Forse non tutti sanno che Gaetano Savatteri è nato a Milano da genitori originari di Racalmuto, il paese siciliano che ha dato i natali a Leonardo Sciascia. A dodici anni, Gaetano torna con la famiglia in Sicilia. Nel 1980, insieme con altri giovani ragazzi, apre il periodico “Malgrado Tutto”, che potrà vantare la pubblicazione di alcuni articoli di Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Giuseppe Bonaviri e Matteo Collura. Dopo aver conseguito la maturità presso il Liceo Classico Empedocle di Agrigento, Savatteri comincia a lavorare come cronista al “Giornale di Sicilia” (redazione di Palermo), per poi trasferirsi nel 1991 a Roma, prima come inviato de “L’Indipendente” e in seguito come redattore del TG5. Attualmente collabora al programma televisivo condotto da Nicola Porro “Quarta Repubblica” su Rete 4. Savatteri si colloca anche tra i più affermati e conosciuti autori italiani. Ha scritto diversi romanzi, quasi tutti editi da Sellerio, come “Il delitto di Kolymbetra” (2018) e “La fabbrica delle stelle” (2016).
Gaetano, oggi il mondo deve affrontare una guerra contro un nemico invisibile paragonata spesso alla Seconda Guerra Mondiale. Ti sembra un paragone calzante?
“No, mi sembra un paragone assolutamente fuorviante. Le guerre scoppiano per volontà degli uomini, i virus per ragioni indipendenti dalle loro volontà. Non amo queste metafore guerresche infarcite di parole come nemico, battaglia, bazooka, caduti. Mi sembrano degli inganni retorici. E quando sento puzza di inganno, mi chiedo sempre: perché vogliono ingannarmi?”.
Tu puoi offrire un punto di vista privilegiato, che mi piace definire “insolito”. Sei nato a Milano, ma poi sei tornato in Sicilia e oggi guardi alla nostra città con gli occhi di un cittadino della capitale. Cosa ti lega alla tua città natale? Che opinione ti sei fatto su come è stata affrontata l’emergenza sanitaria a Milano e in Lombardia?
“Milano è una città che amo e dove torno sempre volentieri. Mi uniscono alla città anche legami con parenti e amici. È evidente a tutti che in Lombardia e in particolare in alcune province sono stati commessi degli errori iniziali che hanno compromesso la gestione dell’emergenza e probabilmente hanno provocato più morti del necessario. Un’impreparazione che ha esposto in prima linea medici e infermieri, sprovvisti delle misure di difesa indispensabili. Non è un’offesa alla Lombardia e ai lombardi; anche grandi realtà, moderne ed efficienti, possono commettere sbagli fatali. Credo siano stati errori colposi e non dolosi. Non so se indagini e processi potranno chiarire i fatti e individuare eventuali responsabili. Certo, se molte cose sono andate male (dai protocolli negli ospedali alle misure adottate nelle case di riposo) mi aspetterei un’ammissione di responsabilità politica o amministrativa, un’onesta, pubblica ammenda, con tutte le attenuanti del caso (la sorpresa, l’inesperienza, l’imprevedibilità della situazione). Ma non è una pratica ricorrente in Italia”.
Come è stata vissuta (e viene ancora vissuta), invece, l’emergenza sanitaria a Roma?
“A Roma, per fortuna, malgrado gli annunci dal tono allarmistico e un po’ iettatorio, non c’è stato lo tsunami che molti prevedevano. Non so le ragioni, ma a quanto pare non le sanno nemmeno i virologi da talk show che non riescono a spiegare, tra molte cose, perché il Sud Italia sia stato meno aggredito dal virus. Ma Roma è la città della politica e qui si è svolto quotidianamente il teatro delle dirette da Palazzo Chigi, degli annunci notturni, delle quotidiane conferenze stampa alla Protezione Civile. Il virus a Roma e nei Palazzi romani ha trovato la sua declinazione politica con i decreti scritti in linguaggio borbonico, le regoli folli sull’autocertificazione, la surreale sceneggiata delle mascherine. Il virus è in declino, ma a Roma adesso riparte in grande stile il racconto virtuoso o accusatorio, a seconda di chi parla, sulla gestione dell’emergenza. In palio ci sono poltrone, incarichi, carriere”.
