Ivano Cipollaro, 41 anni, da 16 infermiere all’Ospedale San Paolo di Milano, una delle realtà lombarde che ha dedicato più spazio alla cura dei malati di Covid19. Lo abbiamo contattato per avere un punto di vista autentico, di chi è in prima linea ogni giorno al fianco dei malati…
Com’è la situazione nel Reparto di Rianimazione?
“Abbiamo vissuto un mese di marzo a dir poco allucinante. E’ stato molto pesante, dal punto di vista fisico e psicologico. Inizialmente dovevamo avere quattro posti letto dedicati al Covid19, ma nel giro di una settimana ci siamo trovati a riempire il reparto e sono diventati tutti posti per il Covid19. Abbiamo dovuto allestire anche alcune postazioni extra perché aumentavano i casi complessi da gestire. Ci hanno mandato infermieri da altri reparti a supporto perché la situazione era drammatica. Lavoriamo bardati dalla testa ai piedi e ci siamo trovati a fare turni senza neanche una pausa per andare in bagno, correndo da un paziente all’altro perché le singole situazioni si complicavano molto facilmente. E’ stato un periodo che non dimenticherò mai. Posso dire di aver visto l’Inferno perché noi infermieri, i medici e tutto il personale sanitario ci siamo trovati in una situazione totalmente imprevista, a lottare per salvare la vita delle persone facendo il possibile e qualche volta anche l’impossibile, spesso non riuscendoci e non riuscendo a capire neppure perché. Si è provato a fare di tutto, ma talvolta i pazienti non rispondevano e si vedeva nei nostri occhi la disperazione di essere impotenti davanti a certe situazioni. Abbiamo avuto tanti pazienti giovani che purtroppo non ce l’hanno fatta. Nelle settimane centrali spesso e volentieri tornavo a casa e facevo fatica a sgomberare la mente. Questa emergenza ha fatto esplodere una solidarietà davvero incredibile perché tante persone al di fuori dell’ospedale ci hanno sostenuto in qualsiasi modo, anche solo semplicemente preparandoci da mangiare. Ho amici che tutti i giorni mi lasciano davanti alla mia porta di casa decine di piatti pronti, che poi io porto ai colleghi. Questi gesti ci hanno aperto il cuore e ci hanno incoraggiato a resistere in una situazione così pesante, perché ci siamo sentiti coccolati in un momento davvero molto difficile”.
La situazione dei pazienti è migliorata nell’ultimo mese?
“Il miglioramento lo stiamo vedendo in questi ultimi giorni. Non c’è la stessa pressione: a marzo, quando un paziente moriva ne arrivava immediatamente un altro, per cui noi ci trovavamo ad allestire di nuovo immediatamente l’unità. Diciamo che ora la tensione si è un po’ attenuata e iniziamo a vedere una luce in fondo al tunnel. Però io invito alla prudenza più assoluta e a continuare a rimanere a casa senza muoversi ed evitando contatti, anche se sappiamo tutti che è dura. Però solo in questo modo si può combattere questa battaglia”.
Come mai i malati arrivano all’ospedale già in gravi condizioni?
“Si è visto che il Covid19 dà delle polmoniti pesanti, che non si erano mai viste e che spesso si aggravano di colpo. All’inizio i pazienti registrano una situazione abbastanza tranquilla, che si può gestire anche in un reparto di base, ma poi si aggravano all’improvviso e a quel punto hanno bisogno subito di ventilazione e di essere intubati. C’è anche una buona percentuale di malati che ha vissuto tutto il decorso della malattia con sintomi lievi, spesso senza una diagnosi per l’assenza dei tamponi”.
Noi semplici cittadini restiamo a casa. C’è qualcos’altro che possiamo fare per prevenire il contagio da Covid19 o avere una diagnosi precoce?
“Per la diagnosi precoce dovrebbero fare ovviamente più tamponi a tutti. L’unica cosa che potete fare veramente per evitare il contagio è restare a casa, non vedere amici, parenti, nessuno. Bisogna ragionare per prima cosa come se fossimo eventuali portatori sani (che devono proteggere gli altri) e poi come se gli altri fossero eventuali portatori sani e quindi pensare a proteggere noi stessi. Lavorando in un Reparto di Rianimazione mi sono completamente auto-isolato dal mondo, non vado a trovare neanche mia madre perché in questo momento devo tutelare per primi gli altri. Gli amici li sento e li vedo con video chiamate o semplici telefonate”.
È vero che si ammalano solo gli anziani?
“Non è vero. All’inizio della pandemia si è diffusa questa informazione e si raccontava che si trattava soltanto di un’influenza un po’ più forte e che a rischiare di più fossero gli anziani con patologie pregresse. I primi pazienti erano tutti intorno ai settant’anni, poi abbiamo iniziato ad averne anche di quaranta e cinquant’anni, senza alcuna patologia pregressa. Questo è un virus che non guarda in faccia a nessuno”…
Cristina Maranesi