Quando nel lontano 1768 la Ditta Guenzati aprì i battenti nei pressi di Piazza Cordusio Alessandro Manzoni non era ancora nato. “Sarebbero dovuti passare quasi vent’anni, prima che il grande scrittore venisse alla luce”, dice Luigi Ragno, attuale titolare del negozio più antico di Milano e presidente dell’Associazione Botteghe Storiche di Lombardia. “La nostra è una storia che si perde davvero nella notte dei tempi, ma che è sempre stata costellata di successi, fin dal debutto, quando si commercializzavano tessuti di seta. L’ultima battaglia è stata vinta nel 2018 grazie alla riapertura nella nuova sede di via Agnello”. Sono ormai passati due anni dal trasloco che ha segnato un nuovo inizio per la regina delle botteghe storiche meneghine, dopo essere rimasta per tanto tempo nell’incertezza a causa del mancato rinnovo del contratto di locazione in via Mercanti. Ed è una gioia per l’anima, per chi si reca nel centro di Milano, sapere di potere ancora ammirare le celebri vetrine “British Style”. All’interno, dove i mobili storici hanno permesso di ricreare la stessa atmosfera del negozio del Cordusio, la scelta è ampia: ci si perde letteralmente tra pile di stoffe tartan, cappelli, sciarpe, maglie, panciotti, cravatte, calze. E si possono acquistare anche accessori, ombrelli e bastoni da passeggio, tutto di produzione rigorosamente anglosassone. Luigi Ragno è il figlio di Vittorio, a cui si deve l’intuizione geniale di orientare l’attività verso l’impeccabile ed elegante stile inglese. Ma qui bisogna risalire agli anni ‘60 per narrare un episodio che tocca il cuore. “Ormai appagati dal successo e dai ragguardevoli profitti i proprietari di allora, i fratelli Tomegno, anziani e senza eredi, decisero di cedere la loro bicentenaria attività ai commessi più giovani. Era il 5 giugno del 1968, quando mio padre Vittorio e Angelo Moretti divennero ufficialmente i nuovi titolari, dando continuità a una tradizione che da sempre caratterizza la Ditta Guenzati: quella di affidare l’azienda ai dipendenti più meritevoli. Di fatto, nel corso di ben 252 anni, la società non è mai stata venduta, ma solo ceduta gratuitamente ai commessi che si sono distinti per la loro bravura con la solenne promessa di non cambiarne il nome”.
Dopo avere ricevuto lo scorso anno l’Ambrogino d’oro, che cosa può desiderare oggi chi è alla guida di un’attività sinonimo di buon gusto e tradizione come Guenzati?
“L’Ambrogino d’Oro, che per le aziende che si sono contraddistinte per meriti particolari si traduce nell’Attestato di Benemerenza Civica, è un riconoscimento che ci riempie di gioia e di orgoglio. Giunto forse nel momento più opportuno a coronamento di una battaglia durata 3 interminabili anni, in qualche modo ha sancito quanto oggi sia importante preservare e tutelare quei piccoli gioielli commerciali rappresentati dalle Botteghe Storiche. Purtroppo questa domanda mi viene posta in un momento MOLTO delicato ed allarmante, visto ciò che sta provocando nel nostro paese l’epidemia derivante dal Covid-19. Per tornare a sognare dobbiamo augurarci che questa situazione possa risolversi nel più breve tempo possibile, soprattutto perché le risorse delle piccole attività per la maggior parte a conduzione familiare non possono durare in eterno, anzi. Ci auspichiamo tutti che si torni alla normalità quanto prima, anche se, purtroppo, vista la gravità della situazione credo che necessiteranno almeno un paio di mesi prima di tornare ad una pseudo normalità su scala nazionale, mentre almeno un anno per rivitalizzare il nostro ‘appeal’ internazionale, anche se ovviamente spero di sbagliarmi vivamente. Comunque per tornare alla tua domanda iniziale direi che la risposta più appropriata sia il ritorno al bello e alla qualità, e in generale alla professionalità e alla gentilezza. Credo che ancora oggi il sogno di tutti sia quello di vedere una stabilità economica e politica che oramai manca da fin troppo tempo nel nostro Paese ed un piano industriale serio che possa garantire certezze e futuro alle generazioni più giovani e future. Più nello specifico credo che per la nostra azienda, che si è sempre contraddistinta per professionalità e attenzione verso la propria clientela, tutto ciò si tradurrebbe in una maggior attenzione del pubblico verso il prodotto di qualità. E di questo ne sono fortemente convinto”.
Anche se la domanda può sembrare scontata, cosa manca in questo momento al Centro di Milano?
