I “paninari” milanesi in Liguria avevano l’occhio…pesto

Milano si racconta

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Una volta, Milano era una città industriale. A nord della città, a Sesto San Giovanni, c’erano le grandi fabbriche: le acciaierie della Falck, la Magneti Marelli, la Pirelli. E, intorno a esse, in tutto l’hinterland, crescevano tante piccole aziende che fornivano prodotti a queste industrie. Era l’indotto. Poi tutto questo, lentamente, finì. Le ripetute crisi degli anni Settanta decretarono il ridimensionamento delle grandi fabbriche e la morte di tante piccole imprese.

A Milano nacquero nuovi interessi economici: la borsa di piazza Affari, le banche, il terziario che per lungo tempo si pensò potesse dare nuova linfa vitale all’economia della città.

Così, negli anni Ottanta, i piccoli imprenditori, che alla mattina sciamavano dalle loro case in città verso i capannoni dell’hinterland, lasciarono il posto a nuovi professionisti: commercialisti, procuratori di borsa, dirigenti di banca. Cambiò la fisionomia della borghesia milanese, anche sull’onda dello sile di vita e di economia proposto, al di là dell’Atlantico, da Ronald Reagan. Gli scambi finanziari come motore dell’economia, l’edonismo come stile di vita.

E i nuovi professionisti milanesi la vita amavano godersela e trasmisero ai loro figli questa idea.

I figli, a loro volta, non si fecero pregare. Crebbe così una generazione di ragazzi tutto sommato disimpegnati, ben diversi dai loro zii di dieci anni prima.

Adottarono uno stile di vita improntato alla spensieratezza e si riconobbero fra di loro, inventando nuovi codici di comunicazione, basati sul vestiario, sul tipo di locali frequentati, sulla musica.

Erano nati i “paninari”, che vestivano rigorosamente con i piumini Monclair, gli anfibi Timberland, i jeans di Armani e i cinturoni texani Charro.

I paninari ascoltavano i Duran Duran e gli Spandau Ballet.

I paninari frequentavano i nuovi locali dove, per la prima volta, i milanesi potevano assaggiare gli hamburger all’americana: Wendy, o Burghy, e da qui nacque il loro nome di paninari, un dispregiativo che loro seppero adottare come status di riconoscimento reciproco.

I paninari si muovevano in moto, le 125 cc che potevano essere guidate da un sedicenne, ma non delle 125 qualsiasi: Cagiva o Zundapp.

I paninari si frequentavano fra di loro ed erano gruppi chiusi agli “sfigati” che non condividevano il loro stile di vita e di abbigliamento.

L’estate, i loro genitori benestanti migravano nella vicina Liguria, dove si erano comprati delle case, a Pietra Ligure, a Rapallo, ad Alassio, e i figli andavano con loro, ricreando le stesse dinamiche di gruppo “paninare” anche sulla costa ligure.

I ragazzi milanesi arrivavano al mare, chi si era portato la moto sfrecciava sul lungomare, i bar locali venivano invasi, le ragazze locali venivano implacabilmente addocchiate e corteggiate, per avere l’avventura estiva di cui vantarsi con gli amici durante il lungo inverno milanese.

Ma, ahimè, in Liguria c’erano i ragazzi liguri, di più umili origini, senza abiti firmati e molto gelosi dei loro luoghi e delle loro ragazze.

Così, i liguri disprezzavano i milanesi che vedevano come invasori, i milanesi disprezzavano i liguri, in quanto privi di tutti quei capi d’abbigliamento e quegli oggetti che definivano lo status di paninaro del milanese.

Un giorno, un milanese, in un bar in Liguria, diede libero sfogo a tutto ciò, definendo i liguri una massa di zotici ignoranti e sfigati, che si meritavano di vedersi soffiare le ragazze dai milanesi in vacanza.

Il paninaro si dimenticò presto della sua sparata, senza sapere che qualcuno l’aveva sentita e, da quel momento, aveva cominciato a raccogliere informazioni su di lui. I ragazzi liguri, che erano un po’ meno zotici e sfigati di quanto pensasse il paninaro, fecero alla svelta a sapere come si chiamava, dove andava a scuola e quali erano le sue abitudini.

Ritroviamo il paninaro, che frequentava il mio stesso liceo, a settembre, fuori dal bar davanti alla scuola, un ritrovo di paninari, con una Coca Cola in mano.

Si avvicina un ragazzo vestito umilmente. Lo guarda. Il paninaro squadra l’abbigliamento del nuovo arrivato e ricambia lo sguardo con strafottenza.

“Tu sei il paninaro che ha detto che i liguri sono zotici e sfigati?”.

“Sì, che vuoi?”.

Non c’è nessuna risposta. Il pugno parte fulmineo. Un diretto destro, che impatta fra lo zigomo e l’occhio.

Il paninaro barcolla, il dolore è forte, ma ancora più forte è la sopresa.

Non ha nemmeno il tempo di reagire, il suo sguardo implora una spiegazione.

Il ragazzo gli dice: “Così impari a insultare noi liguri. Adesso riprendo il treno e torno a casa mia”.

Gira i tacchi e se ne va.

Quel ragazzo era venuto espressamente a Milano per cercare e “punire” il milanese.

L’esecuzione era compiuta. L’onore dei liguri era stato difeso.

 

Marco Lombardi

(giornalista e scrittore)