Sta per arrivare la notte di Halloween e le leggende urbane e metropolitane sono un genere letterario che in questo periodo è molto gettonato A Milano, le leggende di questo tipo si sprecano, comprese le storie che narrano di fantasmi. Oltre a quelli del Duomo e della Villa Simonetta (dei quali vi ho già parlato su questo blog), famosissimo è il fantasma della Scala, dove un corista del teatro ha affermato di aver visto lo spettro di Maria Callas, intenta a spaventa-re alcuni ignari spettatori per vendicarsi dell’episodio in cui un gruppo di loggionisti la fischiò per aver “steccato”. Si vocifera anche che le apparizioni della Callas avvengano sempre al mattino, proprio nella zona del loggione. Secondo altre testimonianze, invece, il fantasma in questione sarebbe quello di Maria Malibran, un famoso soprano dell’Ottocento. E tra i vecchi milanesi che frequentano il parco del Castello Sforzesco si racconta che vaghi il fantasma della cosiddetta “Dama Velata”, una bellissima donna vestita di nero e profumata di violette, che con il suo passaggio riscalderebbe l’ambiente nelle buie notti invernali, alla ricerca di qualche uomo che le faccia compagnia. Questa leggenda viene tramandata, a Milano, fin dal 1800. E ancora: sempre nel parco del Castello sembra che vaghi lo spettro di Isabella da Lampugnano, una presunta strega bruciata sul rogo nel 1519 e che ora si divertirebbe a terrorizzare le persone. E che nel mercato di Porta Romana, infine, si aggirerebbe il fantasma di una strega bruciata viva nel sedicesimo secolo, che nelle sembianze di una mendicante manda maledizioni a chi non le fa l’elemosina.
Anch’io, vivendo a Milano, non mi sono fatto mancare il mio fantasma personale. Una gentile e premurosa signora, venuta da chissà dove (non ho mai capito perché i fantasmi milanesi siano tutti di sesso femminile). Dicevo del mio spettro. Bella, elegante, nei suoi abiti ottocenteschi, dall’incedere nobile. Incontrai quella dama in una via del Centro (se non ricordo male credo che fosse Corso Vittorio Emanuele), nei primi anni ‘90. Incrociandola, mi sorrise, si avvicinò e mi salutò, sussurrando il mio nome, con tono suadente. La salutai, per educazione, ma mi sorpresi, perché ebbi la chiara sensazione di non conoscerla, di non averla mai vista prima di allora. “Io ti conosco molto bene, anche se tu non mi conosci e non sai niente di me”, mi disse, “ma non ti preoccupare, non voglio farti del male, anzi. Sono qui per aiutarti a risolvere i tuoi problemi, piccoli o grandi che siano. Ma non aspettarti miracoli, vincite al-la lotteria, o cose del genere. Voglio migliorare la qualità della tua vita rendendola più semplice e gratificante”. Rimasi ovviamente colpito da quelle affermazioni, alle quali fece seguito un sorriso rassicurante di quella donna, che disse di chiamarsi Luisa, come mia nonna materna, quella che emigrò dalla Sicilia con la mia famiglia per aiutare mia madre ad occuparsi dei figli, e in particolare di me, che ero il più piccolo. Non sapevo più cosa pensare, ma lei anticipò il mio disorientamento aggiungendo: “Ora devo andare, ma mi farò sentire, ti chiamerò al telefono, tanto ho già il tuo numero”. La mia incredulità aumentò, se possibile, ancora di più. Ma come poteva conoscermi così bene? Tornai a casa, quella sera, e la notte non riuscii a chiudere occhio. Il giorno dopo Luisa mi telefonò, chiedendomi quali fossero le mie preoccupazioni e le faccende da sistemare, pregandomi di credere che lei avrebbe davvero risolto tutto in breve tempo. Con naturale scetticismo, nella convinzione che si trattasse di uno scherzo, di una montatura creata ad arte da qualche amico bontempone, la assecondai, raccontandole le mie angosce e i miei problemi quotidiani, che di giorno in giorno, come per incanto, cominciarono a trovare soluzioni efficaci e definitive. Non riuscivo a credere a tutto quello che mi stava succedendo. Lei di tanto in tanto mi chiamava, chiedendomi se fossi contento e un po’ più sereno. Le risposi sempre di sì, anche se alla mia naturale curiosità di sapere perché stesse accadendo quella “favola vera” lei regolarmente e perentoriamente, con ferma dolcezza, si oppose, negandomi sempre qualsiasi spiegazione. Una notte, però, il contatto umano tra me e quella misteriosa benefattrice si fece davvero più ravvicinato. Girato su un fianco, con gli occhi chiusi, ma con la mente sveglia, avvertii perfettamente la bella e al tempo stesso inquietante sensazione di una carezza, tenera e affettuosa, sulla mia testa. Stetti immobile per questa istante, come a volermi gustare fino in fondo quella coccola, poi quando presi coscienza di quella situazione mi girai di scatto, terrorizzato, accendendo la luce. Nella stanza non c’era nessuno, ma io, che sudavo freddo, sentivo ancora addosso la sua presenza. Sì, per me, in quel momento, era stata lei, Luisa, ad accarezzarmi. Ma che razza di creatura era, quella donna? Era la persona in carne e ossa che avevo incontrato, visto, percepito, dal punto di vista sensoriale, o cos’altro? Nella mia mente si fecero largo i pensieri più diversi, spaziando dalla razionalità alla spiritualità, da un piano di realtà all’immaginario più fantasioso. Comunque sia, decisi che non avrei voluto più sentirla. E infatti, qual-che giorno dopo, quando mi telefonò per salutarmi e sapere se avessi bisogno di qualcosa, le dissi che avrei preferito chiudere il nostro strano rapporto. Lei non disse nulla, ma si capì che non la prese bene. Con la stessa eleganza e delicatezza con cui era apparsa improvvisamente, però, uscì per sempre dalla mia vita. Per un certo periodo la sua presenza mi mancò, scatenando in me reazioni negative. Pensavo che l’aver interrotto quella relazione pro-vocasse conseguenze nefaste, che tutti i cambiamenti positivi potessero svanire d’incanto, insieme a lei. Avevo di colpo paura di tutto: del buio, di un cane che abbaiava, di un amico o di un collega un po’ aggressivo. Nel tempo, mi sono allontanato progressivamente da quei timori un po’ infantili, sostituendoli con altri, decisamente più complessi, diciamo “da adulti”. Ma la sensazione di incontrare, a volte, il fantasma di Nonna Luisa, la provo ancora oggi. A volte mi capita di sonnecchiare sul divano, con la tv accesa, in un momento di sano relax. E allora mi sembra di tornare bambino, a tre o quattro anni, quando dopo pranzo facevo il riposino addormentandomi fra sue le braccia accoglienti e protettive, letteralmente spalmato sul suo corpo caldo, sprofondato sulla grande poltrona di velluto verde del soggiorno di casa, in via Settembrini, sereno preludio a un risveglio che mi avrebbe portato in regalo una gustosa merenda, preparata amorevolmente da lei, da Nonna Luisa. E non ho più paura…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)
Immagine di copertina: Simona Police