E se fosse Milano la vera protagonista de “I promessi sposi”?
Come anticipato nella precedente puntata, analizzeremo e metteremo a confronto la Milano manzoniana del romanzo, i luoghi della città presenti tra le pagine dell’opera, con la Milano e i medesimi luoghi dei giorni nostri.
Quali sono? Dove? Come si presentano oggi?
In questa puntata parleremo delle “Forme della città”, com’era la Milano seicentesca, quella del romanzo e come si presenta quella di oggi.
LA MILANO DEL SEICENTO
La Milano del XVII secolo era terra di conquista. La dominazione spagnola (disinteressata allo sviluppo economico e culturale della città), la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), le disparità tra gli strati della società e la peste del 1630 furono le principali cause che portarono a un crollo della città.
In realtà Milano aveva delle grandi potenzialità, non solo per la sua posizione geografica, ma anche per la vita intellettuale e culturale. L’unica classe della società che trovò una fase di benessere e crescita fu la ricca borghesia. Il mercato, finalizzato alla ricerca del lusso, era tenuto in vita dai nobili, dal clero e dalla ricca borghesia: nella Milano del Seicento prosperavano e si arricchivano sarti, architetti, pittori, costruttori di carrozze, orefici e profumieri.
Giuseppe Ripamonti descriveva così la Milano secentesca:
“Milano, potente per uomini, armi e ingegni, non è soltanto dominatrice de’ confinanti popoli, ma nutrice altresì di estranee genti. (…)
Non ha Milano più di settemila passi in circuito, ma fu tanto popolata, che molti de’ suoi quartieri somiglierebbero ad altrettante città qualora venissero isolati. Contava un tempo trecentomila abitanti; duecentomila avanti la peste, cui mi sono proposto di descrivere. Le abitazioni e i vestiti dei cittadini erano tali, che appalesavano ricchezza principesca (…)
… a Milano non fiorivano soltanto le belle arti, le quali, inventate dai Greci, dilettano gli occhi e l’udito, ma altresì le scienze educatrici degli uomini. Molti coltivarono con buon esito l’eloquenza e la poesia, lasciando prova nelle opere loro. (…)
Né la pestilenza, che tanti danni arrecò, mutando quasi interamente le cose, poté gran fatto nuocere alle lettere”.
L’egemonia spagnola trasformò la città in una vera base militare. Importante, in tal senso, fu l’istituzione dell’esercito: gli uomini si arruolavano, spinti dalla necessità, alcuni dalla fama; i più ricchi, arrivavano ad armare a loro spese piccoli eserciti.
Le femmine nobili, invece, erano spesso rinchiuse nei conventi.
Scrive così Indro Montanelli:
“La regione costituiva una base militare d’eccezionale importanza strategica grazie alle sue piazzeforti, rifugi e centri di rifornimento degli eserciti spagnoli. A Milano, il famoso Castello era una città nella città. Ospitava una guarnigione di cinquecento uomini, le sue mura si snodavano per un miglio e mezzo cingendo case, botteghe, cinque pozzi, un ospedale, un mulino, una chiesa con otto cappellani e un curato”.
Quello che risulta da queste poche righe è la centralità del Castello Sforzesco. Esso rappresentava il luogo principale della città, insieme alle mura spagnole.
Indro Montanelli prosegue:
“La Guerra dei Trent’anni causò un continuo via-vai di truppe, che avevano trasformato Milano in un’immensa, desolata brughiera. Le campagne si erano spopolate, molti contadini per sfuggire alle violenze e ai saccheggi delle soldatesche si erano inurbati mettendo in crisi l’agricoltura.
Gli spagnoli non solo avevano assistito a questa rovina, ma con la loro sordità ai problemi economici, ne avevano accelerato il corso. Consideravano la Lombardia una semplice base militare e s’infischiavano della sua prosperità”.
I milanesi erano considerati, a tutti gli effetti, un popolo sottomesso, allo stesso livello di tutte le altre colonie spagnole.
La polizia era inefficiente e spesso corrotta. Numerose bande di briganti circolavano in città e in campagna, terrorizzando contadini e viandanti; cresceva sempre più il numero di scassinatori, contrabbandieri e ladri di bestiame. Milano era insomma un luogo pieno di disordini, persone insoddisfatte, povertà, violenza e discriminazioni.
Poi giunse la peste del 1630.
A darci un quadro più dettagliato della Milano di quegli anni, ci ha pensato, con il suo romanzo, Alessandro Manzoni.
LA MILANO DEI PROMESSI SPOSI
La città di Milano ai tempi dello scrittore non era cambiata molto rispetto al Seicento, sia dal punto di vista ambientale che sociale.
La stesura de I Promessi Sposi fu accompagnata da un’accurata documentazione su fonti dell’epoca, sì che Manzoni fu in grado di ricostruire fedelmente l’ambiente (fisico e sociale) nel quale si sviluppano le avventure di Renzo e degli altri personaggi.
