Ci conosciamo da troppo tempo, ormai, per non trasformare una nuova intervista in una semplice chiacchierata fra amici, colleghi di scrittura e professionisti che lavorano da molti anni nello stesso, variegato e affascinante ambito lavorativo, quello della comunicazione. Un sereno e leggero, ma mai superficiale, flusso narrativo, che affronta, senza sentenziare, gli argomenti più diversi. Il personaggio è assai intrigante, per il suo spessore (la stazza non c’entra), la poliedricità, la grandissima carica umana e il cammino percorso fin qui, per me davvero affascinante. Claudio Maffei, 69 anni compiuti lo scorso 6 maggio, marito, padre e nonno amorevole, è uno dei tanti milanesi doc che non vive più qui, ma che ama profondamente la sua città e la osserva sempre con grande attenzione. “Sono nato in via Cimarosa, a due passi da corso Vercelli”, mi ricorda e ricorda a se stesso, sospirando. “Fra le prime immagini della mia infanzia c’era un trenino a vapore, diretto a Magenta. Si chiamava “Gambadelegn”, un ironico appellativo milanese per indicare la sua andatura lenta e forse un po’ sghimbescia. La figura di riferimento più importante per la mia infanzia è stata Nonna Fanny: giornalista, scrittrice e fantastica affabulatrice. Neanche il tempo di frequentare le elementari, le medie e il liceo classico ed è arrivato il ’68. In quegli anni, però, non partecipavo alla guerriglia urbana: facevo un po’ lo studente, un po’ il nuotatore e un po’ il batterista. Pensa che ho partecipato, con un gruppo, anche al Festival studentesco cittadino. I batteristi, si sa, frequentano i chitarristi e a volte imparano anche a suonarla, la chitarra. I miei modelli, a quel tempo, erano fra gli altri Enzo Jannacci e Giorgio Gaber. Ma non posso dimenticare nemmeno Dario Fo e tutto il tempo trascorso alla Palazzina Liberty. Insomma, faccio il musicista, il cantante e il cabarettista, prima per gli amici e poi anche per il pubblico. E infatti, a 19 anni, esco di casa per provare a vivere di teatro, di cabaret e di canzoni. Tanti provini, qualche tv privata e sporadiche comparsate cinematografiche. Poi l’incontro con un grande personaggio, Giovanni Spadolini, allora direttore del Corriere della Sera, per tentare, già che c’ero, pure la carriera di giornalista. Fu lui che mi indicò la strada da percorrere, ma non quella giornalistica. Mi invitò ad apprendere l’arte della dialettica e della retorica per poterla insegnare, per poter formare chiunque come comunicatore pubblico. La gavetta è stata durissima”, continua come un fiume in piena, quale in effetti è sempre stato. “Quando mi proponevo agli imprenditori per migliorare la loro comunicazione mi prendevano per un tecnico della Sip. Te la ricordi? Oggi è la Tim. Infine, ancora giovanissimo, ho creato una società e mi sono messo sul mercato. A trent’anni ero il Segretario Generale della Ferpi, la Federazione italiana che riunisce i professionisti delle Relazioni Pubbliche. Cinque anni dopo, ne diventai il presidente”.
