Il CANTO DELLA ROSA BIANCA di Maurizio Donadoni. La nascita di Adolf Hitler fino alla sua ascesa a Fuhrer e gli studenti che hanno avuto il coraggio di opporsi al Nazismo

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Milano, Teatro Oscar, martedì 28 gennaio. Le note di Lili Marleen accompagnano gli spettatori mentre entrano in sala. La canzone diventata simbolo della ribellione a tutti i regimi e dimostrazione universale dell’inutilità della guerra fu composta come poesia da un soldato tedesco, Hans Seip, fuciliere al fronte orientale sui Carpazi nel 1915. Ma solo in seguito quando Norbert Schultze la traspose in musica e soprattutto dopo che Marlene Dietrich la incise nel 1944 divenne la canzone di tutti i soldati. Mentre si abbassano le luci di sala altre luci si accendono a illuminare i costumi, il palcoscenico, lo sfondo e una scenografia minimalista di Indole Teatro, che ha anche prodotto, insieme con il Teatro de Gli Incamminati, questo allestimento di CANTO DELLA ROSA BIANCA. STUDENTI CONTRO HITLER. MONACO 1942/43, nella quale davanti a un tappeto rosso campeggiano quattro sedie. Saranno poi le luci di scena nell’ora e un quarto di spettacolo a evocare e a disegnare con sfumature di un blu intenso, di un rosso acceso e di un color lavanda chiaro le varie tappe di quella che si rivelerà ben presto l’irresistibile ascesa di Adolf Hitler. Nella prima rappresentazione del 2001 Maurizio Donadoni, autore del testo nato da un approfondito e accurato lavoro di ricerca, ne era anche l’unico interprete. Quell’immagine di lui, solo sulla scena, la testa rivolta verso il basso, gli occhi chiusi, che con forza preme le dita sulle tempie e ad alta voce rivolgendosi al mondo intero che non sa o che finge di non sapere pronuncia la sua invettiva contro il regime è indimenticata e indelebile: con quella voce, la sua voce, che viene da lontano, aspra, ruvida ma che, prima ancora di arrivare alle orecchie come carta vetrata, va dritto al cuore, trafiggendolo. Ora Maurizio Donadoni passa la mano e da regista prende per mano Antonio Bandiera, Nicasio Catanese, Federica Lea Cavallaro, Maddalena Serratore e Claudia Zappia che in questa messinscena, che a Donadoni è valsa il Premio DOIT – Festival Drammaturgia Oltre Il Teatro, interpretano non solo gli studenti del nucleo originario della Rosa Bianca, ma si moltiplicano in tutti gli altri personaggi. Dove si annida il male, dove si nasconde l’orrore? Negli occhi innocenti di un bambino, nato nel 1889 a Braunau in una famiglia piccolo borghese, molto legato alla mamma, forse l’unica donna che abbia veramente amato in vita sua, non particolarmente diligente a scuola ma con una spiccata propensione per il disegno anche se non diventerà mai un artista. In realtà, se poco si sa sia dell’infanzia che dell’adolescenza del futuro Fuhrer, si sa per certo che il giovane Hitler si trasferì in una Vienna brulicante di fermenti artistici negli ultimi luminosi anni di vita dell’Impero dando fondo all’eredità di famiglia nel tentativo di realizzare il suo sogno. Ma a far luce sulle tendenze e sui gusti del ragazzo Adolf sono le dichiarazioni di August Kubizek contenute nel suo libro di memorie pubblicato nel 1956 pochi mesi prima della sua morte. Conosciutolo a Linz, la città dove entrambi abitavano, nel 1905 quando Hitler aveva 16 anni, August, che diventerà poi l’unico amico del futuro Fuhrer, racconta del grande interesse di Adolf non solo per la pittura e per l’architettura ma anche per la musica tant’è che nel 1908 August raggiunse il giovane amico per frequentare i corsi al Conservatorio di Vienna dove nel frattempo Adolf si era trasferito. Seguendo il racconto di Kubizek, apprendiamo quanto fosse magnetico e come si sentisse architetto al punto da ridisegnare l’urbanistica di Linz e di Vienna che poi in parte poté realizzare perché dopo l’Anschluss dell’Austria alla Germania nel 1938 fu edificato il nuovo ponte sul Danubio a Linz da lui progettato tra il 1907 e il 1908. Gustl – così lo chiamava Adolf – rimane tuttavia sconcertato da alcuni atteggiamenti dell’amico, da alcune stranezze che anticipano il suo comportamento futuro, per Gustl in ogni caso inimmaginabile. Quel che lo colpisce e lo affascina, comunque, al di là delle asprezze del carattere o di alcuni eccessi comportamentali che contribuiscono a tratteggiare il quadro di una personalità a dir poco eccentrica, è il momento in cui Hitler in una notte del 1907 in cima all’altura del Freinbeg a Linz, parla di una missione speciale che un giorno gli sarebbe stata affidata. In quel momento Adolf appare all’amico come un’entità