Intervistare, o meglio, chiacchierare con gli amici e le amiche su queste pagine dovrebbe essere semplice e invece non lo è. Perché con gli amici e le amiche, seppur davanti a un pubblico che ti legge, ci si apre, ci si emoziona, ci si commuove davanti a loro, alle loro storie, ai loro racconti, alle risposte alle mille domande che faresti e che devi per forza di cose limitare. È sempre stato così per me, da quando ho deciso di aprire questo blog e scegliere di condividere qui almeno una parte dei discorsi intavolati con le persone a cui vuoi bene, che stimi e che rispetti, indipendentemente dalle opinioni e dallo stile di vita di ognuno di noi. Lo scambio di parole (e le parole sono importanti, va da sé) con Francesca Tozzi non poteva ovviamente essere diverso. Trevigiana di nascita e milanese di adozione, classe 1974 (rivelare l’età delle donne oggi non è più un tabù), una laurea in Lettere conseguita a Padova, Francesca ritiene bellissima, ma un po’ stretta e priva di stimoli la sua città. Per questo, decide di trasferirsi a Milano per frequentare un Master. “Sì, qui ho cominciato a condividere case, studi, lavori, esperienze nuove”, esordisce sospirando. “Sono entrata come stagista nella redazione di Affari Italiani (ma in realtà faccio la giornalista dai tempi del liceo, collaboravo con il quotidiano locale La Tribuna di Treviso) e poi ho lavorato per altre testate e non ho più smesso. Del resto, Ho imparato a parlare molto prima che a camminare e a leggere prima di cominciare le elementari perché la mia casa, la casa di Papà Luciano e Mamma Daniela (sono figlia unica) era il paradiso dei libri e delle storie. Pensa, pure durante l’infanzia, ai giochi con i coetanei, preferivo stare chiusa in cameretta a leggere, appunto, ad inventare storie, sognare a occhi aperti, disegnare e suonare la pianola. E ho sempre preferito la compagnia delle persone più grandi di me. Ho sempre pensato che avrei fatto la giornalista”, continua Francesca. Guadagnavo per vivere, ma non ho mai visto un contratto di lavoro serio. Però che belle esperienze e quante cose ho sperimentato! Non mi sono mai annoiata. Tante collaborazioni, tanti argomenti, Largo Consumo e Distribuzione Moderna, Foto Idea (che facevo con il mio collega Renzo Zonin), Wise Society (che ho contribuito a far nascere), il lungo sodalizio con il femminile Silhouette Donna e con Come stai, la passione per la divulgazione scientifica, poi per lo sport. A tempo perso mi dedico all’editing dei romanzi di un mio amico scrittore, Giuseppe Lotito. Ho fatto un’esperienza di cinema con Ermanno Olmi, molto particolare. Com’era lui, peraltro”.
Poi hai scoperto la Tua grande passione per il massaggio olistico…
“Ho sempre avuto tanti interessi fin da piccola, la scrittura è stato il fil rouge che ha attraversato nel tempo tutte le mie esperienze e che è sopravvissuto alla mia incostanza, alla mia tendenza a disperdere l’energia. Sono curiosa di tutto, ho voglia di sperimentare tutto, ma mi stanco anche abbastanza presto delle cose e, a volte, delle persone. Volevo fare la giornalista, ma anche il medico. Scrivere di salute mi ha dato l’opportunità di unire queste due passioni. Il massaggio è arrivato dopo, per caso. L’ho sempre praticato fin da giovane ma in modo sporadico, per lo più in vacanza, sulla spiaggia con gli amici. Ho sempre amato la dimensione del contatto, del tocco, per trasmettere affetto, ma anche per acquisire informazioni. Il corpo, la pelle, gli odori, non mentono mai. Non ci ho mai pensato più di tanto, per la verità, poi un giorno sono andata al Soul Contact Center, qui a Milano, per ricevere un massaggio su cui avrei dovuto scrivere un articolo. Mi si è aperto un mondo. Ho seguito tutto l’iter formativo per arrivare al diploma e sono diventata una massaggiatrice olistica. Si tratta, per chiarire, di un approccio integrato in cui la problematica fisica viene sempre trattata tenendo in considerazione anche la parte mentale ed emotiva. Non si tratta di curare malattie, né di intervenire a livello fisioterapico o estetico. Se c’è un miglioramento estetico è solo un effetto secondario, almeno questo vale per i massaggi che io preferisco praticare, quelli che puntano al riequilibrio energetico e al benessere generale della persona. Il massaggio ha arricchito la mia vita e migliorato le mie relazioni, insegnandomi a entrare in contatto più profondo con le persone e in modo più autentico. Mi ha anche aiutato a conoscermi meglio. È più una passione, appunto, che un lavoro, per il momento, ma non escludo di dargli più spazio e continuità in futuro. Mi piace far star bene le persone attraverso il massaggio, fa star bene anche me, mentre lo eseguo. Quando si crea una bella connessione con il ricevente, è come scivolare in uno stato meditativo, supportato dall’energia dell’altro”.