Questo me lo ricordo bene, perché ci siamo conosciuti proprio quando tu eri il numero uno di quell’organismo e io un giornalista poco più giovane di te che aveva fatto un po’ di gavetta in provincia e che muoveva i primi passi nella stampa specializzata nel settore della comunicazione…
“Come dimenticare la tua carica di simpatia e di energia, la tua voglia di imparare? Anch’io, nel frattempo, continuavo a studiare perché avevo sempre in mente le parole di Spadolini. Così ho deciso di andare ad apprendere le migliori tecniche di comunicazione proprio da chi le aveva inventate. A seguire i corsi, fra i tanti “guru” del settore, di John Grinder e Richard Bandler, che alla fine mi hanno anche nominato Licensed Trainer in PNL (Programmazione Neuro Linguistica). Ma non dimentico i miei due grandi maestri italiani, così diversi, ma così utili alla mia formazione: Silvio Ceccato, artista prestato alla cibernetica, e Mario Silvano, un vero mago della formazione nel settore commerciale. Oggi, faccio i conti un po’ a spanne e posso dire di aver avuto circa 200.000 allievi, alcuni dei quali, a loro volta, sono diventati ottimi docenti. Sono consulente e formatore presso aziende ed enti pubblici, ma la mia attività abbraccia i settori più svariati, dall’industria, al turismo e all’enogastronomia (sono sempre stato, come sai molto bene, una buona forchetta, anche se adesso mi impongo di contenermi). E poi la mia produzione letteraria, con tutti i libri scritti finora. Ma mi fermo qui, perché altrimenti la nostra chiacchierata diventa un colloquio di lavoro (e ride). Il mio curriculum è pubblico”…
Va bene. Allora parliamo di come è stata gestita fin qui, a tutti i livelli (politico, sanitario e d’informazione) l’Emergenza Covid, con la quale stiamo purtroppo ancora convivendo. Quanti e quali errori sono stati fatti, secondo te?
“Io non voglio criticare nessuno. È troppo facile stare dietro a un computer a dare la caccia al colpevole. È troppo facile criticare i cosiddetti “esperti” che si sono succeduti in televisione a presentare bollettini quotidiani pieni di numeri e statistiche senza contestualizzare. In linea di massima sì, avranno sbagliato a comunicare, ma chi avrebbe fatto meglio? Non voglio neppure dire che è stato sbagliato trattare la pandemia come una guerra, fino a portare, ai vertici della task force, un generale perennemente in tuta mimetica, che ci fa davvero pensare ad altri tempi. Io, tutto sommato, per istinto ho provato simpatia per l’avvocato Giuseppe Conte. Non per la persona, della quale so pochissimo, o per la parte politica che (forse) rappresenta, ma perché ha avuto tutto sulle spalle. E quando dico tutto dico proprio tutto, dalla riapertura dei parrucchieri fino al futuro dell’Ilva di Taranto, dal distanziamento degli ombrelloni, ai ristori per chi non lavorava, dai miliardi da cercare in Europa al bonus baby sitter”.
Il fatto di avere a disposizione Internet e i Social Network, rispetto a situazione simili vissute in passato dall’Umanità e con tutte le contraddizioni legate all’utilizzo di questi mezzi, è stato più un vantaggio o un problema?
“Sarebbe facile ricordare la battuta di Umberto Eco su internet e il diritto di parola dato agli imbecilli. È chiaro che Internet è uno strumento straordinario, ma è anche il più grande veicolo di notizie false che sia mai esistito. Per non parlare dei Social Network, dove hanno sguazzato i negazionisti e ogni giorno veniva servita una verità diversa. Bisogna essere attenti, secondo me, a coglierne solamente i numerosi vantaggi”.
Oggi sono cambiati i protagonisti della comunicazione di massa e la recente vicenda dell’esternazione di Fedez al Concertone Rai del Primo Maggio è soltanto l’ultimo esempio, in ordine di tempo. Per non dire dei virologi, perennemente presenti in tv (e non solo), che sono diventati gli attori di una sorta di Talent Show, con le loro differenti posizioni riguardo alla pandemia. Ma non dovrebbe essere la politica, attraverso i grandi mezzi d’informazione, a filtrare e mediare il flusso comunicativo tra l’ambiente medico-scientifico e l’opinione pubblica?
“In parte ti ho già risposto, però è vero che la politica sta attraversando un momento buio e non sono certo l’unico a dirlo. Mi sono trovato d’accordo con tutto quello che ha detto Fedez. Anche se forse è andato alla ricerca dello scoop, peraltro riuscendoci. Comunque, se fossi l’amministratore delegato di una grande azienda e dovessi organizzare un piano di comunicazione, sicuramente preferirei che me lo facessero Fedez e Chiara Ferragni, piuttosto che Di Maio, Conte o Letta”.