aliena, l’essere che poi avrebbe ammaliato e illuso milioni di tedeschi. D’ora in avanti saranno i cinque attori a dar vita in toni sarcastici con una dizione talvolta poco comprensibile e con una recitazione sincopata, frenetica, in un crescendo vorticoso carico di pathos, agli atteggiamenti di quello che diventerà uno dei protagonisti in negativo della storia del Novecento. E, documenti alla mano, snocciolano cifre, nomi, date che andranno a costruire un’ideologia barbara e disumana, un’impressionante fabbrica di morte. Con evidenti rimandi alle atmosfere del cabaret, ai disegni e alle caricature di George Grosz e alle espressioni artistiche del Secessionismo, in questo documentario teatrale assistiamo alla lenta ma inesorabile conquista del potere da parte del giovane Hitler. Nel giro di poco tempo diventa antisemita e antimarxista.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914 si arruola nell’esercito tedesco, viene nominato caporale ed è decorato. Attribuisce la responsabilità del crollo degli Imperi centrali a socialisti ed ebrei e avversa completamente la neonata Repubblica di Weimar. Nel dopoguerra a Monaco diventa un fervente propagandista politico al servizio di ambienti militari reazionari nonché leader del Partito operaio tedesco nazionalsocialista, ovvero il Nazionalsocialismo che nel 1921 organizzò le SA, le cosiddette “squadre d’assalto”, gruppi da scatenare contro socialisti e comunisti. Uomo dall’oratoria potente, strega ben presto gli ascoltatori con i suoi vibranti discorsi contro liberali, democratici, socialisti, ebrei, tutti accusati di aver provocato la sconfitta. Tra l’8 e il 9 novembre 1923 con il Generale E. Ludendorff guida a Monaco un colpo di Stato che fallisce. Viene imprigionato e in carcere scrive il Mein Kampf – La mia battaglia -, testo fondamentale del Nazismo, dal quale emerge nel dettaglio il suo pensiero antidemocratico, antimarxista, antisemita e razzista. Per lui essenziale è la costruzione di un Terzo Reich millenario attraverso una guerra che lo veda vincitore su Francia, Polonia e Unione Sovietica, portando quindi a una ridefinizione dell’Europa orientale. Una volta uscito di prigione nel 1925 ricostituisce il Partito nazista divenendone il capo assoluto, cioè il Fuhrer, con al suo fianco Hermann Goring, i fratelli Otto e Gregor Strasser, Rudol Hess, Alfred Rosenberg, Paul J. Goebbels ed Ernst Rohm. Nella seconda metà degli Anni Venti con la crisi del 1929 il Partito Nazista acquista nuovo vigore e in un momento di forti conflitti politici e sociali Hitler ottiene il consenso dei grandi proprietari terrieri, degli industriali, dell’esercito, dei ceti medi spaventati dal pericolo comunista e dalle grandi masse dei lavoratori. Promette agli uni il ripristino dell’ordine e agli altri l’avvento di un socialismo nazionale che li avrebbe liberati dallo sfruttamento dei capitalisti ebrei. Alle elezioni del 1932 i nazisti diventano il primo partito e il 30 gennaio 1933 il Presidente della Repubblica Paul Hindenburg nomina Hitler Cancelliere, ovvero Capo del Governo. Da qui l’inizio del potere assoluto. Distrugge le istituzioni parlamentari, fa assurgere il Partito nazista a partito unico, scioglie le organizzazioni sindacali non naziste, inizia la persecuzione degli avversari politici, specie socialdemocratici e comunisti. Dilaga il terrore scatenato dalle SA e dalle SS, Schutz Staffeln, “squadre di difesa”, nominate come guardia personale di Hitler, di cui diventa capo Heinrich Himmler. Viene abolita la struttura federale del Paese, che è sottoposto al Governo centrale. Nasce la Gestapo, la polizia segreta di Stato. Nel 1934 Hitler fa liquidare dalle SS Rohm e i capi dell’ala sinistra del nazismo. Dopo la morte di Hindenburg avvenuta nello stesso anno Hitler assume i poteri di Capo dello Stato. Tra il 1933 e il 1939, gli anni del maggior successo del Nazismo, la società tedesca viene interamente nazificata e assume i tratti di un sistema totalitario. A partire dal 1935 gli ebrei sono privati del diritto di cittadinanza, espulsi dai luoghi di lavoro, espropriati dei propri beni, accusati di ogni colpa, arrestati e uccisi a migliaia. Tre furono i fattori che rafforzarono il consenso attorno a Hitler: il miglioramento dell’economia tanto che nel 1939 non esisteva più la disoccupazione, i grandi successi in campo internazionale e la rinascita della potenza militare tedesca. Nel 1936 Hitler fa occupare militarmente la regione della Renania senza reazione da parte dei francesi e fa intervenire forze tedesche nella guerra civile spagnola. Nel 1938 invade l’Austria unendola alla