Miles Davis un mito? Innegabile. Ma perché e in che modo cerca di illustrarlo nel suo concerto-spettacolo KIND OF MILES (da ieri sera e fino a domenica prossima, 10 novembre, al Teatro Carcano) il trombettista, compositore e scrittore Paolo Fresu. KIND OF MILES chiude idealmente la trilogia, prodotta dal Teatro Stabile di Bolzano, dopo Tempo d Chet (spettacolo dedicato al trombettista californiano Chet Baker) e Tango Macondo (progetto sulla letteratura onirica sudamericana tra la Sardegna e l’Argentina). Mitico, dunque, Miles Davis (1926-1991), non solo trombettista e compositore, esponente di spicco del jazz e della musica pop e innovatore nel be-bop, cool, hard, jazz modale e jazz elettrico, tanto da essere ammesso, nel marzo 2006, alla Rock and Roll Hall of Fame. Paolo Fresu ha appreso da Miles Davis il culto del suono che può raccontare il concerto teatralizzato. “Senza Miles Davis la musica oggi sarebbe sicuramente diversa. Ha insegnato ad andare sempre avanti. Le sue mani rugose e scure, solcate dal tempo, disegnano il pianeta attraverso un reticolo di linee tra gli oceani, l’Africa e il mondo e hanno toccato il cuore”. “Credo che in questo momento storico ci sia un bisogno impellente di vedere oltre le cose. Forse saranno proprio la visionarietà, la poesia e il coraggio a darci la possibilità di salvare il pianeta”. “La personalità di Miles Davis appare non solo attraverso la sua tromba ma anche negli occhi profondi che inchiodano lo sguardo”. La scena si apre su due pareti di fondo di colore grigio, disposte ad angolo ottuso, su una delle quali campeggia un’esortazione che vuole invitare a suonare quello che non c’è e soprattutto ad andare al di là della musica che piace per avventurarsi oltre. I musicisti sono già tutti schierati sul palcoscenico davanti a noi: Bebo Ferra, chitarra elettrica; Dino Rubino, pianoforte e Fender Rhodes Electric Piano; Marco Bardoscia, contrabbasso; Stefano Bagnoli, batteria; Filippo Vignato, trombone, multi-effetti elettronici, keyboard; Federico Malaman, basso elettrico e Christian Meyer alla batteria. E Paolo Fresu, che nel corso della serata (un’ora e mezzo di concerto) si esibisce anche al flicorno e nei multi-effetti, racconta di quando si accostò alla tromba suonando nella banda di Berchidda, sua città natale in provincia di Sassari, imparando a conoscere lo strumento usando i pistoni e soprattutto la sordina, che conferisce un suono scuro e profondo. Orange e Diane. L’incontro con la musica di Miles Davis avvenne ascoltando Autumn Leaves, che Davis aveva eseguito con il suo quintetto a Juan-Les Pins nel 1963 in una maniera così lunare e nuova che Fresu, pur avendo suonato più e più volte Le foglie morte nei locali da ballo, non riuscì a riconoscerne nemmeno la melodia. Fu quella per il giovane Paolo la prima lezione di jazz, un’autentica folgorazione. Non meno emozionante è il ricordo dell’ultimo “incontro” con il grande musicista, quando lo “sfiorò” credendo di intravvederlo all’interno di una Mercedes nera dopo il concerto tenuto a Terni nell’ambito di “Umbria Jazz 1984”. Nella narrazione di Paolo Fresu, che presenta l’esecuzione di ogni brano con un aneddoto o un ricordo o una precisazione, la sua vita va di pari passo con i concerti, le incisioni o le geniali invenzioni di quel fuoriclasse della musica che è stato Miles Davis per il quale la musica, e non solo la vita, erano una questione di stile. Man mano le due pareti di fondo si animano di gioiose colorazioni, una scenografia che nell’ideazione di Marco Usuelli per i video e nella regia di Marc Bernard si compongono, scompongono e ricompongono in visual elaborati dal vivo sulla base di impulsi registrati da alcuni sensori indossati da Paolo Fresu, frutto della ricerca e dello sviluppo della Libera Università di Bolzano. Round Midnigth, Venere, Berlin. Carattere scontroso? Forse, all’apparenza. Ma Fresu rasenta la commozione quando parla di “un soffio che è carezza e graffio”. It never entered my mind, My funny Valenine, Jean Pierre. L’espressione “esecuzione totale” si addice perfettamente a questo artista che introdusse nelle performance pause e silenzi fino a magnificare la cosiddetta “nota fantasma”, privilegio di pochi. E ancora Call it nothing, Bess you is my woman now, Time after time e MalaMiles. Tredici brani eseguiti con assoluta partecipazione, alla quale il pubblico risponde tributando applausi a scena aperta. Anche Paolo Fresu, come Miles Davis, suona voltando le spalle agli ascoltatori o volgendo la tromba a terra per stabilire un rapporto più diretto con i musicisti e con la terra stessa. Una sorta di osmosi? Forse. Di certo una forte empatia con un pubblico preparato e attento. Tra i fumi finali, calorosi applausi a un musicista capace, proprio come Miles Davis, di far uscire dallo strumento note infinite…
Elisabetta Dente