In situazioni come queste avvengono sempre speculazioni di vario tipo e a vari livelli. Quanto potrebbe interessare (se già non è interessata) alla mafia o alle mafie più in generale, il business potenziale e derivato dall’Emergenza Coronavirus?
“Le emergenze, in particolare quelle collettive, spostano soldi e ricchezze. Qualcuno perde, qualcuno vince. Le mafie, che in passato hanno accumulato capitali, adesso potrebbero diventare finanziatrici di imprese in difficoltà o investire (ma questa non è una cosa nuova) nella sanità privata, che oggi è più centrale che mai. Se prima compravi un albergo, oggi compri una clinica. La rapidità dello Stato nel rispondere alle difficoltà di imprese e famiglie è fondamentale. Se devo far campare la mia famiglia e l’Inps non mi risponde per mesi alla fine devo rivolgermi agli usurai. Ancora una volta le mafie si infiltrano là dove il sistema legale latita o ritarda”.
Qual è, a tuo avviso, l’attuale livello d’influenza politica ed economica della mafia (o delle mafie) in particolare a Milano?
“Le inchieste ci hanno raccontato della presenza di ‘Ndrangheta e Cosa Nostra a Milano e in Lombardia. Ormai sono dati certi e acclarati. Certo, Milano non è Reggio Calabria, storicamente e socialmente. Ma la presenza delle mafie, anche di quelle in camicia e cravatta, inquinano anche le dimensioni sociali. Dopo questa emergenza sarà importante tenere d’occhio transazioni, compravendite, passaggi di proprietà. Dovrebbero farlo in realtà i professionisti (architetti, notai, avvocati, commercialisti, consulenti vari), quella buona borghesia che troppo spesso chiude gli occhi e fa finta di non capire chi ha davanti. Ecco, mi sembra che a Milano ci sia un ceto professionale che vede bene i soldi, ma non guarda di chi è la mano che offre quei soldi”.
Tu mantieni un forte legame con la Sicilia anche attraverso la tua creatura “Malgrado Tutto”, una piccola testata giornalistica che da quarant’anni dedica gran parte delle sue pagine a fatti ed eventi culturali, oltre ad occuparsi dei problemi della comunità di Racalmuto. E dal 2012 siete in anche in Rete. È un’esperienza positiva? Avete ampliato il vostro pubblico?
“Un piccolo giornale che nel suo primo numero ebbe un articolo di Leonardo Sciascia, che continuò a scriverne poi ancora altri. Quarant’anni fa, quando un gruppo di sedicenni inventò quel giornale (con quel titolo “Malgrado Tutto”, che tanto piaceva a Sciascia e al suo amico Gesualdo Bufalino), tenevamo per posta i contatti con molti racalmutesi che vivevano al Nord Italia, all’estero e soprattutto ad Hamilton, una cittadina canadese dell’Ontario. Il traghettamento su Internet ci ha consentito di continuare a tenere quel ponte con i tanti siciliani che vivono fuori dalla Sicilia, anzi, incrementandone il numero. Se poi mi chiedi del fascino della carta stampata, beh, nessun mezzo digitale potrà mai avere, per la mia generazione, l’eleganza e la bellezza dell’inchiostro di tipografia”.
In conclusione: secondo te Milano tornerà a essere la meravigliosa città che era diventata anche grazie al contributo di Expo 2015?
“Milano ha conosciuto tanti periodi di crisi. Ero ragazzino negli anni Settanta e ricordo ancora una città deserta di sera, spaventata, segnata dal piombo terroristico e dalle giovani morti di overdose, dalle manifestazioni violente del sabato pomeriggio, delle sirene delle volanti e dai gas lacrimogeni. Ma già allora capivo che era bella e carica di energia. L’abbiamo visto, a varie fasi: Milano cade e si rialza. E’ questa la sua forza. E ogni volta che si rialza è più bella di prima. Non so perché, ma è così”.
Stefania Chines
(Immagine di copertina di Roberto Cano)