Torniamo a parlare di te. Come ti sei organizzato, in questo periodo, dal punto di vista lavorativo? Com’è cambiata (se è cambiata) la tua attività di comunicatore e di formatore?
“Mi chiedi se è cambiata? (e ride ancora). Praticamente, il 9 marzo del 2020 mi hanno telefonato tutti quelli che avevano già organizzato corsi da lì a Natale, disdicendoli. Credo che solo il titolare di un’agenzia di viaggi avrebbe potuto portarti una testimonianza del genere. È ovvio che da quella data a oggi 50 persone in aula, che per me erano la vita quotidiana, non le ha più messe nessuno. Allora mi sono trasferito sul web, dove ho incontrato centinaia di persone riattivando vecchi contatti. Ne sono usciti corsi (a dirla bene, si chiamano webinar), consulenze e chiacchierate varie. Non ti nascondo, tuttavia, che a livello economico ne ho risentito parecchio. E con Luca Cattoi ho creato ComunicoGG, una web tv nella quale intervisto persone comuni che hanno da raccontare storie speciali (ha intervistato anche me, ndr). Le interviste sono in diretta su Facebook, Linkedin e YouTube ogni mercoledì alle 13.00, poi rimangono lì per chi le vuole vedere in differita”.
Non pensi che in situazioni come queste, paradossalmente, si creino nuove opportunità personali e professionali? E se sì, quali dovrebbero essere le leve umane ed economiche per favorire il cambiamento?
“Si, credo che la pandemia ci abbia portato avanti di vent’anni. Quando passerà lo shock sarà tutto diverso. Tuttavia non credo che le persone siano già attrezzate per sfruttare le opportunità professionali che si sono aperte, mentre credo sia sempre più vero che le mie nipoti faranno mestieri di cui io oggi non conosco neppure il nome”.
E torniamo ancora a parlare della nostra cara Milano. Com’è cambiata e come sta cambiando, secondo te? Pandemia a parte, s’intende. Sempre che questa situazione si possa mettere da parte per esprimere un giudizio…
“Infatti. Non credo che si possa mettere da parte la pandemia per esprimere un giudizio sulla vita milanese di questo periodo. Io sono milanese da oltre 10 generazioni, ma come sai, da 27 anni, per scelta, non abito più in città. Ogni tanto, quando passo dai luoghi della mia infanzia, faccio una passeggiata per rendermi conto di come scorre la vita. Organizzo ancora riunioni di lavoro cittadine con clienti che mi chiamano per incontri a quattr’occhi. Beh, devo dirti, Ermanno caro, che quando sono le sei di sera non vedo l’ora di tornarmene al paesello perché dormire fra i grilli e svegliarsi con gli uccellini non ha prezzo. E penso di averti detto tutto”…
Sì, ma andiamo avanti, altrimenti tronchiamo il discorso e tu di cose interessanti da dire ne hai ancora. Dall’Expo in poi, Milano è oggettivamente cambiata. È migliorata ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, secondo me, è peggiorato il tessuto sociale: complice anche la crisi economica che continua a mordere, risulta schiacciato verso il basso. Qual è la tua opinione? Ripeto: pandemia a parte…
“Anche in questo caso, credo di averti in parte già risposto. Non sono più un giovincello e dal mio punto di vista, al di là di qualche spettacolo teatrale o di qualche mangiata al ristorante con gli amici, non trovo più grandi attrazioni. Per me Milano è sempre stata la città del lavoro. C’è un vecchio proverbio che dice: “Chi volta el cù a Milan, volta el cù al pan”. Ecco, io credo che non avrei mai potuto fare il lavoro che ho fatto se fossi nato in un altro posto. Per un giovane è sicuramente, ancora adesso, una città stimolante”.
