EZRA POUND IN GABBIA O IL CASO DI EZRA POUND al Piccolo Teatro. La vicenda del poeta che conobbe il manicomio e gli ideologismi che lo legarono a una fama controversa

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Le luci si accendono su un Ezra Pound, un somigliantissimo Mariano Rigillo nella barba e nell’acconciatura dei bianchi capelli, fiaccato, ma non piegato, nella gabbia – come dice il titolo – un’angusta struttura di ferro, la cella nella quale il poeta italiano-statunitense è rinchiuso nel campo di detenzione della Polizia militare americana vicino a Pisa nel 1945, con l’accusa di tradimento. Liberamente tratto dai suoi scritti e dalle sue dichiarazioni, EZRA POUND IN GABBIA O IL CASO EZRA POUND, scritto e diretto da Leonardo Petrillo, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e da Officine del Teatro Italiano nell’ambito del progetto VenEzra, ideato dallo stesso Petrillo e promosso dalla Regione Veneto, in scena al Piccolo Teatro Grassi fino a dopodomani, domenica 23 febbraio, prende l’avvio proprio da qui. Da un Pound che illustra al pubblico come la prigionia possa togliergli la dignità, costretto com’è – sono le sue parole – a defecare all’aperto, ma non riuscirà mai a togliergli il suo anelito alla purezza assoluta della sua arte e della sua poesia, come è nelle intenzioni dell’autore sottolineare. Il ferro è dappertutto, nelle pareti della gabbia, esposta al sole e alla pioggia di giorno e ad accecanti riflettori di notte ma anche nei muri perimetrali della struttura e Pound cita anche il filo spinato. Sulla destra del palcoscenico, nascosta dall’ombra, viene illuminata a tratti dal disegno luci di Enrico Berardi una figura femminile, accovacciata fra tomi e volumi sparsi tutto intorno a lei. È Anna Teresa Rossini che delicatamente ripete, dopo essere state pronunciate dal poeta, dapprima una rima e poi un’intera strofa, dei Cantos, o meglio ancora, dei Pisan Cantos, una raccolta di 11 canti composti proprio nel 1945 durante il periodo di detenzione in Italia, pagine ritenute universalmente di grande bellezza nelle quali Pound respinge la mentalità borghese lasciando emergere la nostalgia per l’arte, per la cultura del passato e il concetto di pietas. Fascista? La Repubblica di Salò? A queste domande Pound risponde che molti furono sedotti dalle teorie mussoliniane. E, ricordando il periodo della Repubblica di Salò, Pound precisa che fra gli attori non ci furono solo Dario Fo e Giorgio Albertazzi ma molti altri. Lui no, non si è mai dichiarato fascista. E lo ribadisce con forza proprio durante i numerosi interrogatori cui viene sottoposto nel periodo trascorso nel Disciplinary Training Center della Polizia militare Usa nei pressi di Pisa. È la nostalgia per il passato a soccorrerlo, il ricordo della bellezza dei luoghi, degli anni trascorsi in Europa ma soprattutto in Italia, che ama così tanto. E della letteratura e della poesia che sono state per lui grande fonte di ispirazione, dalla Divina Commedia di Dante all’Odissea di Omero. Sempre attento a un perfetto equilibrio fra lo stato d’animo da esprimere e la musicalità del verso, fra le nuove correnti artistiche – emblematiche le immagini di Filippo Tommaso Marinetti proiettate sullo sfondo con musiche di Carlo Covelli – e le realtà socio-economiche, al di qua e al di là dell’Oceano, fra le quali si sente stritolato e contro le quali alza forte la sua voce. Lo fa durante la detenzione in Toscana ma, in maniera ancora più eclatante, durante l’internamento di dodici anni nel manicomio criminale di Saint Elizabeth negli Stati Uniti, dove era stato trasferito dopo la detenzione in Italia e dove fu processato per tradimento. Qui fu dichiarato infermo di mente con una contestata diagnosi ma, una volta liberato, poté tornare in Italia, nella sua Venezia, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita in Fondamenta Cabala nel Sestiere di Dorsoduro. Ora, nel cambio della scenografia a firma Gianluca Amodio, la recinzione in ferro della prigione negli Stati Uniti è più alta, più fitta di quella italiana e i fantasmi degli anni precedenti si affollano nella mente di Pound e sullo sfondo ma non obnubilano i suoi ricordi, i suoi pensieri, la dolce presenza di una gattina. Ben peggiori sono le condizioni di altri detenuti e Pound ne è consapevole. Si scaglia con vigore contro il capitalismo, lo strapotere dell’economia, e in particolare contro l’usura, da intendersi non come interesse sul denaro prestato, bensì come capacità del denaro di produrre altro denaro senza passare attraverso il processo produttivo, cioè il lavoro. Per concludere, Pound individua proprio nell’usura il male peggiore della società contemporanea, male che potrebbe essere eliminato con la tassazione della moneta. E proprio a questo tema dedicherà una splendida poesia dal titolo With Usura. È affascinato dalla civiltà contadina, dal mito dell’America dei pionieri, da cui scaturisce la sua avversione alla guerra, e dall’etica del Confucianesimo. Secondo Pound, devono essere superati il conflitto fra economia e finanza e la corruzione del profitto e dell’affarismo. E a chi gli fa notare un’eccessiva presenza nella sua dialettica di termini economici scherza sul significato del suo stesso cognome. In particolare si scaglia contro l’egoismo del capitalismo manifestando un amore profondo per le espressioni nazionali, popolari e tradizionali, convinto com’è del valore della cultura e del potere dell’educazione, della fusione tra culture diverse. Personaggio complesso e contraddittorio ma sulla sua arte sono tutti d’accordo, da Ernest Hemingway a Enzo Siciliano, che parlò di un “prima” e di un “dopo” Pound nella poesia del Novecento, a Pier Paolo Pasolini. Quello che conta di lui in definitiva è proprio la grandezza della sua arte, non solo come saggista e traduttore ma soprattutto come uno dei protagonisti della poesia del XX secolo. Soltanto alla fine, a piedi nudi, elegante nell’abito nero che ne sottolinea le forme sinuose, Anna Teresa Rossini viene alla sinistra del palco e recita a memoria un’ultima intera poesia. È la conclusione dello spettacolo. I due attori si prendono per mano, avanzano verso il proscenio mentre il regista Leonardo Petrillo si unisce a loro nel ricevere i calorosi applausi. Poi dopo 100 minuti ininterrotti di monologo da grande attore, è di nuovo Mariano Rigillo a prendere la parola: “Portate con voi l’idea che Ezra Pound è stato un grande poeta”.

Elisabetta Dente