Quando incontro le persone che hanno perso un figlio non riesco a non guardarle come si guarda un eroe, un sopravvissuto a una guerra o a un campo di sterminio. E mi chiedo, da padre, come si possa sopravvivere a un dolore così maledettamente contro natura, quale sia e da dove provenga la forza d’animo che le porta ad andare avanti. Forse la presenza di altri figli, forse ancora il ricordo di quell’amore perduto da perpetuare in un anomalo percorso di vita. E quando ho incontrato per la prima volta Elisabetta Cipollone le sensazioni non potevano che essere le stesse. La sua cordialità, la serenità nell’approccio con un semisconosciuto (perché siamo comunque sempre stati in contatto virtuale attraverso i social network, sui quali lei è conosciuta come Twin Gemella) mi hanno fatto sentire a mio agio e al tempo stesso ancor più in imbarazzo, inadeguato, in qualunque modo mi esprimessi e di qualsiasi cosa parlassi. Poi, superata la mia malcelata difficoltà iniziale, la chiacchierata con questa meravigliosa mamma-coraggio, che mi onora della sua amicizia e della sua stima, si è svolta fluidamente, in un tutt’uno di racconti, emozioni, sentimenti espressi e mai repressi, riflessioni, considerazioni e proiezioni future di progetti in corso e da realizzare compiutamente. Nove anni fa Elisabetta ha perso un figlio, Andrea, di soli 15 anni, investito mortalmente da un’auto pirata, mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali insieme al fratello gemello Cristian e a un amico. “La mia vita può essere divisa in due, per comodità di narrazione”, esordisce sospirando Elisabetta. “Una prima parte, fino a quel 29 gennaio del 2011, in cui ho lavorato per una multinazionale del settore cartario, lavorando duramente per garantire ai miei figli benessere sociale, una bella casa e studi in istituti prestigiosi. Non avevo considerato, però, quello di cui i miei figli avevano effettivamente bisogno, cioè il tempo da dedicare a loro, fatto di piccole e semplici cose, come un giro in bicicletta o guardare un cartone animato insieme. Un tempo che è mancato prima e nel caso di Andrea purtroppo anche dopo”. Il dopo di cui parla Elisabetta è appunto successivo alla prematura dipartita di suo figlio. “No, non c’è stato più il tempo di rimediare”, ricorda. “La vita sa essere profondamente ingiusta, quando vuole. E solo allora mi sono resa conto di quanto il tempo, soprattutto quello trascorso con i figli, vada assaporato, vissuto, istante per istante. E io non sapevo, non pensavo, non credevo che ne fosse rimasto così poco”. Una tragedia che ha provocato una frattura talmente profonda da risultare insanabile per Elisabetta. “Una prima parte di me non esisterà più”, conferma. “Oggi c’è una donna che non può correre perché le hanno amputato una gamba, ma che ha imparato a camminare con una gamba sola”.
Sì, oggi c’è una donna che si dedica anima e corpo al volontariato. Poco tempo dopo la morte di suo figlio, Elisabetta ha scoperto un diario in cui Andrea, ancora piccolo, esprimeva il desiderio di dare acqua ai bambini che a causa della sua mancanza rischiavano la morte. Ed Elisabetta, a quel punto, ne ha fatto la sua sfida personale; da allora, infatti, porta l’acqua nei Paesi del Sud del mondo costruendo pozzi. “Sì, da quel momento è nato senza troppe ambizioni il progetto ” Un pozzo per Andrea”, che ancora porta questo nome”, racconta questa meravigliosa mamma-coraggio. “Un pozzo, uno soltanto, perché all’inizio il proposito fu quello di realizzare, appunto, un pozzo in memoria di Andrea. Ma poi siccome il bene, al contrario di una guerra o di un’epidemia, non finisce mai, anzi, cresce sempre di più, da quel pozzo è nato l’incontro con il Volontariato internazionale per lo sviluppo e i missionari salesiani che lo sostengono. E dopo il primo pozzo ne è arrivato un altro e poi un altro ancora. Oggi in Etiopia ce ne sono 29 e altri sono in progettazione e costruzione per abbeverare decine di migliaia di persone, che possono e potranno usufruire di acqua pulita e vicina alle capanne dei loro villaggi. Parliamo di gente poverissima, caro Ermanno, che prima doveva affrontare lunghi, faticosi e pericolosi viaggi per potersi approvvigionare dell’acqua di fiumi lontani e spesso malsani perché frequentati da animali di ogni genere. Tutto questo, per quelle popolazioni, significa condizioni di vita più dignitose e non esporsi a malattie intestinali anche letali. Significa anche tempo per le mamme da dedicare ai propri figli e tempo per i figli per poter frequentare le scuole. Insomma, tutto questo è vita. Perché l’acqua è vita in qualsiasi parte del mondo. Acqua che deve rimanere un diritto di tutti e non un privilegio di pochi”. Per quest’opera straordinaria il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le ha conferito l’onorificenza al Merito della Repubblica Italiana, un riconoscimento per i cittadini che si sono distinti per atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà, nel soccorso, nella cooperazione internazionale, nella tutela dei minori, nella promozione della cultura e della legalità, per le attività in favore della coesione sociale, dell’integrazione, della ricerca e della tutela dell’ambiente. “E’ stata una grandissima emozione”, mi dice. “Provo immensa gratitudine per questa onorificenza. Credimi, è stato come ricevere da lassù, da quel luogo senza sofferenza dove ora vive Andrea, un segnale forte, arrivato in un momento di grande stanchezza. Mi sono sentita investita di nuove energie e al contempo presa per le orecchie da mio figlio (sorride), che mi diceva a gran voce: “Mamma, vai avanti!” Ah, la forza dell’amore. Non sottovalutiamo mai la forza dell’amore, amico mio. Ho voluto dedicare il riconoscimento a tutti i genitori che come me hanno provato un dolore che si fa fatica persino a nominare.
Li ho stretti tutti in un immenso abbraccio collettivo. Il mio messaggio per loro è semplice e forte allo stesso tempo: non rinchiudetevi nel vostro dolore, non lasciatevi sopraffare perché se si riesce a sopravvivere c’è da impazzire. Il peso della croce che ci è stato affidato è comunque meno pesante se viene condiviso. Ci sono molte mani tese, pronte a prendere la vostra. Nessuno di voi è solo, ora posso dirlo con sicurezza anch’io”. Da i ricordi di un passato doloroso a un presente di grande impegno, fatto anche di altri accadimenti, il passo è breve. Elisabetta, infatti, è una donna sempre molto attenta alla realtà che la circonda. “Ho scritto sui miei profili social che sto leggendo e sentendo di tutto, riguardo a Silvia Romano”, rivela. “Io dico soltanto che bisognerebbe gioire per una vita salvata. Per una sorella, una figlia, un’amica che può tornare ai propri affetti. Forse, però, non abbiamo idea di quanto preziosa sia la vita umana e di cosa significhi un figlio, un fratello, un amico strappato alla vita. Vado un paio di volte all’anno in Etiopia per seguire i miei progetti e penso che potrebbe capitare anche a me quello che è successo a Silvia. E immagino che i commenti sarebbero altrettanto feroci”. Poi una chiosa finale sull’Emergenza Coronavirus. “La situazione è ancora difficile e delicata. Ci sono problemi con le mascherine, che non sempre si trovano, con i tamponi che non vengono fatti. Insomma, i problemi sono ancora tanti, dopo tutto questo tempo. Vorrei rivolgermi al ministro della Sanità e al commissario straordinario per l’Emergenza e non è detto che prossimamente non lo faccia”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)