E’ un uomo che non le manda a dire, anche perché è abituato a dare ordini direttamente e a mettere in pratica le sue stesse direttive, dando sempre e per primo l’esempio. Il generale in congedo Francesco Cosimato, 60 anni, romano di nascita e milanese di adozione, è stato un militare di lungo corso (insignito dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e già direttore del Circolo di Presidio dell’Esercito di Milano), che ha maturato esperienze significative attraverso molte missioni all’estero e importanti incarichi in seno alla Nato, senza farsi mancare competenze di Intelligence e di Comunicazione. E avendo indossato anche la divisa da paracadutista (giusto per non farsi mancare niente) è abituato a lanciarsi nel vuoto e nelle situazioni colme di incognite, risolvendole e portando a casa la pelle. Oggi è il presidente del Centro Studi Sinergie, un osservatorio privilegiato per monitorare l’offerta di servizi ai cittadini in vari settori dell’Amministrazione statale, durante l’Emergenza Coronavirus. “Temo di dover fare tre considerazioni non positive su questa vicenda e anche riguardo alla reazione di Milano e della Lombardia”, attacca Cosimato, prendendo subito il comando della nostra chiacchierata. “La prima è che non mi pare che oggi, nel nostro Paese, ci sia qualcuno in grado di pensare e pianificare l’intervento nelle emergenze, grandi o piccole che siano. Questa cosa dovrebbe essere normale nella Pubblica Amministrazione. I cittadini pagano anche per essere protetti nelle situazioni di crisi. Io vengo da un mondo in cui si pianifica tutto e per qualsiasi ipotesi. La seconda è che si è affrontata la prima fase badando soltanto alle questioni economiche: Si è valutato, per intenderci, che fosse meglio far svolgere la Settimana della Moda a Milano e far disputare la partita di coppa dell’Atalanta contro gli spagnoli del Valencia a San Siro perché sembrava impossibile che qualcuno potesse morire in conseguenza di questo. Evidentemente manca, nel pubblico come nel privato, un meccanismo in grado di valutare concretamente le conseguenze di ogni situazione. I vantaggi immediati vanno confrontati con le perdite successive e non parliamo solo di soldi. La terza è che ho visto la macchina dello Stato funzionare a velocità diverse, rapida ed efficace dal basso (soprattutto negli ospedali) e sempre più lenta, invece, man mano che si saliva di livello. Quasi ferma, infine, a livello centrale. Aspettiamo ancora che qualcuno compri un numero adeguato di mascherine, posto che quel qualcuno dovrebbe spiegarci in maniera definitiva se le dobbiamo veramente indossare”.
Secondo Lei è stato fatto finora tutto quello che era possibile e doveroso fare?
“Sicuramente si poteva fare di più e meglio, ma questo vale sempre. E’ facile criticare chi ha lavorato con il senno di poi. Non mi piacciono, però, le semplificazioni. Sento dire che il livello regionale non avrebbe funzionato; questo non deriva da un’analisi approfondita, ma solo da una campagna mediatica. Quando i mezzi d’informazione concentrano l’attenzione su qualcosa probabilmente si vuole evitare che la pubblica opinione si accorga di altro. Le colpe si accertano, non si attribuiscono. Anche a costo di apparire controcorrente, ritengo che da una parte si dovesse disporre prima e in quantità maggiore di dispositivi di protezione e dall’altra ci si dovesse fermare di meno e imparare ad operare comunque in un ambiente contaminato per quanto fosse possibile. Come i militari indossano maschere anti NBC e vestiti protettivi, anche nelle attività produttive e commerciali si doveva fare lo stesso”.
Sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori?
“La prima dote di una corretta informazione credo che sia la prudenza nei giudizi. Scienziati, politici, burocrati ed esperti d’ogni tipo sono stati preda di un’incontenibile fregola comunicativa, che li ha portati ad esprimere i giudizi più disparati. Nella fase iniziale si è tentato di minimizzare, cosicché la comunicazione mainstream titolava: “E’ solo un’influenza”, “Milano non si ferma”, “Abbracciate i cinesi” e altre amenità che la diffusione del virus ha spazzato via in due settimane. Nella fase successiva, mentre eravamo tutti chiusi in casa, siamo passati da “Andrà tutto bene” a “State a casa”. L’informazione non può virare di 180 gradi senza perdere credibilità. Oggi abbiamo un lento ritorno alla normalità anche perché la popolazione deve disintossicarsi dal circuito vizioso dei messaggi social innescati dalla scarsa credibilità dei media principali. Le fake news più massive e terribili vengono dall’informazione ufficiale, purtroppo. In anni passati ho svolto l’incarico di portavoce di un Comando della Nato e ho dovuto imparare subito che quando ci si trova un microfono sotto il naso è bene evitare di fare speculazioni senza solide basi fattuali”.
I comportamenti complessivi degli italiani (e in particolare dei milanesi e dei lombardi) finora sono stati buoni o possono ancora migliorare?
“Al netto delle isterie iniziali e dell’assalto ai supermercati dei primi giorni mi pare che il comportamento dei milanesi e dei lombardi sia stato molto serio e disciplinato, evidentemente le ultime tracce mnestiche della mentalità asburgica hanno svolto ancora un ruolo importante. I miei contatti di terrone emigrato ormai da tempo a Milano mi hanno riportato un buon grado di correttezza anche altrove. Non abbiamo ancora dati concreti per giudicare se l’epidemia abbia risparmiato le altre regioni o se fosse già passata, come sostengono alcuni amici medici, per esempio a Roma. La nottata è comunque passata abbastanza bene al Centro-Sud, ma non è chiaro perché”.
Entriamo nel merito dei provvedimenti presi dalle autorità nazionali, regionali e cittadine. Da cittadino ed ex militare che opinione ha al riguardo?
