“Tu prova ad avere un mondo nel cuore” non sono soltanto le parole con le quali Fabrizio De André condensava la storia di Frank Dummer, il matto nello “Spoon River” di Edgar Lee Masters. Sono soprattutto il filo conduttore della stagione teatrale 2024-2025 del Teatro Menotti, con le quali il direttore artistico Emilio Russo ricorda Faber e che possono perfettamente fare da titolo al percorso, più che a un festival, dedicato ai venticinque anni passati senza di lui, alla sua mancanza che sentiamo molto viva. Quattro giorni da vivere a cuore aperto, ricordando un grande poeta, un grande musicista, una persona che se n’è andato forse troppo presto, nella quale lasciarsi pervadere dalle emozioni che le sue canzoni sono ancora capaci di suscitare, iniziata ieri sera con L’AMORE SCOPPIO’ DAPPERTUTTO. PER FABRIZIO DE ANDRE’, in scena nella sala di Via Ciro Menotti al civico 11, dopo il debutto nazionale dello scorso luglio al Festival Teatrale di Borgio Verezzi, con repliche fino a domani. Cui seguono, sempre sabato 5 ottobre, DEANDRE’#DEANDRE’ – STORIA DI UN IMPIEGATO (film documentario diretto da Roberta Lena) e domenica 6 ottobre FABER, L’ULTIMO TROVATORE, concerto-spettacolo ideato da Claudia Brancaccio e a cura di Milano Classica, per concludersi, ancora il 6 ottobre, con Morgan, affiancato dalla nipote di De André, Alice, in MORGAN RACCONTA FABRIZIO DE ANDRE’.
Musica, la grande musica di De André capace di toccare i cuori di tutti, qui accarezzata dai nuovi arrangiamenti di Alessandro Nidi al pianoforte che dirige l’omonimo Ensemble, ovvero Sebastiano alle percussioni e Filippo, trombone e chitarra, affiancati da Andrea Coruzzi, sax, fisarmonica e flauto. Alle parole che si fondono in un assolo con la musica dà voce e corpo una grande interprete della scena italiana, Laura Marinoni, qui in “total look” a cura di Antonio Marras. Le note, trasformate nel pulviscolo uscito dal tintinnio di un triangolo o sfiorate appena sui tasti del pianoforte o graffiate dalla voce, sono le protagoniste assolute di 90 minuti di concerto tutti di fila, in un crescendo di luci (a firma di Mattia De Pace) e sfondi, ora di un azzurro chiaro, ora di un celeste più intenso, o di un rosa che sfuma a sua volta in ceruleo, o in un giallo oro, o di un elegantissimo nero, al centro del quale campeggiano in bianco rime tratte dall’antologia di Spoon River. E’ una carrellata di suoni e di parole (confezionata dalla regia di Emilio Russo), quella che travolge gli spettatori, dal primo all’ultimo De André, capace di accostare i versi della cultura alta alle espressioni più semplici degli ultimi, da “Morire per delle idee” a “Preghiera in gennaio”, da “La domenica delle salme” a “La collina”, da “Canzone del maggio” a “Canzone per l’estate”, da “Tre madri” a “Bocca di rosa”, da “Il suonatore Jones” (ispirato a “Spoon River”) ad “Amore che vieni amore che vai”, da “Sidun” a “A dumenega”, fino alle interpretazioni di composizioni di altri grandi artisti, quali “Nancy” di Leonard Cohen o “Genova blues” di Francesco Baccini. Lo spettacolo è riuscito a restituirci quello che di André, oggi, ci manca molto: la forza e la potenza dei suoi testi e delle sue parole. E microfono alla mano, accennando a passi di danza, o seduta su uno sgabello, mentre sussurra parole d’amore, un amore invocato o dimenticato, desiderato o rinnegato, o mentre si concede generosamente, con entusiasmo e sentita partecipazione nei dieci minuti di bis, Laura Marinoni, perfettamente a suo agio anche in veste di cantante, condivide con i musicisti il meritato successo, ringraziando per prima il pubblico con un dolce, rispettoso sorriso…
Elisabetta Dente