Milano ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Pensi che sarà in grado anche domani di interpretare questo ruolo? Oppure è stata “colonizzata”, nel senso che questo interesse esterno ha prodotto investimenti economici e finanziari che hanno portato imprenditori, finanzieri e banchieri ad impadronirsene definitivamente?
“Beh, se penso che la mia Inter è ormai da anni in mano alla famiglia Zhang mi viene un po’ il magone. Io ricordo i vecchietti allo stadio che parlavano un meneghino strettissimo, tranne per alcuni divertentissimi termini inglesi, come “heinz” per dire fallo di mano o “offsaid” per dire fuorigioco. Non era certo la Milano degli “apericena”, ma era già cambiata ai tempi della “rucola”, nella Milano da bere degli anni ‘80”…
Nel 2026 (pandemia permettendo, ma si spera che a quel tempo sarà soltanto un brutto ricordo) Milano, insieme a Cortina, ospiterà le Olimpiadi Invernali del 2026. Sarà di nuovo una grande opportunità, dopo l’Expo del 2015, o assisteremo a un altro tentativo di saccheggio economico e finanziario?
Tutte e due, amico mio. Dipende, come sempre, tutto dagli uomini e dalle donne, quelli della politica, della finanza e così via. Il saccheggio economico è sempre dietro l’angolo, per questo ci vogliono le persone giuste”.
Hai accennato al calcio meneghino, dichiarando la tua fede interista (a proposito: complimenti per la vittoria dello scudetto). Quando nasce il tuo amore per i colori nerazzurri?
“Il mio amore per l’Inter nasce fin da piccolissimo, ancor prima delle scuole elementari. Sono stato portato a San Siro che avevo 3 o 4 anni. Poi, naturalmente, dal ‘63 al ‘65, gli anni delle conquiste internazionali, è diventata una vera e propria fede”.
Davvero vedere una squadra che non è più nelle mani di un presidente italiano e milanese ti fa venire il magone?
“Non ho assolutamente nulla contro la proprietà cinese, che ha sborsato un sacco di euro per farci vincere lo scudetto. Certo, però, che i presidenti tifosi come Massimo Moratti e ancor più suo padre Angelo fanno parte di altri tempi, in cui c’era meno business e più cuore”.
E a proposito di calcio: come ha reagito il mondo del pallone di casa nostra, secondo te, a questa situazione?
“Non so come ha reagito il mondo del pallone, ma ti dico come ho reagito io. Per la prima volta da quando avevo 15 anni, sono stato quasi tentato di non vedere più le partite alla televisione. Il calcio senza pubblico non è spettacolo. E se posso rigirarti la frase, gran parte dello spettacolo, soprattutto in uno stadio come San Siro, è proprio il pubblico”.
Per concludere, caro Claudio: secondo te cambierà lo stile di vita a Milano? Finora i suoi abitanti sono stati costretti a cambiarlo, visto che questa città vive delle sue relazioni, degli incontri che diventano occasioni e progetti e invece per diversi mesi ha dovuto organizzarsi diversamente, con i social network e le video chiamate. E oggi, invece, che si comincia ad intravedere la fine di questa emergenza sanitaria, politica, economica e sociale?
“Io sono un inguaribile ottimista e sono certo che siamo noi e soltanto noi i responsabili di come è e di come sarà la nostra vita nel futuro. La cosa che più m’impressiona della Milano di oggi è che si ride pochissimo, si canta pochissimo e (te ne sei accorto?) non si raccontano più le barzellette. Credo che avere un atteggiamento proficuo e sereno ci aiuti a realizzare grandi imprese più facilmente di quanto possiamo credere. “Milan cont el coeur in man”. Se sorridiamo a qualcuno è molto probabile che ci risponda con un sorriso. Se sorridiamo alla vita, la vita sicuramente ci sorriderà”…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)