È un vero piacere, conversare su queste pagine, con Giovanni Pessina. Ci conosciamo da poco, ma tra noi è nata subito una simpatia spontanea, frutto anche della condivisione di molti passaggi della storia recente di Milano. È proprio nella nostra città, il 17 luglio del 1956, Giovanni ha visto la luce alla Macedonio Melloni, che ha dato i natali a molti milanesi doc, proprio come lui. “Sì, potremmo fare un club di quelli che sono nati in quella clinica”, esordisce sorridendo nostalgicamente. “Adesso vivo ad Appiano Gentile, ma prima abitavo a Porta Volta, una zona all’epoca formata, come sai, da un tessuto sociale misto, popolare e piccolo-medio borghese. In via Pontida, dove risiedevo, all’epoca c’erano, fra gli altri, una trattoria, due calzolai, un falegname e un incisore. In via Volta, che era più chic, c’erano medici, dentisti, negozi di abbigliamento, ma anche una macelleria, un tabaccaio e un droghiere. Ho fatto le elementari in via Palermo e le medie alla Panzini, davanti al capolinea degli autobus. Poi, per una serie di problemi alle superiori, decido di abbandonare gli studi ed entro nel mondo del lavoro. Collaboro con vari studi fotografici e svolgo altre attività saltuarie, vivendo in pieno gli anni 70, con tutte le tensioni sociali e politiche di quel periodo, ma anche con tutta l’orgia di concerti musicali internazionali dell’epoca. Nel frattempo, decido di tornare a scuola e mi diplomo in Ragioneria. Dopo il servizio militare, riprendo a lavorare in varie aziende, alla ricerca di una collocazione. Mi iscrivo ad Economia e Commercio all’Università Cattolica, ma mollo quando mi mancano una decina di esami alla laurea. Lavoro per una multinazionale del settore chimico, dove acquisisco esperienza e conoscenze in ambito amministrativo e contabile. Poi a Mediaset, in una società del gruppo che si occupa della gestione dei mezzi operativi (auto, barche, aerei e l’elicottero di Silvio Berlusconi). Un’esperienza davvero interessante, durante la quale entro in contatto con il Gotha del Gruppo e con molti volti famosi dello sport e dello spettacolo. Infine, mi sposto nel settore non profit, in una start up che in pochi anni diventerà la più grande associazione di consumatori italiana, dove resterò fino alla meritata pensione. Lì sono diventato responsabile della parte finanziaria, contabile e fiscale, diventando anche amministratore di varie società legate all’associazione. Oggi sono membro del Collegio dei Revisori di una onlus attiva in alcuni Paesi in via di sviluppo e tesoriere di una neonata un’associazione culturale milanese”, conclude la sua storia personale e professionale. “Continuo a seguire le mie passioni, che non mi hanno mai abbandonato, come il cinema e il teatro”.
Com’è cambiata e come sta cambiando Milano, secondo Te?
“Milano ha sempre vissuto profonde e importanti trasformazioni sociali e urbanistiche. Dalla costruzione delle grandi fabbriche, nella prima metà del secolo scorso, al boom economico, che ha richiesto la costruzione di vasti agglomerati di case, nelle zone periferiche, per ospitare i tanti che dal Sud Italia venivano al Nord, a Milano in particolare, per migliorare la loro condizione economica. Oggi, in forma diversa, il fenomeno si ripete, cercando di rigenerare aree abbandonate, spesso sede di disagio sociale. Per esempio, la costruzione dei nuovi quartieri: City life, Spark Living, il controverso progetto Olimpiadi Invernali 2026. Assieme ai programmi culturali e di innovazione, hanno proiettato la nostra città fra le principali mete europee e mondiali per gli amanti dell’arte, del design, della moda. La grande sfida, adesso, è la sostenibilità di tutto questo. Il suolo utilizzabile è esaurito, i costi degli appartamenti sono aumentati in percentuale esponenziale, rispetto agli stipendi, e il fenomeno della gentrificazione è in costante aumento. Per concludere. direi che per la continua evoluzione della città si deve anche e soprattutto cercare un equilibrio necessario tra lo sviluppo urbano e la sostenibilità di queste scelte, tenendo conto anche dell’inclusione sociale, che spesso viene dimenticata”.
