Gianni Marussi: “Nell’Emergenza Coronavirus il mondo dello spettacolo è stato lasciato solo. Bisogna creare un fondo nazionale d’investimento per proteggere il patrimonio culturale”

Milano Arte, Cultura e SpettacoloNews

Written by:

Il suo nome e il suo vissuto, nell’ambito del giornalismo nazionale e milanese, sono garanzia di esperienza, saggezza, buon senso, cultura e onestà intellettuale. E con colleghi di questa pasta e sempre un piacere conversare, oltre che essere fonte di apprendimento e conoscenza. Gianni Marussi, 69 anni, meneghino doc, giornalista pubblicista e artista poliedrico di ottimo livello, ha attraversato tutte le stagioni del Gruppo Fininvest, dal 1979 fino a quattro anni fa. Dal 2017 edita e dirige Artdirectory-Marussi (https://www.artdirectory-marussi.it/). Con lui abbiamo fatto il punto sull’attuale situazione milanese e lombarda e quella del settore artistico, alla luce dell’Emergenza Coronavirus che danni ha provocato e che ancora oggi ci costringe a tenere la guardia alta, rispetto ai potenziali pericoli incombenti. “Il principale vissuto di questa pandemia e del lockdown conseguente, lo sintetizzo così: dopo una notte d’incubi mi risveglio in un incubo reale senza fine”, esordisce Marussi. “Milano l’ho girata per alcune ore il 25 e 26 aprile scorsi, partendo dal Centro Storico e poi andando fino alle zone di via Paolo Sarpi, Piazza Gae Aulenti, Palazzo Lombardia e Corso Venezia. Ho realizzato un lungo reportage fotografico e la prima parte è pubblicata su YouTube (https://youtu.be/KcOXWvQWPyg), con scatti realizzati con un obiettivo fish-eye che rendeva la visione ancora più drammatica. Piazze metafisiche che ti rimandavano a quelle, che pensavi uniche, di De Chirico. Le poche persone che incrociavi erano con le mascherine e ognuno a schivarsi e deviare il percorso. Mancava l’aria. Non un affascinante set cinematografico hitchcockiano, vuoto e solo per gli attori e la troupe, ma un vuoto diffuso e angosciante, da fantascienza. Poi per cercare di intravvedere le prime riaperture e cosa sarebbe potuto accadere nel mondo della cultura, così colpito dal Coronavirus, ho intervistato a distanza Domenico Piraina, Direttore anche di Palazzo Reale, e l’assessore alla Cultura, Filippo del Corno. La situazione milanese, con tutta la buona volontà dimostrata nelle riaperture, presenta i vincoli che sappiamo: prenotazione obbligatoria quasi ovunque, misurazione della temperatura, mascherine e possibilmente guanti, percorsi obbligati. Si possono visitare i musei che ripropongono le mostre chiuse quasi subito per il lockdown e che per fortuna sono prorogate quasi tutte a fine estate. Bisognerà vedere come reagirà il pubblico. L’unico aspetto positivo è dato dalla poca presenza di spettatori per il numero limitato di accessi. Ma come vederle bardati da astronauti e il pathos che dovrebbe suscitarne la visione? Quale sarà l’impatto sugli aspetti economici? Penso anche alla gestione degli addetti e ai mancati incassi”.

Sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori?

“L’informazione è stata deleteria, farraginosa e soprattutto contrastante. A cominciare dalla definizione governativa di “distanziamento sociale”, che come sottolineava l’Assessore Del Corno deve essere sostituita con “distanziamento fisico”, una locuzione sicuramente più appropriata”.

 

Una bella immagine di Gianni Marussi, 69 anni, giornalista e artista milanese, immortalato da Luigi Gattinara

Una App, “Immuni”, per il tracciamento dei contatti. Che ne pensi, tenendo conto che con l’utilizzo quotidiano della tecnologia siamo già tutti tracciati?

