Fa parte di quella categoria di giornalisti e scrittori vecchio stampo che oggi non esistono quasi più, a cui comunque, per la mia non più giovane età, leggo la targa (diciamo così) e dei quali personalmente sento la mancanza, per la loro capacità di trasmettere valori umani e professionali in grado di arricchire moralmente e culturalmente il loro pubblico di lettori e di ascoltatori. Chiacchierare amabilmente con il caro amico e collega Daniele Carozzi, passeggiando al mattino per le strade della nostra amata città, ancora intirizzita da una fredda primavera che stenta a farsi largo con il suo tepore, scalda il cuore e accarezza l’anima. Brianzolo, classe 1948, una laurea in Farmacia, a una solida esperienza di marketing Carozzi affianca quella di giornalista e scrittore. Ha collaborato con La Prealpina, Il Giorno, Il Giornale e il Corriere della Sera, in particolare per quanto riguarda la cronaca, la storia di Milano e argomenti di carattere militare (dall’ottobre 2017 al settembre 2021 è stato vicepresidente dell’Associazione Nazionale Bersaglieri). E poi ha pubblicato una quindicina di libri su tradizioni, storia e costumi di Milano e varie provincie lombarde, il romanzo storico “Villa Triste e la famigerata Banda Koch”, una raccolta dei delitti che più fecero scalpore tra i milanesi in “Non si ammazza solo al sabato” ed è stato componente di giuria per il “Premio Carlo Porta”, il riconoscimento destinato a coloro che hanno dato lustro e prestigio alla città della Madonnina. Nel 2016 è stato insignito del premio “Paladino della Memoria” e dal 2 giugno 2018 è Cavaliere della Repubblica Italiana. È presidente di Giuria per il concorso di racconti gialli e polizieschi “Appuntamento in nero”.
Daniele caro, parliamo subito della pandemia, che ormai è uscita dalle prime pagine di giornali e telegiornali e che per questo sembra essere praticamente conclusa. Come stanno le cose realmente, secondo te?
“Credo che sia definitivamente terminata la fase acuta. Ora è dormiente, e pare ridotta a banale influenza. È stato però un pesante monito, che ha lanciato un messaggio chiaro: bisogna essere maggiormente preparati ad affrontare casi simili”.
Sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori?
“Circa l’informazione, forse sono state attribuite alla pandemia anche patologie di altro genere. Oltre a questo, mi pare che i fatti siano stati talvolta enfatizzati. Abbiamo sentito diffondere notizie o intervistare esperti con tanta apprensione e angoscia che di sicuro non trasmettevano al meglio fiducia e speranze. Però è un po’ il vizio di noi italiani, che siamo emotivi e passionali. Un giornalista finlandese o svedese sarebbe capace di elencarti le numerose vittime di una tragedia con una flemma quasi soporifera”…
Come escono Milano e la Lombardia da questa brutta storia? È stato il male minore, che a prenderla di faccia per prima sia stata, appunto, la nostra regione, considerata da sempre, con tutte le sue contraddizioni, un’eccellenza in questo ambito, o ci sono responsabilità più gravi, a prescindere dalle presunte carenze degli altri sistemi sanitari regionali?
“La Lombardia, dato l’elevato numero di abitanti, oltre che essere un frenetico centro internazionale di scambi, incontri e contatti, è verosimilmente più esposta e vulnerabile di altre regioni all’arrivo di un alieno (chiamiamolo così). Poi ci sono due fattori che hanno complicato le cose: l’effetto sorpresa e il non aggiornato Protocollo di Sicurezza disposto per i casi pandemici. Quanto alla Sanità lombarda, prima di lamentarci dovremmo ricordarci che accoglie l’eccedenza di quasi un milione di pazienti provenienti da altre regioni (e che non sempre corrispondono il dovuto economico), oltre ai numerosi stranieri senza permesso di soggiorno che usufruiscono delle nostre attenzioni sanitarie. In altre regioni, contagi e decessi sarebbero stati di gran lunga superiori”.
Come sta il giornalismo di casa nostra, secondo te? E il settore dell’editoria, nel suo complesso?
