Attrice dal 1996, regista, insegnante, giocatrice professionista dei Match d’Improvvisazione Teatrale e direttore artistico del Teatro del Vigentino. Nonostante le aspirazioni del padre ingegnere per una carriera scientifica, Isabella Cremonesi sogna fin da piccola l’accademia del Piccolo Teatro, anche se l’innata timidezza (parole sue) “mi paralizzava al tal punto che non mi presentai mai ai provini, mio vero desiderio mai soddisfatto, con grande frustrazione”. Si laurea allora in Scienze Agrarie, trovando subito dopo lavoro all’interno di un’azienda di medicinali omeopatici, finché un’amica la iscrive a sorpresa ad un corso serale di teatro. Da quella passione si svilupperà una vera professione: nel 1993, a seguito di uno stage su William Shakespeare frequenta il corso triennale di Teatro e Recitazione di Silvana Rossello (attrice del Teatro Arsenale di Milano) e dal 1994, per quattro anni, entra a far parte della compagnia teatrale Verde-Rossello, con la quale porta in scena numerosi spettacoli per bambini e adulti dell’autore-regista Mauro Lo Verde. Da allora insegna teatro e ventidue anni fa, tra i soci fondatori dell’associazione Plateali di Varese, diventa ufficialmente docente di Improvvisazione Teatrale. Nel 2003, su una parte dell’ex area di via Matera 5, antica proprietà della famiglia Cremonesi, ottiene l’autorizzazione per effettuare i lavori di ristrutturazione dell’edificio che diventerà il Teatro del Vigentino, oggi casa dell’Improvvisazione Teatrale milanese. Nel dicembre 2004 ottiene un riconoscimento per il percorso formativo gratuito della Formaper, dal titolo “Corso per donne d’impresa” (indetto dalla Provincia di Milano e dalla Camera di Commercio) e nel marzo 2005 è vincitrice del bando del Comune in sostegno alle piccole imprese delle zone periferiche. “Due risultati che ho apprezzato in maniera particolare” spiega l’attrice milanese, “non solo per il valore materiale, ma soprattutto per la conferma autorevole che il progetto che stavo avviando veniva considerato per la sua qualità”.
Vuoi raccontarci cosa sono, in sostanza, i Match d’Improvvisazione Teatrale?
“L’Improvvisazione Teatrale è l’arte di creare da un semplice input fornito dal pubblico (una parola, un’emozione, una frase, un aneddoto) una storia inedita che nasce in presenza degli spettatori e non più ripetuta nel tempo. L’attore di improvvisazione deve sviluppare, oltre alla competenza attorale classica (uso del corpo, della voce, delle emozioni), determinate caratteristiche per interagire con i compagni di scena: ascolto, attenzione, elasticità, spontaneità, creatività e generosità. In pratica, deve essere insieme attore-coreografo-regista. Il format nasce nel 1977 a Montréal da due attori canadesi, Robert Gravel e Yvon Leduc. L’ambientazione è quella di una partita di hockey su ghiaccio, lo sport nazionale canadese. Lo spirito è tipico di una competizione artistico-sportiva tra due squadre di giocatori-attori che si contendono la vittoria in “90 minuti di gioco” (chiamiamoli così) divisi in due tempi. E il pubblico è il vero protagonista della serata: suggerisce i temi all’arbitro, vota dopo ogni improvvisazione per l’una o per l’altra squadra, determinando l’andamento del match, e può addirittura esprimere il proprio dissenso, lanciando una ciabatta all’inflessibile arbitro (e ride). Un maestro di cerimonia, infine, spiega le varie fasi del gioco, mentre un musico improvvisatore crea le giuste atmosfere”.
Hai creato anche diversi altri format di improvvisazione, molto amati dal pubblico, provando anche a riproporre i monologhi del cosiddetto “teatro-canzone”, tanto caro agli amanti (e orfani) di Giorno Gaber e Sandro Luporini…
“Il Teatro del Vigentino è la casa dell’Improvvisazione Teatrale, nella nostra città, ma ogni tanto mi piace ritagliarmi un momento di teatro di prosa. Mettendo insieme miei monologhi scritti e fatti negli anni, canzoni e poesie, è nato “Il corpo dell’amore”, in scena io e tre musicisti. La mia formazione teatrale viene anche dagli spettacoli visti negli anni ‘70-‘80, da Giorgio Gaber a Enzo Jannacci, a Franca Rame e Dario Fo. Diversi sono i format d’improvvisazione da me ideati, due quelli più amati dal pubblico: il primo è “Ah…Però! – Improvvisazione al bicchiere”, appuntamento fisso ormai dal 2016, tutte le prime domeniche del mese, protagonisti quattro attori, un “musicattore” e…un bicchiere di vino per tutti! Gli improvvisatori si ispirano a tutto quello che il pubblico ha voglia di raccontare: la propria giornata tipo, la stanza preferita, il giorno più bello e quello più brutto, amici e animali, storie d’amore o tradimenti, fortune e sfortune, realtà e finzione. Il secondo è “La Città delle dame – teatro d’improvvisazione al femminile”, con protagoniste quattro attrici e una contrabbassista che mettono in scena storie improvvisate, prendendo spunto dai grandi drammaturghi: Pirandello, Shakespeare, De Filippo e Moliere. Ogni storia è preceduta da una breve presentazione dell’autore e un suo monologo. L’idea di questo spettacolo nasce dalla considerazione che l’Improvvisazione Teatrale, almeno nei primi anni, è stata caratterizzata da un ambiente prevalentemente maschile. Noi donne, improvvisatrici professioniste, fino ai primi anni del Duemila, eravamo veramente poche e giocoforza, durante gli spettacoli, eravamo spesso costrette a ricoprire i soliti ruoli (madre, amante, prostituta o suocera), stereotipi subordinati alla comicità maschile. Così, insieme a Linda Corsini abbiamo pensato di creare uno spettacolo d’improvvisazione tutto al femminile. In scena solo donne, mentre gli uomini sono soltanto evocati. In questo modo abbiamo potuto riprenderci quei ruoli che solitamente non siamo riuscite a ritagliarci, enfatizzando la comicità femminile, con la debita connotazione, dai tempi lenti alle battute più salaci”.
