Abbiamo percorso un tratto di strada professionale insieme ormai molti, troppi anni fa, in televisione. Poi ci siamo ritrovati e oggi, nell’età matura (chiamiamola così), siamo sicuramente più vicini dal punto di vista affettivo e affini per esperienze di vita vissuta. Dora Rametta, piemontese di nascita e milanese honoris causa, è una cara amica e una bravissima collega, che stimo e alla quale voglio molto bene. Chiacchierare con lei di qualsiasi cosa non è difficile, per me, figuriamoci di tutto quello che stiamo vivendo oggi, a causa della situazione in cui ci troviamo e da cui stiamo cercando faticosamente di uscire. “Caro Ermanno, mi viene in mente una frase di Roberto Vecchioni, milanese Doc: nessun Paese, nessuna città, nessuna regione italiana può vivere, se muore Milano”, mi dice sospirando. “Credo rifletta molto bene la situazione attuale. La città è stata colpita duramente, ma ha reagito con dignità, come al solito. Restano aperti molti interrogativi: la gestione della Sanità in Lombardia, come potremo ripartire davvero, come difenderci da nuove minacce future. Non sono troppo ottimista per natura, dovresti darmi lezioni private, ma nel caso di Milano mi sento di essere fiduciosa. E’ sempre stata all’altezza delle sfide che ha affrontato e lo sarà ancora”.
Secondo te è stato fatto finora tutto quello che era possibile e doveroso fare?
“Non credo. In Lombardia sono stati fatti errori più grossolani che in altri luoghi d’Italia. E non penso che i lombardi e i milanesi si siano comportati così irresponsabilmente come qualcuno ha voluto dipingerli. Non ho mai visto panico negli occhi delle persone, solo una composta preoccupazione. Non mi sembra che la gente abbia sottovalutato il pericolo. C’è stata confusione per via del diluvio di informazioni, non sempre corrette, da cui siamo stati travolti. Mi sento anche di spezzare una lancia, sia pure molto relativa, nei confronti di chi doveva prendere decisioni nei primissimi giorni dell’emergenza. Una pandemia di questa portata non era immaginabile. Prendere immediatamente la decisione di chiudere tutto non sarebbe stata digerita tanto facilmente dai cittadini”.
I comportamenti complessivi degli italiani (e in particolare dei milanesi) finora sono stati buoni o possono ancora migliorare?
“Credo che di più non si potesse fare. Al netto di qualche imbecille (quelli purtroppo ci sono sempre) sono stata testimone di comportamenti esemplari. Conosco persone che pur non avendo ricevuto test sierologici e tamponi ed essendo certe di essere state a contatto con malati di Coronavirus si sono auto imposte la quarantena stretta”.
Entriamo nel merito dei provvedimenti presi dalle autorità nazionali, regionali e cittadine. Da giornalista e cittadina che opinione hai al riguardo?
“Giudico da cittadina. Sono felice che ad emanare decreti ci sia stato un presidente del Consiglio che conosce profondamente il Diritto e i complicati meccanismi delle relazioni internazionali. Il che ha reso ancora più evidente l’enorme differenza di approccio e di professionalità degli amministratori locali”.
Puoi raccontarci come sono andate le cose in Piemonte e quali sono le differenze e i parallelismi che ti senti di fare con la nostra situazione?
“In Piemonte il Coronavirus è arrivato un paio di settimane più tardi, almeno se consideriamo il picco dei contagi. Abbiamo avuto forse più tempo che almeno parzialmente è stato sfruttato bene. A Novara in particolare, dove vivo, le terapie intensive hanno retto e non mi risulta che ci siano state barelle nei corridoi. Gli amministratori locali hanno scelto restrizioni perfino più severe, che sono state accettate di buon grado dalla popolazione e che forse hanno evitato i disastri di certi comuni lombardi”.
Parliamo del tuo rapporto con Milano, adesso. Com’è cambiata e come sta cambiando, secondo te, al di là della situazione attuale?
“Il mio rapporto con Milano sembra quasi un matrimonio. Il primo approccio è stato disastroso. Io, ragazza di provincia, fresca di studi, sono stata completamente schiacciata dall’enormità della metropoli. All’inizio mi faceva paura e mi era pure un po’ antipatica. Poi è scattato l’innamoramento, reciproco, devo dire. Oggi siamo sposati (diciamo così) da tanti anni. Conosco i suoi pregi e i suoi difetti. A volte la sopporto appena, a volte non saprei come fare senza. Ma comunque la amo sempre”.
Mettiamo ancora da parte l’Emergenza Coronavirus. Dall’Expo in poi Milano è oggettivamente cambiata: è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, secondo me, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche la crisi economica che continua a mordere risulta schiacciato verso il basso. Che ne pensi?
“Che hai ragione. Milano è sempre stata una città per ricchi. Oggi ancora di più. Funziona come un continuo stimolo a puntare in alto, ma non ha nessuna pietà per chi rimane indietro. L’offerta culturale è imbattibile: dall’arte, alla formazione, dalla cucina allo spettacolo. Nessuna è come Milano. Ti confesso che, a parte l’ultimo periodo, quando ho bisogno di ispirazione o di ricaricare le pile professionali, mi faccio un giro in Centro, a piedi. Tra le boutique degli stilisti che hanno portato la moda italiana in tutto il mondo, tra i grattacieli progettati da architetti di fama internazionale, ovviamente le sedi dei giornali, le testimonianze artistiche per cui migliaia di turisti sono disposti ad attraversare mezzo mondo. Il messaggio della città è proprio questo: ti sprona a fare sempre meglio e ti regala fiducia in te stesso. Milano è generosa, oltre che meravigliosa, come la definisci tu”.
Per concludere, Dora: Come vedi il futuro di questa città, in relazione anche all’attuale e drammatica situazione di emergenza? E tu continuerai a lavorare a Milano?
“Non riesco ad immaginare un altro posto in cui vorrei lavorare. E sono sicura che Milano si riprenderà in tempi meno lunghi di quanto temiamo tutti. Sarà una Milano diversa, come saremo diversi noi. Come dopo un matrimonio lunghissimo, faremo fatica a riconoscerci nelle foto del pranzo di nozze, ma saremo ancora insieme”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)