“Gli italiani, già si sa, leggono molto poco. Oltre a questo, la bulimia da informazione, quella che a mezzo social va dal pettegolezzo alle fake news, ha deviato e impigrito nelle abitudini quel pubblico che un tempo si recava all’edicola e stringeva tra le dita i fogli del quotidiano con la sacrosanta notizia (rigorosamente verificata dai giornalisti seri) e i suoi approfondimenti. Oggi fare giornalismo è diventato una sorta di Circo Barnum, dove l’importante è sparare per primi una notizia, verificata o meno, con qualsiasi mezzo possibile, rischiando le tempeste in un bicchiere d’acqua. E il conseguente ribasso dell’etica professionale, che riguarda purtroppo molti giornalisti. Anche quello che un tempo era l’aureo giornalismo d’inchiesta, a mio parere, non gode di ottima salute. Quanto all’editoria, si registra una produzione libraria ipertrofica, ma sulla qualità media c’è molto da eccepire. Qualità e quantità, si sa, non sono mai andate d’accordo”…
Dall’Expo in poi (pandemia a parte) la nostra città è oggettivamente cambiata: è migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, a mio avviso, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche la crisi economica che continua a mordere risulta schiacciato verso il basso. Che ne pensi?
“Va bene l’offerta culturale e va bene il Turismo, che hanno subito un’impennata, ma il tessuto sociale è pessimo, e non soltanto per la crisi economica. È compromesso dal vandalismo, dallo spaccio, dal degrado urbano, dalla criminalità e, consentimi di dirlo, dall’immigrazione clandestina, che ovviamente vive di espedienti. Su tutto, aleggia un’anomala impunità voluta dall’alto. D’altra parte, le Forze dell’Ordine non hanno gli strumenti legislativi, né le regole d’ingaggio (come si dice in gergo militare) sufficienti per porre argine a questo scempio. Non possono intervenire se non in flagranza di reato, non possono perquisire, salvo dover compilare verbali su verbali, non possono utilizzare metodi sbrigativi, altrimenti c’è chi si inventa atti di tortura… Ti faccio uno dei tanti esempi: un agente ha accompagnato al posto di Polizia un dimostrante facinoroso per il necessario quanto lecito riconoscimento, e questi lo ha denunciato per sequestro di persona. Credi che il giudice abbia dato ragione al poliziotto? Macché. E l’agente ha dovuto pagarsi l’avvocato per poter essere assolto in secondo grado”.
Milano ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Pensi che sia in grado, anche oggi, di interpretare questo ruolo? Oppure è stata “colonizzata”, nel senso che questo interesse esterno ha prodotto investimenti economici e finanziari che hanno portato imprenditori, finanzieri e banchieri ad impadronirsene?
“In un mio libro ho definito Milano “un crocevia euro-longobardo”, proprio perché intendevo evidenziare la sua sempre crescente rilevanza internazionale, unitamente alle sue origini storiche e culturali. La Milano di quando ero fanciullo era industria, manifattura e commercio. Oggi Milano è design, moda, cibo e finanza. E credo proprio che la finanza e le banche la stiano del tutto fagocitando, con il risultato di una città costosissima negli affitti, nell’acquisto di case e nei servizi. Vorrei una Milano che non pensasse solo ai “daneé” (come diciamo noi), ma che riscoprisse la sua identità popolare e borghese, trasmettendo la sua storia e le sue tradizioni ai cittadini, prima ancora che ai turisti. Cominciando magari dalle scuole primarie e secondarie. Abbiamo scolari che conoscono poesie sudamericane o storie del Tibet, ma non sanno chi fu Sant’Ambrogio, I Visconti, o dove si trovano gli antichi cardo e decumano della nostra città”.
Per concludere, Daniele: come vedi il futuro di questa città, in relazione anche all’attuale situazione italiana e internazionale?
“Sarò un inguaribile ottimista, ma il futuro lo vedo bene. Se vengono sistemate un po’ di questioni sul decoro urbano, la tolleranza zero per la sicurezza e l’immigrazione contingentata, Milano è destinata ad avere un ruolo intercontinentale sempre più importante. Non deve però farsi schiavizzare o monopolizzare da ingerenze e vincoli commerciali da parte di altri Paesi, il bilancio commerciale di import ed export deve essere attivo. E la città non deve perdere il suo grande dono di creatività, ingegno, concretezza, velocità e rapporti umani. Milano ha una grande qualità e conserva un segreto. La grande qualità è che se hai un progetto, un’idea, una proposta fattibile, Milano sicuramente ti ascolta e ti incoraggia a realizzarla. E questo non avviene dappertutto. Ma il segreto? Te lo dico, ovviamente, in milanese: el segrett de Milan l’è lavorà con coscienza e dass ona man”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)