Tu, per certi versi, lavori ancora nel mondo dell’informazione, un osservatorio privilegiato praticamente su tutto lo scibile umano. Ma è davvero privilegiato, questo osservatorio? Come sta, secondo Te, il giornalismo milanese? Quali contributi ha portato lo sviluppo della Rete e dei Social Network?
“Amico mio, da collega a collega (anche se Tu, oggi, sei felicemente in pensione) Ti dico questo, ma so che per Te, in realtà, non è una notizia: i giornalisti (e non solo milanesi) sono sempre più ricattabili, però non perché incastrati in grandi testate, le cui linee sono già definite in alto ma perché (e forse è peggio) lavorano in uno stato di costante incertezza, spesso senza contratto e senza garanzie, sfruttati perché devono fare bene e devono fare presto per reggere il ritmo dei service e dell’informazione online. La mia generazione ha vissuto questa fase dall’inizio e non sta migliorando. Dall’altra parte ci sono gli utenti, che sono stanchi mentalmente ed esauriti, che non hanno tempo, che hanno bisogno di staccare e di ricaricare le pile, che hanno troppe questioni pratiche da seguire per perder tempo a centellinare editoriali. Hanno bisogno di essere informati, certo, anche tutti i giorni, ma è sufficiente sapere a grandi linee quello che accade, meglio se descritto in modo semplice e sintetico. Un occhio alla versione online del quotidiano sullo smartphone e una scrollata sui social per vedere i titoli e le notizie principali, un telegiornale la sera e magari dopo un talk di approfondimento. Basta e avanza. Insomma, non mi sembra un momento brillante per il giornalismo in generale. I social, che diffondo quantità esorbitanti di notizie a loro volta, molte delle quali palesemente false, hanno contribuito alla saturazione, alla confusione e all’allineamento verso il basso del mondo dell’informazione”.
Continuiamo a parlare di Milano, se non Ti dispiace. E lasciamo per ultimi gli argomenti più profondi e personali (e non certo per importanza). Dall’Expo in poi (escluso il periodo della pandemia) la nostra città è oggettivamente cambiata: è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, a mio avviso, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche una crisi economica che continua a mordere risulta schiacciato verso il basso. Che ne pensi?
“Non è un periodo facile per Milano, per nessuna città e per nessuno, la ragione è sotto gli occhi di tutti, anzi, è un insieme di criticità che si vanno a sovrapporre. Milano rimane una città che può offrire molto essendo una metropoli internazionale, ha degli indubbi vantaggi per l’ampiezza dell’offerta lavorativa e culturale, ci si muove con la metro (che adoro) e si può lasciare a casa la macchina (che non sopporto), c’è tutto quello di cui potresti aver bisogno a livello materiale. Una bella comodità. Se mi chiedi, però, se è una città che mi scalda il cuore, ti rispondo che non lo è mai stata. Troppo frenetica e per certi aspetti superficiale. Siamo tutti sotto pressione, si cerca di star dietro a lavoro, impegni familiari, burocrazia e via dicendo. Si lavora tanto, ma per portare a casa due soldi. Il costo della vita è sempre più alto. A livello sociale la situazione è pessima, secondo me, siamo a un passo da una guerra fra poveri, forse ci siamo già dentro. C’è tensione, insofferenza, scarsa o assente fiducia nella possibilità della politica di cambiare le cose a cui consegue l’assenteismo, la tentazione di aggirare le leggi, il farsi giustizia da soli. Non è un bel modo di vivere. Da una parte c’è una classe media schiacciata verso il basso a livello economico, in difficoltà, che non si sente rappresentata, incazzata un po’ con tutto e con tutti. Dall’altra c’è il multiforme mondo dell’immigrazione, che fatica ad integrarsi. Sopra a tutto questo non si sa bene cosa ci sia, ma non si percepisce niente di buono (senza voler scomodare i poteri forti e varie teorie complottiste, basta dire che abbiamo una classe politica che da destra a sinistra fa abbastanza pena). Io ho paura ad andarmene in giro la sera. E ci sono delle zone di Milano dove non vado volentieri nemmeno di giorno”…
E invece com’è Milano vista da fuori?