A dimostrazione di questo, riporto un biglietto inviato da Manzoni a gaetano Cattaneo, suo carissimo amico, pittore e incisore di monete, che gli fu di grande aiuto nella ricerca di informazioni e libri:
A Gaetano Cattaneo – Milano
… Visconti m’ha riportata la tua graziosa domanda se m’abbisognassero libri ancora; questo mi fa coraggio a domandarti se alla grande Biblioteca si trovano le Gride dal 1626 al 33, che mancano al Gridario che hai avuto la compiacenza di mandarmi. (…)
Se mai avessi sotto agli occhi qualche libro della prima metà del secolo decimosettimo, stampato in Milano, e che possa dare notizie sui fatti, sui costumi di quell’epoca, mi faresti un regalo a prestarmelo.
Gradisci i complimenti della mia famiglia, e conservami la tua amicizia.
Il tuo M.
La più importante fonte storica per il Manzoni fu Giuseppe Ripamonti, autore di De peste Mediolani quae fuit anno 1630.
Ambientando I Promessi Sposi nel Seicento, e volendo ricreare fedelmente gli scenari di quel tempo, il Manzoni fece buon uso delle cronache e delle descrizioni del Ripamonti anche per quanto riguarda i singoli edifici.
Nelle prossime puntate, non verranno analizzati e confrontati alcuni luoghi di Milano presenti nel romanzo, in quanto privi di una descrizione tale da poter permetter di operare dei confronti; ma penso sia ugualmente importante dare qualche informazione su di essi:
Il forno delle grucce: il prestino era situato all’incirca tra le attuali vie Santa Radegonda e Agnello. Via Santa Radegonda deve il suo nome da un antico monastero di monache canterine, soppresso a fine Settecento per permettere di accedere al Teatro alla Scala.
La casa del vicario: era situata dove oggi vi è il civico 79 di Via Santa Maria Segreta, angolo Via Meravigli.
Il Castello Sforzesco: è solo accennato dal Manzoni, in occasione dell’assalto ai forni. Era inizialmente chiamato “di porta Giovia” perché si trovava vicino alla “porta di Giove” (porta Iovis) dell’antica Mediolanum romana.
L’osteria della Luna Piena: ci sono parecchi dubbi riguardo la sua posizione. C’è chi sostiene che si tratti di Via Rovello, altri sostengono Via san Tomaso; ma la più affidabile sembra essere Via Armorari, dietro l’attuale piazza Cordusio.
Il Palazzo di Giustizia: è l’edificio verso il quale si dirige l’oste dell’osteria della Luna Piena per denunciare Renzo. Oggi ospita la Polizia urbana ed è situato in piazza Fontana.
La casa di Cecilia: secondo il Bindoni, si trovava in corrispondenza dell’attuale civico 10 di Via Verri
La casa di don Ferrante: dopo aver camminato lungo Via Monte Napoleone, Renzo giunge alla casa don Ferrante, situata in Via del Gesù (l’antico borgo del Gesù).
Il cimitero di San Gregorio: è nominato da padre Felice durante una sua predica. Si trovava alle spalle del Lazzaretto e fu demolito nel 1883.
MILANO OGGI
Dal XVII secolo, Milano si è estesa notevolmente, quasi a macchia d’olio. Basti pensare che costituisce, con i comuni limitrofi, un’area metropolitana di oltre quattro milioni di abitanti. Oggi i grattacapi non sono dovuti alla dominazione spagnole, alla peste, alla povertà, bensì al traffico intenso, smog, inquinamenti, pianificazioni territoriali, lotte per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e dei parchi e delle aree verdi.
L’abbattimento della cerchia delle mura spagnole, inoltre, può nascondere un altro cambiamento della città, forse il più notevole: l’espansione della città. Quello che oggi rappresenta il centro di Milano (tutta l’area interna dell’antica cinta muraria) era, ai tempi del romanzo, la città nella sua interezza.
Tenendo poi in considerazione i percorsi di Renzo in Milano, la più evidente trasformazione riguarda il tipo di strade e la densità delle abitazioni: seppure grande, la città nel Seicento aveva più le dimensioni di una cittadina moderna, con pochi punti di riferimento, case il più delle volte sparse, chiese, conventi, crocette, campi, orti, siepi e strade fangose.
Nella metropoli attuale l’asfalto e il cemento hanno preso il posto dei fossatelli e delle siepi, con grandi carreggiate e marciapiedi. Le chiese e i conventi, che quasi si imponevano sulle case vicine, ora si ergono, timidamente, tra grandi edifici e imponenti palazzi. La città ha perso anche la sua principale funzione del passato, quella militare, ed è diventata punto di riferimento finanziario, commerciale e della moda.
Ma vediamo meglio come sono cambiati oggi i luoghi di Milano presenti nel romanzo manzoniano.
