William Shakespeare, SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE – Riccardo Favaro, (commento continuo). Che cosa accomuna la commedia del Bardo (scritta intorno al 1595 e la più famosa fra le sue opere di genere comico) e il testo del drammaturgo trevigiano, classe 1994? Qual è il trait d’union fra il SOGNO, nuova produzione del Piccolo Teatro, e la stagione in corso? Il collegamento sostanziale fra l’attuale messa in scena in forma di spettacolo, fino al 22 dicembre prossimo al Piccolo Teatro Studio Melato, dopo il primo studio presentato nel giugno scorso dalle allieve e dagli allievi dell’ultimo triennio della Scuola di recitazione del Piccolo, con la regia di Carmelo Rifici e con il contributo di Riccardo Favaro, è la potente metafora del bosco, che è la cornice ideale di questa rappresentazione, parte integrante dell’insieme dei punti di vista che costituiscono la struttura delle rappresentazioni di quest’anno. “Grande banco di prova, dunque, Shakespeare”, dichiara Rifici, perché è un autore di riferimento, perché offre ai giovani gli elementi per comprendere cos’è l’arte del teatro e cosa significa recitare. Per me Shakespeare è ogni volta una scoperta inquietante e turbolenta”. Da qui nasce (commento continuo): da un lato l’esigenza di creare un dialogo fra il testo e le attrici e gli attori e dall’altro di mettere in dialogo il testo shakespeariano con un testo scritto da Favaro, che si è rivelato un testo scritto soprattutto per attori, in questo allestimento una compagnia di 24 giovani neodiplomati. Nelle sue molte dinamiche il SOGNO shakespeariano suscita nello spettatore domande che rispecchiano il nostro presente, esattamente come il sipario di specchi nella scenografia di Paolo Di Benedetto che fanno da contraltare agli attori. Più che sui temi delle magie e degli incantamenti, degli inseguimenti notturni e degli amori non corrisposti, Rifici desidera porre in risalto i vari aspetti del potere e delle sue conseguenze sulla vita individuale e collettiva. Mettere in un angolo se non addirittura espellere dalla società l’estraneo, il diverso, ciò che appare ingovernabile, addirittura ingabbiare l’amore. Ma l’amore può essere controllato? Crisi in ogni ambito: economico, politico, ambientale. Illusione di libertà e di espressione. Un capolavoro tuttora più che attuale, un classico ancora capace di parlarci, di farci riflettere sul presente in maniera prepotente. Alla lingua del Bardo si accosta in maniera poetica la lingua di Favaro in un dialogo costante. In una scena libera da elementi naturalistici non c’è il bosco. Il riflesso è la nemesi, cioè il contrario. La scena ci presenta una terra arida sulla quale un potere esacerbato vuole imporre sempre più la propria volontà di dominio e di controllo, dove niente può superare i limiti imposti dallo Stato. Appare dunque evidente come non è il comico la lente di ingrandimento con la quale guardare al testo, tant’è che le schermaglie amorose dei protagonisti delle due coppie – Oberon e Titania, Ippolita e Teseo – si traducono in vere e proprie scene di guerra nelle quali tutti sono allo stesso tempo carnefici e vittime. Ma un momento esilarante ci viene regalato dai buffoni nella rappresentazione alle nozze di Teseo della vicenda dell’infelice amore fra Piramo e Tisbe. Il tutto è sottolineato dall’efficace commento sonoro delle musiche suonate dal vivo di Federica Furlani e dai costumi di Margherita Baldini, felice commistione di tessuti e fogge d’epoca e forme contemporanee. Ma l’amore può essere controllato? Nemmeno la rima di questo testo densissimo riesce a contenerlo, a delimitarlo perché – ammonisce Shakespeare – il buio è lutto e la luce è tutto, come l’amore. E lo esprime con grande entusiasmo tutta la compagnia, chiamata tre volte per gli applausi finali.
Elisabetta Dente
(Musiche dal vivo di Federica Furlani)
(Immagine di copertina di Masiar Pasquali)