“Vista da fuori, dalla provincia, è grande, caotica, un po’ dispersiva, sembra non avere un’identità precisa, anche perché è meta di turisti e gente che arriva da tutto il mondo per lavorare. Dall’interno rivela le sue molte anime, tutte da scoprire. Mi ha adottato e insegnato molte cose. Certo, non c’è il mare e non ha il carattere caldo e un po’ folle che caratterizza il Sud del mondo, ma niente e nessuno è perfetto”.
La sensazione, almeno per quanto mi riguarda, è che oggi la nostra città sia spaccata in due: da una parte la Milano storica e romantica che non c’è più, fatta di ricordi e nostalgie più o meno comprensibili, dall’altra, invece, la nuova Milano di City Life, dei grattacieli delle grandi archistar e di Piazza Gae Aulenti, per intenderci. È possibile, a Tuo parere, coniugare tradizione e modernità?
“I grattacieli di City Life e la Piazza Gae Aulenti stanno alla Milano storica e romantica come la trap e le canzoni che piacciono oggi stanno a Lucio Battisti e a Giorgio Gaber. Due realtà inconciliabili, ma destinate a convivere. La nuova Milano delle grandi archistar ha il suo perché, riempie gli occhi, è stimolante, non lo nego, ma torniamo al discorso di prima: non scalda il cuore. Anch’io canticchio le canzoni dei rapper, per scacciare i cattivi pensieri, ma la musica che mi consola e mi fa sognare è un’altra. La Milano che preferisco è quella con gli scorci romantici immersi nella “scighera”, nella nebbia, le case di ringhiera, i negozietti di quartiere, i cortili segreti nascosti dietro le mura dei vecchi palazzi. E il vicolo delle lavandaie che sempre mi incanta e mi riporta in vita il Manzoni, che come la Vecchia Milano c’è ancora, ma si nasconde. E ride delle nostre cazzate, consapevole che in fondo poco è cambiato dal tempo dei suoi Bravi ad oggi”.
Chiudiamo questa nostra chiacchierata in libertà, come ho detto poco sopra, parlando di cose molto serie. Hai assistito per molto tempo e con grande amore i Tuoi genitori, entrambi colpiti da malattie neurodegenerative. Hai perso il Tuo compagno Max per colpa del Covid 19 e oggi stai combattendo contro un tumore. Un vero e proprio calvario, amica mia. Ti stai curando qui o a Treviso?
“Prima ancora che mi trovassero il tumore, ho avuto modo di frequentare molto gli ospedali e i poliambulatori, per non parlare dei Pronto Soccorso, sia a Treviso sia a Milano, per seguire il complicato evolversi delle malattie dei miei genitori prima e di Max dopo. Per dieci anni ho fatto la spola fra Treviso e Milano. La pandemia ha complicato tutto e mi ha portato via Max, il grande amore della mia vita (dopo i miei genitori), con cui ho condiviso una grande passione per il tango argentino. Era l’inizio del 2021, c’era in giro la variante inglese, i vaccini erano appena arrivati e si stava cominciando a inoculare la prima dose agli anziani e ai fragili. Max non è arrivato in tempo. C’era troppa confusione allora e troppa incertezza nei protocolli di cura. Molti sono morti per questo. Anche la sanità milanese, in generale, ne ha risentito, ma mi pare che adesso si sia ripresa bene. Per il tumore sono in cura qui a Milano e finora posso dire solo cose belle, ho incontrato professionalità, disponibilità e umanità in ogni passaggio. Ho fatto la radioterapia a Treviso e mi sono trovata bene pure lì. Diciamo che all’interno di un quadro che presenta le solite problematiche (vedi carenze di organico e liste di attesa infinite), Milano e Treviso dal punto di vista dell’assistenza sanitaria sono due isole felici. Le donne con carcinoma mammario sono molto seguite anche sotto il profilo psicologico, coinvolte in attività, mai lasciate da sole. Questa è una gran cosa. E mi hanno regalato una bellissima parrucca. Adesso, per esempio, sto prenotando un sacco di visite ed esami di controllo. Per fortuna, riesco a tenere un buon ritmo. Mi sento trevigiana, milanese e anche sudamericana, caro Ermanno, ma forse non solo. E sono curiosa di vedere cosa mi riserverà il futuro”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)