Dall’Expo in poi (pandemia a parte) la nostra città è comunque oggettivamente cambiata: è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, a mio avviso, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche l’immigrazione incontrollata e la crisi economica che continua a mordere risulta schiacciato verso il basso. Che ne pensi?
“Con Expo 2015 l’immagine di Milano non solo è cambiata, ma è diventata un brand mondialmente riconosciuto, trasformando una città, prima additata a mera piazza d’affari, a centro di attrazione internazionale per il design, la moda e la cultura. Questo ha portato a una maggiore valorizzazione delle sue offerte artistiche e culturali, rendendola una destinazione ambita per turisti e professionisti. Il peggioramento del tessuto sociale è un tema difficile e complesso da analizzare perché le cause sono diverse; tra le principali, come Tu suggerivi nella domanda, ci sono l’immigrazione incontrollata e la crisi economica. L’immigrazione non gestita porta quasi sempre a tensioni sociali anche violente, e questo lo vediamo anche in Paesi che sono stati meta di flussi migratori prima di noi, basta leggere le notizie che arrivano quotidianamente dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Le comunità locali non sono pronte a fare fronte all’arrivo di flussi di persone in numero consistente. Spesso si ritengono i migranti nostri concorrenti per l’accesso ai servizi, quali casa, sanità, scuola. Le differenti culture vengono anche viste, non come qualcosa di arricchente, ma come antagoniste alla nostra tradizione e questo genera il conflitto. La crisi economica che ci ha colpito negli ultimi anni con la conseguente disoccupazione e l’appiattimento retributivo hanno creato paura per il futuro, sfiducia nelle istituzioni e rabbia sociale verso il diverso. Tutto questo contribuisce ad aumentare la criminalità, soprattutto quella di strada, che vediamo tutti i giorni e che ci turba molto più dei vari crimini finanziari. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere questi temi, ma sicuramente un controllo dei flussi migratori, una politica sociale sul territorio che non sia solo repressiva ed un forte investimento culturale, nella scuola in primis, porterebbero ad un miglioramento della situazione nel medio periodo”.
Milano ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Pensi che sia in grado, anche oggi, di interpretare questo ruolo? Oppure è stata “colonizzata”, nel senso che questo interesse esterno ha prodotto investimenti economici e finanziari che hanno portato imprenditori, finanzieri e banchieri ad impadronirsene?
“Milano ha sempre avuto un ruolo primario sia in Italia sia all’estero, per scambi economici e finanziari, ma anche culturali. La città è sempre stata capace di attrarre investimenti e far arrivare talenti, il che ha contribuito a mantenere viva la sua presenza nel panorama mondiale. Qui hanno sede la Borsa Italiana, le principali banche e gruppi multinazionali. Milano è anche una delle capitali mondiali della moda e del design. Dopo l’Expo e con la diffusione dei voli low-cost è ormai una meta turistica ambita. A seguito della globalizzazione dell’economia e alla perdita degli storici marchi industriali, simbolo della città, spesso ci si chiede con preoccupazione se Milano è stata economicamente colonizzata da gruppi stranieri, perdendo la sua identità. Importanti investimenti sono stati fatti qui da gruppi esteri, operazioni che hanno comunque creato posti di lavoro ricercati. Sottolineo come Milano sia una città che continua ad attrarre persone da tutta Italia perché qui trovano un impiego. Spesso ci si chiede se gli utili generati da questi investimenti esteri vengano poi riutilizzati localmente o prendano altre vie. Come trattenerli? La risposta non è semplice, perché pesano le decisioni di politica economica nazionale e in minor misura quelle di politica locale. Comunque sia, Milano occupa ancora un ruolo economico internazionale, grazie alla sua più grande qualità caratteriale: il dinamismo economico culturale”.
A proposito di confini: hai da sempre una grande passione per i viaggi. Com’è Milano vista da fuori?