“Questa applicazione esclude i maggiori beneficiari, ossia gli anziani, perché non è installabile su telefonini prodotti prima del 2016 compreso”.

Secondo te quanto ha contribuito ad alleviare le sofferenze, sia individuali che collettive, il fatto di vivere in piena era tecnologica, con moltissimi strumenti di comunicazione a disposizione per superare le barriere fisiche e connettere comunque le persone fra di esse?

“La tecnologia ha fornito l’unico contatto con il mondo circostante. La Rete può rendere disponibili testi, immagini, video, disponibili ovunque. L’importante è la qualità. Molte sono le mostre virtuali proposte, le conferenze su Instagram, anche se le trovo poco appassionanti e spesso con grossi problemi di collegamento dei partecipanti. La mancanza del contatto fisico le rende più difficili. Per le opere d’arte così proposte manca la comunione, il contatto che sprigiona il pathos che si manifesta guardandole, toccandole come nel caso delle sculture, l’ambiente che le ospita e che è stato pensato per quel contesto. Il paradosso più grande è quello di un teatro senza pubblico, con gli attori a distanza di sicurezza. E se dovesse esserci un bacio? Come si fa con le mascherine?”.

Arte, cultura e spettacolo, tre note dolenti della realtà attuale. Quali sono le tue riflessioni al riguardo?

“Prima le giornate erano scandite da conferenze stampa, anteprime delle mostre e frenetiche inaugurazioni nelle gallerie. Ora si stanno realizzando conferenze stampa a distanza, inaugurazioni virtuali. Ma ai cinema e ai teatri cosa accadrà? La scuola ha avuto uno stanziamento pari alla metà di quello destinato alla nazionalizzazione di Alitalia. Il mondo dello spettacolo è stato lasciato solo a se stesso. Quale sostegno agli artisti, ai registi, ai video maker, agli sceneggiatori, ai costumisti, alle compagnie e ai lavoratori? E’ necessaria la creazione di un Fondo nazionale d’investimento per proteggere il patrimonio culturale. La Cultura, parte fondante dell’identità e del volto del Paese, insieme al turismo, rappresentava il 15% del PIL italiano. Oppure si può ragionevolmente pensare alla possibilità per le istituzioni culturali pubbliche o private di emettere delle obbligazioni culturali. Negli Stati Uniti, durante la Grande Depressione, nel 1934, Harry Hopkings, scelto dal presidente Roosvelt per gestire l’intervento pubblico, fece nascere il Public Works of Arts Project, che in quattro mesi mise sotto contratto 3.749 artisti e durò due anni. Recentemente la cancelliera Angela Merkel ha voluto ribadire l’importanza che la vita culturale ricopre per tutta la Germania e di conseguenza il ruolo primario degli artisti e dall’inizio della pandemia ha messo a punto programmi e recovery fund a sostegno di questo settore. Che dire del nostro presidente del Consiglio, che definisce “divertenti” gli artisti?”

Gianni, per chiudere: come immagini il futuro prossimo dell’editoria e della comunicazione, sia in Italia che a Milano?

“Siamo oltre la pandemia, in una crisi economica dirompente, che a mio avviso sarà di molto superiore a quella del 1929 e interessa tutto il mondo.
Di conseguenza la cultura in tutti i suoi aspetti avrà una profonda contrazione, non essendo un bene considerato primario. Dove trovare le risorse è il tema principale. Sicuramente tutto questo spingerà a nuove realtà di collaborazione e spero anche di nuove opportunità. Ma ci vuole una rivoluzione culturale profonda, che si basi su valori e canoni etici, sulla condivisione e il rispetto, sull’ascolto e la comprensione. La cultura è la parte fondante di una nazione, il suo DNA, la sua radice ed eredità storica, la sua visione identitaria, soprattutto per l’Italia, che è sempre stata unica al mondo per il suo patrimonio naturale e culturale”.

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)