Durante il suo primo viaggio a Milano, Renzo camminò lungo l’antica strada postale monzese, superò Sesto, entrò in corrispondenza dell’attuale confine tra Milano e Greco, e giunse presso la Cassina de’ Pomm, dove incontrò il Naviglio Martesana.
La Cassina de’ Pomm esiste tuttora (al termine di via Melchiorre Gioia), e attorno ad essa è stato realizzato un grande giardino pubblico.
Il Naviglio Martesana era molto utile per il trasporto di merci e prodotti agricoli ed era anche utilizzato per l’irrigazione dei campi. Le sue acque, provenienti dal fiume Adda, sfociavano a Milano, nel bacino chiamato Tombòn di san March.
Nel secondo dopoguerra il tratto urbano della Martesana fu coperto; oggi le sue acque scorrono all’aperto sino alla Cassina de’ Pomm.
Renzo proseguì il suo cammino, fino a giungere a ridosso delle mura spagnole, nei pressi di Porta Orientale e dei Bastioni.
Lungo il corso di porta Orientale, all’altezza di via Borghetto, Renzo si trovò di fronte alla colonna di San Dionigi, così chiamata per la presenza di una chiesa che sorgeva dove ora si trovano i Giardini Pubblici. Queste croci, o crocette, erano moltissime nella Milano di allora, e permettevano al popolo di seguire le cerimonie religiose dalle finestre delle loro abitazioni.
La colonna di San Dionigi fu abbattuta qualche anno dopo, mentre alcune crocette sono ancora disseminate lungo alcune strade della città.
Dove invece si trovava la chiesa dei Cappuccini, demolita nel 1810, si trova oggi il Palazzo Rocca – Saporiti, situato all’altezza della fermata metropolitana di Palestro.
Renzo proseguì lungo corso di porta Orientale, fino a giungere nell’attuale piazza San Babila, realizzata durante l’epoca fascista. Prima di allora consisteva in uno slargo che si apriva alla fine dell’attuale corso Vittorio Emanuele II, ed era chiamato Carrobio di porta Orientale.
Piazza Duomo è sicuramente uno dei luoghi che più sono cambiati in questi secoli. Ai tempi del romanzo la piazza era molto più piccola e la facciata era solamente abbozzata: essa fu ultimata sotto Napoleone, nel 1813.
La progettazione della piazza odierna ebbe inizio nel 1865, e portò all’eliminazione di parecchie strade ed edifici, tra i quali lo storico coperto dei Figini e il grande isolato del Rebecchino.
Per recarsi a Cordusio, Renzo attraversò quelli che oggi sono i portici settentrionali, per poi proseguire lungo Via dei Mercanti. In quei tempi però i portici non c’erano; e Via dei Mercanti era chiusa da archi.
Passò per la Strada di Pescheria Vecchia, sotto l’arco che è scomparso nel 1867, per poi giungere in Piazza dei Mercanti, la quale era molto più grande di quella attuale. Fino alla seconda metà dell’Ottocento questo luogo era immaginabile come un recinto chiuso, con due piccole entrature che portavano in Piazza Duomo e in Cordusio. Quello che Manzoni chiama Collegio de’ dottori corrisponde al Palazzo dei Giureconsulti.
Per soccorrere il Vicario rinchiuso nella sua abitazione messa sotto assedio, Ferrer uscì da Palazzo Ducale (Broletto Vecchio), oggi Palazzo Reale.
Nel suo secondo viaggio Renzo entrò in città da Porta Nuova. Egli attraversò il corso, che allora era suddiviso in due tronconi: strada del dazio di Porta Nuova e il Borgo di Sant’Angelo. Oggi è una strada unica: corso di Porta Nuova.
Renzo dopo aver percorso la strada di Santa Teresa (attuale Via della Moscova), giunse in Via San Marco, che allora era attraversata dal Naviglio della Martesana. In questa via si trovava anche il Tombòn de San March, la darsena di San Marco. Naviglio e Tombòn sono stati coperti negli anni Trenta del Novecento.
Dopo Piazza San Marco voltò a sinistra, in Via Fatebenefratelli (ora coperta, ma a quei tempi ancora attraversata dal Naviglio), poi attraversò il ponte Marcellino (non più esistente), il quale permetteva di accedere in Via Borgonuovo.
Un altro luogo del romanzo che è quasi completamente scomparso è il lazzaretto, che fu demolito tra il 1882 e il 1890. Ne restano solo un breve tratto in Via San Gregorio e la piccola chiesa.
Nella prossima puntata andremo ancora più nel dettaglio, analizzando le strade attraversate da Renzo nel romanzo. Com’erano allora, come si presentano oggi, ricorrendo anche ad immagini per avere un confronto più limpido ed immediato davanti a noi.
Alberto Fumagalli (scrittore milanese)