Quest’anno anche in autunno il sole come ad agosto, i bagni sino ad oltre il tramonto, occasioni di vivere un allungamento della stagione bella. Amo i luoghi di difficile accesso alle masse festanti e ancor più ai tardo vacanzieri che pretendono di recuperare in una botta sola tutte le estati della loro vita. Non mi chiedo neanche più cosa resterà di un’altra estate, che ho continuato a godere ben oltre i tempi supplementari, trascorsa malgrado mi fossi ripromesso di non guardare il calendario. I ricordi hanno un tempo che è soltanto loro… Mi predispongo a traslocare l’anima in un’altra stagione che è di transito a un’altra e a un’altra ancora sino alla prossima estate.
Il mare tornerà nel prossimo tempo alla sua solitudine.
Nessun vociare
solo l’onda
ritma un suono
dolce al mio orecchio
il rumore della risacca.
Unica presenza viva
il mare.
Amo parlare col vento
sentire la sua voce,
i pensieri
si fanno poesia
la parola
diventa preghiera.
Vorrei essere
come una conchiglia
a pochi passi dalla riva
in attesa che il mare
mi porti con sé
nei suoi viaggi.
Quando decido di partire fuori è ancora buio, cambiano i suoni, in lontananza un gallo che dovrebbe regolare la sua sveglia, voci di chi si appresta a iniziare una nuova giornata di lavoro. Per chi osserva le altrui fatiche tutto è molto romantico se uno non deve piegare la schiena nei campi, se ci pensi bene ti accorgi di come la vita degli isolani sia altrettanto dura di quella delle metropoli dove ed in entrambi i luoghi fatica e preoccupazioni spengono la voglia di contemplazione di una natura che appare magica o avara a seconda degli occhi di chi guarda. Inutile resistere alle tentazioni del letto, bisogna partire, anche questa “rata” di vacanze è finita.
Traghetto, mare, autostrada, prime code. Tu sei lì in fila come i pensionati in posta il giorno del pagamento delle pensioni, sulla corsia di emergenza ogni tanto sfrecciano incuranti furbastri, ti auguri che incappino in qualche pattuglia della stradale… Niente. Alla fine come per incanto, come si è creata la coda svanisce senza un perché, il traffico diventa scorrevole … Perché? Mistero. Mentre sei in coda incroci tante e tante volte le stesse persone e mentre sei tra il rassegnato e l’arrabbiato immagini di vedere i fanciulli che si trovano sui sedili posteriori diventare prima adolescenti e poi adulti. Seconda sosta, l’autogrill è pieno come ad una fiera di paese, prima di entrare faccio il pieno alla pompa di benzina più cara di tutta l’autostrada. E’ ora di pranzo e sul piazzale la fauna della sosta si divide tra ripartenza immediata, bar, ristorante o affollatissimi bagni ed è qui in fila per entrare nel bagno che scopri il senso del non privilegio; anche chi arriva su costosissime auto deve fare la fila per entrare.
Nell’autogrill il percorso è forzato, lo sguardo vaga tra peluche di dimensioni umane. Il caffè troppo lungo o troppo corto, cercando l’uscita lo sguardo incrocia cose che fuori da quel luogo non esistono come gli enormi pacchi di patatine. A Milano, riprenderò a muovermi tra i soliti rassicuranti luoghi che ho imparato ad amare, spezzando il ritmo della città, con l’aiuto dei sorrisi, dei malumori, delle battute e dei gesti delle poche – solite – persone. Una innata predisposizione alla nostalgia mi porta a rimpiangere con malinconia, ancora prima di essermene allontanato, i luoghi e i paesaggi simbolo di serenità e spensieratezza.
Dopo tanta bellezza sento il bisogno di entrare in una sgomitante metropolitana, io in maniche corte, mi guardo attorno e noto tanta gente con foulard, maglioncini, giacche e … Che caspita, date tempo al tempo.
Piazza Duomo, turisti tanti, in fondo mi dico che cambia solo il paesaggio. Passo davanti a una fontanella di ghisa, che a Milano chiamano “Il drago verde”, non ho sete, mi fermo a osservare quel luogo di transito che potrebbe raccontare di storie e di passaggi di una umanità freneticamente in movimento…
Giuseppe Selvaggi (poeta e scrittore pugliese)