“Oggi manca la gente, mancano i milanesi, i turisti, i passanti. Una situazione che si è venuta purtroppo a creare col dilagare del Coronavirus e che sta infliggendo alla nostra povera città un’atmosfera surreale. Agli occhi degli abitanti sembra stagliarsi un paesaggio lunare. E il mio pensiero non può che essere rivolto a tutte quelle persone che per tanti giorni hanno vissuto nelle cosiddette “zone rosse”, costrette a destreggiarsi in un incredibile regime d’isolamento. Se invece mi avessi posto questa domanda quindici giorni fa ti avrei risposto che i cosiddetti negozi di quartiere, ovvero quelle piccole realtà commerciali, che con la loro presenza e la loro variegata offerta di prodotti (certamente di qualità superiore rispetto al prodotto globalizzato, che appare molto economico, ma che risulta essere di scarsa qualità) farebbero sicuramente la differenza rispetto a quell’offerta commerciale che oggi imperversa un po’ ovunque, non solo a Milano, ma più o meno in tutto il globo. Un’offerta che sta trasformando le vie del centro in veri e propri cloni di tante altre città del mondo, dove s’impongono standard pressoché identici”.
Siamo sempre stati famosi in tutto il mondo per il nostro Made in Italy, per le eccellenze in tutti i campi, dall’artigianato alla gastronomia. Il 2015 lo ha dimostrato pienamente, grazie a quella grandissima vetrina sul mondo che è stato l’Expo. Ma è un ricordo ormai lontano?
“Cinque anni fa l’Esposizione Universale aveva attirato una moltitudine di turisti da tutte le parti del mondo e fino a non molto tempo fa il nostro Paese continuava ad attirare ogni anno milioni di viaggiatori che venivano ad ammirare la nostra arte, a conoscere la nostra cultura, a gustare i nostri piatti, a deliziarsi del nostro artigianato alla ricerca di quella unicità che è propria del nostro Paese. Ma già da prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria avevo la netta sensazione che si stesse facendo di tutto per distruggere, pezzetto dopo pezzetto, proprio quella peculiarità che ancora oggi ci rende diversi da tutti gli altri. A tutt’oggi ho il sospetto che si voglia trasformare e rendere la nostra “shopping experience milanese” (come si tende a definirla oggi, fatta eccezione per il Quadrilatero della Moda) simile quella di tante altre metropoli internazionali, con l’enorme rischio di finire per cancellare in modo irreparabile quella unicità che ci ha resi famosi nel mondo e che è tanto apprezzata dal turismo internazionale. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti l’imperversante e irrefrenabile tendenza del mercato a prediligere l’offerta di brand appartenenti a multinazionali disposte, tra l’altro, a pagare affitti da capogiro pur di accaparrarsi un locale particolare o una posizione strategica, a discapito ovviamente dei piccoli commercianti e degli artigiani, che invece non possono competere economicamente con i giganti dello shopping di massa”.
Quindi sarebbe bello veder rifiorire in tante vie, a pochi passi dal Duomo, quei negozi e quegli esercizi che anni addietro contribuirono a rendere grande la nostra città…
“Rimpiango quelle realtà che hanno caratterizzato tutti i quartieri, che sono stati importanti punti di riferimento e di aggregazione per i cittadini. Oggi invece assistiamo al sistematico spopolamento commerciale di intere vie a causa della costruzione di immensi centri commerciali, che finiscono per offrire più o meno le stesse cose. Sì, il mio sogno più grande sarebbe quello di assistere, dopo anni di scempio e di chiusure di molte attività, a un’inversione di marcia”.
Qual è invece, secondo te, il punto di forza del Centro di Milano?
“La Municipalità milanese, negli ultimi dieci anni, ha fatto un ottimo lavoro perché la nostra città potesse fare quel salto di qualità tanto agognato e diventasse un grande competitor europeo, al pari di tante altre metropoli internazionali. Ci siamo presentati alla vigilia dell’Expo con un po’ di affanno, ma poi ne siamo usciti alla grande. Milano, forte della sua instancabile operosità, è riuscita ad ottenere risultati incredibili e forse per certi versi persino insperati. I frutti che sono stati raccolti nei successivi cinque anni sono stati un enorme e inequivocabile successo. Milano si è fatta bella, se possibile ancor più organizzata, ricca di eventi. È stata riscoperta dal turismo (nazionale e internazionale) ed è finalmente tornata a vivere e a divertirsi, dopo decenni di cupidigia, incertezza e mediocrità, durante i quali si lavorava correndo e nulla di più. Ora sarebbe un vero peccato perdere tutto quello che si è così faticosamente ottenuto”.
Come si potrà rendere di nuovo attrattivo il nostro Centro?
“Ora serve l’impegno di tutti, ma sono fiducioso, Milano, nel corso della sua lunghissima storia, ha sempre dimostrato una capacità di reazione e di ripresa eccezionali. Perciò sono convinto che anche questo drammatico momento, che ha sconvolto l’esistenza di tutti, sarà brillantemente superato con lo stesso impegno e il rigore di sempre”.
Stefania Chines