E così, alla fine, da SERVITORE DI DUE PADRONI, commedia che Carlo Goldoni scrisse nel 1745, secondo la tradizione della Commedia dell’Arte in forma di canovaccio per il comico Antonio Sacco, che recitava improvvisando, Arlecchino si ritrova a essere servitore di un padrone e di una padrona. Ma non lo vediamo subito il protagonista di una trama astuta quanto piena di colpi di scena perché i primi ad attraversare la platea del Piccolo Teatro Grassi, dove lo spettacolo è in scena da ieri sera al prossimo 17 novembre, sono due anziani personaggi che salgono sul palcoscenico per accendere le prime nove candele, simbolo di una fiamma che si rinnova, che si spegne, ma che si riaccende, di un amore eterno, infinito, illimitato, per il teatro e per la vita. E la luce fu. La prima a illuminare la moltitudine delle maschere dietro il sipario, un tulle bianco, poi seguita per l’intera durata dello spettacolo dalle luci calde di Caudio De Pace, mentre il primo saluto al pubblico lo rivolgono i suonatori sulla destra, un trio composto da tromba, trombone e grancassa, su musiche di Fiorenzo Carpi. Come nella prima edizione, che debuttò sulle tavole di Via Rovello il 24 luglio 1947, con le scene di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino. E dalla regia di Giorgio Strehler a quella di Stefano de Luca, che firma questo allestimento, dodicesima edizione in 78 stagioni, un filo lega la Commedia dell’Arte al recupero delle radici, in uno spettacolo che è sì eterno, ma al tempo stesso modernissimo, proiettandosi verso il futuro. Dal 1987, quando de Luca entrò alla Scuola del Piccolo ed ebbe modo di affiancare il Maestro nella nuova messinscena dell’ARLECCHINO DEL BUONGIORNO, curandone ogni recita, all’attuale edizione, nella quale una nuova generazione di attori, neodiplomati alla Scuola di Teatro del Piccolo a guida Carmelo Rifici, si affaccia sulla scena, infondendo nuova energia e nuovo slancio a una recitazione tutta modulata sulla ricchezza e sul patrimonio di una molteplicità di dialetti. Fra i quali spicca nel ruolo di Brighella il barese Andrea Coppone, mancato archeologo, folgorato a 16 anni dalle gesta dell’Arlecchino di Enrico Bonavera, ma già pronto a impersonarlo lui stesso nelle prossime recite del 29 ottobre e del 5, 6, 12 e 13 novembre. Ma ora gli applausi sono tutti per lui, Enrico Bonavera, istrionico, ma empatico nel dare calore e spessore a questa maschera universale, capace, dopo 3.017 repliche, di creare fratellanza, di recepire e restituire agli spettatori la magia che si crea sul palcoscenico, un’armonia nella quale improvvisamente il pubblico diventa comunità e gli spettatori fratelli. Infatti, non può che suscitare simpatia questo ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI (altrimenti noto come Truffaldino), che al primo inganno fa seguire una trama nella quale intreccia con la vicenda di due innamorati altri equivoci e altri guai, con lo scopo primario di saziare la sua atavica fame in un vortice di piatti, bevande, pietanze e frutta, che in un perfetto equilibrismo acrobatico gli attori fanno volteggiare nell’aria sfiorando arditamente e pericolosissimamente le molte candele che arricchiscono la scenografia. La novità di questo allestimento è la presenza sul palco di un’attrice nel ruolo della suggeritrice, mentre il pensiero va ad Alighiero Scala, lo storico e bravissimo suggeritore del Piccolo. Alla fine calorosi applausi per tutti, dalla compagine dei musici al completo (Lorenzo Bassani, Alessio Dal Piva, Francesco Mazzoleni, Matteo Polce e Alessia Scilipoti), agli attori tutti e a Stefano de Luca, che ha ripreso la regia di Giorgio Strehler.
Elisabetta Dente