“Purtroppo qui si apre un vaso di Pandora. La mia impressione è che ad ogni livello ognuno sia partito lancia in resta contro qualcun altro. Ricordo una lite tra il Governo e la Regione Marche sulla chiusura delle scuole. Com’è possibile che chi avrebbe dovuto avere informazioni precise sull’epidemia, magari dall’Oms (come il Governo), fosse contrario alla chiusura disposta dalla Regione, la quale applicava un principio di prudenza che già all’epoca era ragionevole? Com’è possibile che si sconvolga la gerarchia delle Fonti del Diritto arrivando a una decretazione dirigenziale d’urgenza che esautora il Parlamento e gli stessi ministeri, soprattutto quello della Salute? La Presidentessa della Corte Costituzionale e altri giuristi ci hanno messo un paio di mesi per capire com’è stata fatta la frittata e dire che non si poteva fare”. La mia impressione, quindi, è che manchi una formazione omogenea nei servitori dello Stato, troppo spesso designati da apparati di potere e senza una preparazione adeguata. Da cittadino mi pare che l’unica cosa che abbia funzionato siano state le multe, mentre siamo ancora in attesa delle famose mascherine a cinquanta centesimi. L’assurdo giuridico dell’autocertificazione che era nata come facoltà del cittadino e che si è trasformata in uno strumento di persecuzione la dice lunga sul degrado della nostra burocrazia. Da militare in congedo rimpiango la rete di ospedali militari che avevamo in tutta Italia e che essendo ormai dissolta ci ha costretto a schierare due soli ospedali da campo, uno dell’Esercito e uno della Marina. Grazie a Dio un terzo ospedale da campo è stato schierato da Mercy Corps, un’organizzazione caritatevole che avevo visto al lavoro in Kossovo subito dopo la guerra civile in quell’area. In ogni caso, mi pare troppo poco. La politica si è privata di strumenti operativi concreti e non ha potuto utilizzarli quando ne ha avuto la necessità. Mi ha particolarmente deluso il ruolo, peraltro inappropriato, della Protezione Civile e dell’Alto Commissario per l’Emergenza, che si sono rivelate due strutture di vertice con scarsa operatività, scandita da un conteggio quotidiano delle vittime e dei contagi abbastanza disordinato. Mi chiedo anche se sia utile avere un Ministero della Salute che in un evento sanitario di portata epocale viene tenuto in disparte dal presidente del Consiglio, ma che trova il tempo per sconsigliare di eseguire le autopsie”.
Che ne pensa della App per il tracciamento dei contatti, tenendo conto che con l’utilizzo quotidiano della tecnologia siamo già tutti tracciati?
“La discussione mi sembra inutile. Se questa applicazione fosse arrivata alla fine di marzo poteva avere un senso. L’indice epidemiologico ora è sceso, dunque mi pare che la diatriba sia diventata una discussione sul sesso degli angeli. La pubblica amministrazione deve essere in grado di fare le cose quando servono, cioè in tempo reale. Le riunioni infinite, i coordinamenti tra miriadi di uffici e i decreti di vari livelli che sono spesso in contrasto tra loro sono tutte cose che vanificano qualsiasi iniziativa. Nella cultura operativa militare è meglio fare qualcosa di imperfetto in tempo, che una cosa perfetta quando non serve più”.
Come giudica l’impegno delle Forze Armate in questa vicenda?
“Le Forze Armate sono uno strumento sempre efficace, visto che i militari sono gli unici che hanno semplicemente bisogno di un ordine per agire, mentre abbiamo visto che gli organismi dello Stato sono scoordinati e litigiosi. Quando si entra in una caserma si sa sempre che c’è uno che comanda e che è responsabile. Purtroppo le dimensioni dello strumento militare sono sempre più ridotte e conseguentemente meno significative. Mi fa tristezza sentire esclamare: “Impiegheremo l’Esercito”. I proclami roboanti nascondono il fatto che le Forze Armate sono del tutto marginali, non esistono quasi più. Qualcuno poteva ragionevolmente pensare di controllare sessanta milioni di italiani con centomila soldati? I militari hanno fatto il loro dovere, ma hanno potuto svolgere compiti del tutto limitati”.
Come cambierà lo stile di vita a Milano? Almeno fino a quando i suoi abitanti saranno costretti a cambiarlo…
“Milano ha il vantaggio di non dover seguire alcuno stile di vita, piuttosto ha la capacità di inventarlo. Mi permetto di arruolarmi abusivamente nei ranghi della Milano del futuro per dire che ci inventeremo sicuramente un nuovo stile. I milanesi saranno più connessi, più efficienti, magari imparando da coloro che riaprivano i ristoranti per fare asporto già a marzo o agli inizi di aprile, oppure da coloro che non hanno mai chiuso, rafforzando la loro presenza nel digitale”.
Per chiudere, Comandante: quale sarà, secondo Lei, il futuro politico-economico milanese, al termine di questa storia?
“Io mi auguro che emergano delle realtà italiane in grado di competere con Milano e con la Lombardia, vorrebbe dire che il tessuto produttivo nazionale si sta sviluppando. Purtroppo non si vedono degli indicatori che possano far pensare a scenari positivi in tal senso. Chi critica la Lombardia farebbe bene ad uscire dagli slogan e mostrarci quali nuovi spazi si stiano aprendo nella manifattura, nell’agricoltura e nei servizi, atteso che nessun sistema economico è efficace se si basa solo sul terziario e in particolare sul turismo. Non ci sono alternative all’innovazione, soprattutto digitale, Il futuro sarà di chi lavora e non di chi parla a vanvera. Come si dice qui a Milano: “Rumpum minga i ball”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)