“Quando sono all’estero e i miei interlocutori sentono che sono milanese, tutti sorridono e subito vogliono sapere di Milano, se non ci sono mai stati, o se sono già stati qui per le più svariate ragioni vogliono condividere la loro esperienza. In generale, Milano viene considerata la città più internazionale d’Italia, vista come polo economico sì, ma che ha mantenuto straordinariamente una dimensione umana. Ho incontrato diversi professionisti e imprenditori, operai che hanno vissuto lunghi periodi qui e tutti la ricordano con nostalgia. Anche le due squadre di calcio, Milan e Inter, hanno contribuito positivamente all’immagine di Milano, e assistere ad una partita allo stadio di San Siro è il sogno di molti stranieri. Milano è vista anche come metà turistica. Una volta si diceva che è brutta, che si viene qui solo per lavorare, invece gli stranieri apprezzano molto, per esempio, la vicinanza con Como e Bergamo, i laghi lombardi, le montagne per sciare d’inverno e fare escursioni d’estate. E poi lo shopping cittadino, che è considerato un “must”. Insomma, gli stranieri parlano più bene di Milano dei milanesi stessi”.
È opinione diffusa che Milano sia la città ideale, oggi, per gli studenti e per i trentenni e i quarantenni in generale. E gli “anziani” come noi? Intendo quelli non ancora così tanto “anziani” da doversene andare a svernare altrove o a rinchiudersi in una RSA…
“Si Milano è la città ideale per chi si prepara a far carriera, o la sta già facendo. Ma per quelli come noi, caro Ermanno? Nessuna paura, a Milano non si muore di noia. L’attività culturale è viva, qui si tengono reading di autori e poeti, dai nomi noti ai nuovi scrittori, basta leggere gli avvisi dei grandi gruppi editoriali o delle librerie di quartiere per decidere dove andare. I cinema offrono i film delle major cinematografiche e anche quelli che io amo di più, i film d’essay di autori nuovi o con proposte originali, che spesso trattano temi d’attualità. C’è un cinema che propone solo film in lingua originale con sottotitoli, è sempre pieno. E così i teatri e gli eventi musicali. Poi ci sono innumerevoli corsi offerti dal Comune, da associazioni o società private, dove si può imparare di tutto: una lingua, girare un film, cucinare, scrivere poesie. A Milano, amico mio, non ci si annoia”.
Cosa ti ricordi e cosa è rimasto, a Milano, della cultura e della controcultura che a partire dagli anni ‘60 ha contribuito a un importante rinnovamento politico e sociale, non solo qui da noi, ma in tutta Italia?
“A Milano la storia dei movimenti giovanili è complessa e ha fortemente influito sui cambiamenti sociali, politici e culturali che sono avvenuti dagli anni ‘60 in poi. A quel tempo ero un ragazzino, non ero direttamente coinvolto nei movimenti di quegli anni, ma li seguivo con interesse attraverso i racconti dei ragazzi più grandi che frequentavano i licei o gli istituti tecnici. In quegli anni nasceva il Movimento Studentesco, che rivendicava riforme sociali ed educative basandosi su teorie marxiste. Era il periodo dei collettivi, delle assemblee, si chiedeva la partecipazione degli studenti nelle scelte scolastiche e appoggiava apertamente le rivendicazioni dei lavoratori, che chiedevano condizioni migliori e salari più equi. Dopo un decennio, il Movimento Studentesco diventa forza politica e alcuni suoi membri vengono eletti al Parlamento italiano e poi a quello europeo. Negli anni ’70 nasce il filone culturale detto di “controcultura”, seguendo l’onda di quanto avvenuto in America con la Beat Generation e il movimento Hippy. Si organizzano grandi manifestazioni contro la guerra, si rifiuta la cultura consolidata borghese e oppressiva e si riscoprono i valori della cooperazione, il ritorno alla terra da parte di alcuni, arrivano le pratiche orientali, meditazione e yoga, si sogna il viaggio a Katmandu. Il contraltare era Piazza san Babila, punto di ritrovo dell’estrema destra giovanile, che professava le idee del Fascismo. Iniziò in quegli anni la violenza politica tra Destra e Sinistra, che causò parecchi morti tra i giovani. Quello che più ricordo dei fenomeni giovanili, negli anni ‘80, è il Punk. Quella musica e quell’abbigliamento erano un pugno allo stomaco della società borghese. In quel periodo continuarono le occupazioni abusive di case, la violenza tra gruppi politici antagonisti e tra bande. Dagli anni ’90 ad oggi i movimenti giovanili si sono evoluti, com’è evoluta la società. Sono diventati più complessi per l’effetto dell’economia globale, della diffusione di Internet, dei flussi migratori massicci. Il modo di comunicare profondamente mutato dalla digitalizzazione, la musica che arriva via file. Alcuni esempi per dire che i giovani milanesi sono attenti ai cambiamenti e pronti a reagire agli stimoli che nel nostro mondo globalizzato arrivano da tutto il pianeta”.
