del marmo minuziosamente scolpito ed era volata indietro nel tempo. Molti anni prima lei stessa aveva potuto constatare da vicino quanto sia duro il lavoro di estrazione dei blocchi nelle cave delle Alpi Apuane, nei pressi di Carrara. Da allora, ogni volta che ammirava la magnificenza di un’opera in marmo, ovunque si trovasse non poteva fare a meno di ricordare l’esperienza che aveva vissuto.
Fu a quel punto che il pendolo della sala, ricordo della sua infanzia in Lunigiana, batté le nove. Si svegliò intorpidita. Aveva sognato. Francesca non era mai uscita di casa. Era la seconda volta che vedeva in sogno la donna con l’abito bluette. Qualche sera prima l’aveva vista mentre si stava preparando a uscire. Aveva riconosciuto sua madre, giovane e radiosa. Si stava pettinando davanti a uno specchio situato sopra il lavandino di un piccolo bagno ordinato. “Sei troppo elegante per andare al mare”, le aveva detto nel sogno, mentre intravedeva il padre nel buio di un lungo corridoio. “Oggi vogliamo fare una passeggiata. Se vuoi ti aspettiamo tra un’oretta vicino alla fontana di marmo della piazza”, le aveva risposto sorridendo la madre. “Preferisco stare a casa. Ci vediamo stasera. Divertitevi”…
Stefania Chines