Al Franco Parenti SCHEGGE DI MEMORIA DISORDINATA AD INCHIOSTRO POLICROMO. Una vicenda multiforme come la psiche umana, che chiede di lasciar fuori dalla sala ogni manicheismo

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Nell’atmosfera rarefatta della Sala A2A del Teatro Franco Parenti, dove si replica fino a domenica 13 aprile SCHEGGE DI MEMORIA DISORDINATA AD INCHIOSTRO POLICROMO, nuova produzione del Teatro che ha curato anche la realizzazione della scenografia di Stefano Zullo e dei costumi di Eleonora Rossi, William Stanley Milligan, detto Billy, ride. E ride di gusto ricordando e imitando il padre, attore comico, purtroppo mancato troppo presto, quando Billy era ancora piccolo. Chissà se Billy è mai stato felice da bambino, se è mai stato veramente bambino. Superata l’infanzia, Billy si affaccia all’adolescenza e in un continuo entrare e uscire da sé stesso, complici le evocate sonorità del rock psichedelico degli Anni Settanta o la drammaturgia sonora creata da Mimosa Campironi, realizzata con sintetizzatori Moog, chitarra elettrica e pianoforte, e i contributi video di Francesco Marro con immagini da telefilm di quegli stessi anni, si costruisce un mondo interiore popolato di voci e di trance, di rumori e di suoni. Billy, nato il 14 febbraio 1955 a Miami Beach in Florida, nel 1977 salì tristemente alla ribalta della cronaca americana in quanto accusato di aver rapito, stuprato e rapinato tre studentesse. Durante il processo, che all’epoca suscitò molto scalpore, nel 1981 la Dottoressa Turner riuscì a diagnosticare la malattia da cui era affetto Billy: disturbo dissociativo dell’identità, in cui più identità si alternano nel controllo della persona. Identità che possono avere schemi di linguaggio, temperamento e comportamento diversi da quelli normalmente associati al soggetto. Nel 1991 Billy, benché riconosciuto colpevole dei reati commessi, fu assolto perché affetto da una patologia mentale che non lo rendeva responsabile delle azioni compiute. Poco si sa della sua vita successiva, fino alla morte avvenuta il 12 dicembre 2014 in una casa di cura a Columbus a causa di un sarcoma molto aggressivo che lo aveva colpito due anni prima. Ma chi era veramente William “Billy” Milligan? Se lo è chiesto Daniel Keyes, autore nel 1981 della biografia The Mind of Billy Milligan, pubblicata in Italia da Feltrinelli nel 2009 con il titolo Una stanza piena di gente; se lo è chiesto M. Night Shyamalan, che nel 2016 ha diretto il film Split interpretato da James McAvoy; se lo sono chiesto gli autori della fortunata serie The Crowded Room. Infine, se lo è chiesto Fausto Cabra che, firmando l’allestimento di SCHEGGE DI MEMORIA DISORDINATA AD INCHIOSTRO POLICROMO, debutta alla regia con la drammaturgia affidata a Gianni Forte, già noto autore, regista e traduttore, chiedendogli di articolare il testo attorno a tre piani: l’indagine legale; l’indagine psicologica e l’indagine teatrale. Chi fosse realmente Billy non può che chiederselo anche lo spettatore, che si ritrova inerme di fronte a uno spettacolo così impegnativo e complesso. Domanda che più che pretendere risposte suscita e provoca riflessioni e ragionamenti. Di sicuro dal processo emerge che Billy manifestò il disturbo dissociativo dell’identità già dai quattro anni, quando si fece evidente in lui la prima personalità. A nove anni, in seguito alle ripetute violenze subite dal patrigno, la sua mente si disgregò in 24 diverse identità. Ed eccone alcune, introdotte ed esemplificate in stanze brechtiane – un preludio, quattro rapsodie, un post-ludio -: Demetrio, il bullo; Alice, la parte femminile; Pollicino, il bambino di sempre che vorrebbe negare l’atroce verità legata al patrigno. Eppure quello di Billy è un grido potente, anche se sommesso, disperato, che sale dallo stomaco come un grumo di rabbia che non si può e non si vuole soffocare ma che si ha bisogno di far esplodere quando sussurra, il viso quasi sepolto dalla terra gettatagli addosso dall’odiato patrigno: “Io non so niente dell’amore, io non so cos’è l’amore”. E dietro la ripetizione della parola amore non si nasconde la ricerca di un alibi, bensì una richiesta di aiuto. Come pure nel drammatico incontro/confronto con la madre, che non sa, che nega o che vuole negare. Quale parte riveste la realtà e quale la finzione in quest’uomo? Di certo il dolore è palpabile, fisico e ce lo fa toccare con mano il Billy del superlativo Raffaele Esposito, cui si affiancano con autentica partecipazione Anna Gualdo, la dottoressa, ed Elena Gigliotti, l’avvocato, entrambe impegnate anche in altri ruoli. Se l’immedesimazione è tangibile, se l’interprete si cala nel personaggio e lo fa suo, alla fine rimane comunque il dubbio se Billy fosse veramente affetto da disturbo dissociativo dell’identità, o se fosse invece un abile manipolatore al punto da riuscire a ingannare medici e avvocati. E forse questo non è l’unico dubbio…

Elisabetta Dente