Tu sei stato uno sportivo “da tempo libero” (diciamo così) e sempre “da tempo libero” un comunicatore sportivo. Come trovi la nostra città dal punto di vista delle strutture e dell’organizzazione, in questo ambito?
“Milano ha una lunga tradizione di sport per il tempo libero, sia nei centri del Comune o in palestre di gruppi associativi o di società. Tennis, calcetto, bocce, pallavolo, arti marziali, yoga, pilates e ballo, con quest’ultimo che spesso viene insegnato nelle strutture sportive. Lasciami spendere due parole per la corsa, una pratica che amo molto e che qui da noi è largamente praticata. Diverse associazioni sportive riuniscono nelle loro sedi gli amanti del podismo. Alla mattina, prima di andare al lavoro, o alla sera, molti milanesi infilano le scarpe da corsa e vanno nei vari parchi ad allenarsi. Attorno all’Arena Civica o alla Montagnetta di San Siro, fin dalle sette del mattino, trovi gente che corre. Quando fa freddo o piove, il numero dei podisti diminuisce, ma qualcuno c’è sempre, ed è un po’ il segno della passione e della dedizione milanese al proprio “lavoro”, chiamiamolo così”…
Fra le tante cose hai trovato anche il tempo per diventare sommelier. Ci racconti la tua Milano a tavola?
“La tradizione milanese a tavola è ricca e consolidata. Milano è stata ed è un crocevia, da dove sono passati in molti: soldati, commercianti, profughi e immigrati. Ognuno ha portato in città la sua tradizione, che spesso è stata incorporata nella tradizione culinaria milanese. Dai piatti spagnoli a quelli austriaci. Mia madre era aiuto cuoca in una trattoria toscana, a Porta Volta, dove abitavamo; quando tornavo da scuola, andavo nella cucina della trattoria, mi facevano sedere in un angolo di un grosso tavolo di marmo e mi servivano il pranzo. Da lì mi è sempre rimasta la voglia di mangiare fuori, provare piatti diversi. Oggi, con il fiorire delle cucine etniche, mi posso sbizzarrire, passare dal cinese al libanese, dal georgiano all’etiope, senza dimenticare, ovviamente, la meravigliosa tradizione gastronomica regionale italiana. A me (ma credo come a molti milanesi) piace ritrovarmi a cena a casa con gli amici e replicare i piatti etnici in una. E sempre e comunque con una buona bottiglia di vino”.
Un’ultima domanda, Giovanni. Oggi collabori con una onlus attiva in diversi Paesi in via di sviluppo. A Tuo parere, Milano ha ancora “il cuore in mano”?
“Milan cunt el cor in man. Questo detto rifletteva la tangibile generosità dei milanesi verso chi aveva bisogno. Non era solo un modo di dire, ma un modo di concepire il lavoro, la ricchezza attraverso la solidarietà, che accomunava tutte le classi sociali, anche le più povere. Era l’anima dei milanesi. Oggi verrebbe da dire no, tutto questo non esiste più, ormai siamo tutti egoisti, esseri diffidenti che tirano dritto per la loro strada, senza guardare in faccia nessuno, ma se invece ci guardiamo attorno vediamo che la realtà è diversa. A Milano ci sono un migliaio di associazioni di volontariato che operano in vari ambiti, dalla salute psicofisica, al supporto dei malati terminali, all’accoglienza verso gli immigrati, ai corsi di italiano e via dicendo. Certo, le risorse sono sempre meno e le associazioni faticano sempre di più ad erogare servizi. Le più importanti pubblicizzano la richiesta di sovvenzioni dai privati anche con spot pubblicitari. Viviamo in tempi difficili, con le guerre vicino a noi. La speranza è che non si perda l’etica dell’aiuto che ci ha permesso di superare momenti difficili e di elevarci umanamente nel corso della nostra storia”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)