Parliamo della nostra Milano, adesso. Com’è cambiata e come sta cambiando, secondo te, alla luce degli ultimi due importanti avvenimenti, in ordine cronologico: l’Expo del 2015 e la sciagurata pandemia del 2020, che ci ha visto, nostro malgrado, principali quanto involontari protagonisti?
“Senza affrontare ora i lati negativi, se non tragici degli eventi, mi concentrerò sui risvolti positivi. Con l’Esposizione Universale di sette anni fa, Milano ha cominciato una ristrutturazione e una valorizzazione dei suoi angoli caratteristici, ad esempio tutta la zona dei Navigli, dalla Darsena alle piste ciclabili (ancora insufficienti, ma è un inizio), dalla riapertura del Teatro Lirico alla zona Duomo. Gli eventi e le manifestazioni culturali sono stati tanti e lo sono ancora di più oggi. Milano si è fatta finalmente conoscere ed è diventata una città europea a tutti gli effetti. Con la pandemia, dopo due anni di stallo, abbiamo ripreso davvero alla grande. La gente ha di nuovo voglia di ridere, socializzare, in una parola “esserci”. Durante il lockdown si è tanto parlato delle categorie più penalizzate dalla chiusura, nello specifico spesso si è portato alla luce tutto il lavoro e le figure che girano intorno a uno spettacolo teatrale. Un messaggio che ha avuto un peso e che personalmente riscontro nell’atteggiamento ancora più benevolo e rispettoso del mio pubblico, soprattutto correttezza nella prenotazione degli spettacoli e profusione nei complimenti e nei ringraziamenti post serata”.
È semplice o difficile fare teatro a Milano? È la città delle grandi opportunità, da un lato, ma è anche un palcoscenico molto complicato, da un altro…
“È vero, la città è grande e le proposte sono moltissime, si rischia la dispersione. Probabilmente, in realtà più piccole si svetta maggiormente, ma se si sanno offrire proposte chiare, in modo da distinguersi, ognuno può trovare il suo pubblico. E soprattutto, se la qualità è buona, sono ancora convinta che il passaparola valga più di qualsiasi altra forma pubblicitaria”.
Ritieni Milano una città a misura di donna? Ambiti come la cultura, la sicurezza e il lavoro privilegiano la condizione femminile?
“Personalmente sono sempre riuscita a realizzare tutto (o quasi) di quello che ho avuto in mente di fare. Anzi, da donna sono riuscita ad avere anche agevolazioni, da parte del Comune e della Provincia. Sinceramente, invece, riguardo alla sicurezza, non saprei dove collocare Milano, rispetto ad altre città d’Italia”.
Per concludere, Isabella: secondo te cambierà ancora lo stile di vita a Milano? Con la pandemia i suoi abitanti sono stati costretti a cambiarlo, visto che questa città vive delle sue relazioni, degli incontri che diventano occasioni e progetti e invece per molto tempo ha dovuto organizzarsi diversamente, con i social network e le video chiamate. E adesso, invece, cosa pensi che stia accadendo e che accadrà, da questo punto di vista?
“Per quanto mi riguarda, l’introduzione dello smartworking ha portato i miei allievi ad avere finalmente orari di lavoro più umani ed elastici e di conseguenza potersi concedere maggiormente momenti personali di svago. Adesso riescono a presentarsi a lezione anche alle 19.00, quando fino a due anni fa l’appuntamento del dopolavoro non poteva essere prima delle 20.30, quando non le 21.00. Cosa ci riserverà il futuro? Sinceramente non lo so, o almeno lo immagino difficilmente, ma qualsiasi cosa accadrà noi siamo comunque pronti: improvviseremo, come sempre”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)