Germania, poi annette i Sudeti, una regione della Cecoslovacchia dove abitavano circa 3 milioni di tedeschi. I capi di Stato di Francia, Gran Bretagna e Italia, riuniti nella Conferenza di Monaco del 1938, accettano le richieste di Hitler autorizzando la distruzione della Cecoslovacchia. Oggetto di uno sfrenato culto della personalita, Hitler venne a quel tempo considerato dalla maggior parte dei tedeschi l’uomo più grande della loro storia. Si allea con Italia e Giappone ed è deciso ad attuare i suoi piani con una nuova guerra. Stringe un patto con Stalin nel 1939 per coprirsi le spalle a Est e il 1° settembre invade la Polonia dando inizio in tal modo alla Seconda Guerra Mondiale e provocando l’intervento di Francia e Gran Bretagna. Nel 1940 sconfigge anche la Francia e, convinto di essere imbattibile, nel 1941 attacca anche l’Unione Sovietica ottenendo inizialmente grandi vittorie. Dichiara guerra agli Stati Uniti ma a partire dal 1942 la sorte cambia e gli eserciti alleati prendono il sopravvento. La storia ha una tramatura meno fitta di quanto si creda e agli occhi dei puri, dei giusti, degli ardimentosi lascia intravvedere i suoi interstizi nei quali riescono a insinuarsi un coraggio e una voglia di riscatto talmente grandi e talmente forti da creare veri e propri squarci come hanno fatto i fratelli Sophie e Hans Scholl, i loro amici Alexander Schmorell, Willi Graf, Christoph Probst e il loro professore Kurt Huber, creando nell’estate del 1942 il movimento studentesco cristiano della Rosa Bianca, primo gruppo di resistenza universitaria, tuttora più conosciuto e commemorato in Germania. Furono tutti testimoni del coraggio del dissenso. Intrapresero la lotta contro il regime nella maniera più nobile possibile – attraverso le parole – rinunciando alla violenza, difendendo i propri principi etici e morali, rispecchiando un’immagine di libertà e di pace. E qui la recitazione si fa sempre più partecipe di quell’organizzare, pensare, scrivere, copiare, diffondere e far circolare parole infiammate di amor patrio e di devozione alla propria cultura che gli studenti vedevano ingiustamente vilipesa e tradita, contro il regime di Hitler e la politica di guerra nonché parole di denuncia dello sterminio degli Ebrei nell’Europa dell’Est, per far prendere coscienza alla popolazione delle ingiustizie e dei “progetti barbari” perseguiti dal regime. Nell’incalzare della musica di Nicola Alesini pare di riconoscere il giro costante del ciclostile, il suo schiacciare ritmico di fogli e fogli. I primi quattro volantini furono spediti anonimamente per posta a un centinaio di persone. Gli ultimi due vennero invece stilati in migliaia di copie e nascosti senza farsi scorgere in vari luoghi pubblici di Monaco di Baviera. Ecco una frase tratta dal primo volantino: “Fate resistenza passiva, resistenza ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina da guerra continui a funzionare prima che le città diventino un cumulo di macerie…”. E nel secondo volantino, distribuito nell’estate del 1942, si legge: “…dall’occupazione della Polonia sono stati trucidati in quel Paese nel modo più bestiale 300mila ebrei”. Pur essendo così giovani, gli appartenenti alla Rosa Bianca avevano già partecipato alla guerra sul fronte occidentale e su quello orientale, dove furono testimoni delle atrocità commesse contro gli ebrei, e si erano già resi conto che il rovesciamento delle sorti che la Wehrmacht aveva subito a Stalingrado nell’inverno 192-’43 avrebbe portato alla sconfitta della Germania. A tale proposito ecco il contenuto del quinto volantino del gennaio 1943: “La guerra volge sicuramente verso la fine… Hitler non può vincere la guerra, può soltanto prolungarla!”. Il 18 febbraio 1943 Sophie, Hans e Chrtistoph si recano all’Università con una valigia piena del sesto volantino, redatto dal Prof. Kurt Huber, e, dopo averlo nascosto, escono. Ma Sophie ha un ripensamento, torna indietro e incautamente lancia centinaia di copie da una finestra. La vede Jakob Schmid, il bidello che immediatamente chiama la Polizia. È l’inizio della fine: la denuncia, l’arresto, la tortura, la resistenza. Vengono imprigionati per un breve periodo, processati e condannati alla pena capitale, accusati di cospirazione contro il regime del Fuhrer perché facenti parte del gruppo clandestino di opposizione denominato Rosa Bianca. Il processo, presieduto dal noto giurista del Terzo Reich Roland Freisler, si rivela una farsa: i tre vengono condannati a morte e il giorno stesso, il 22 febbraio 1943, giustiziati con la ghigliottina nel cortile della prigione Stadelheim di Monaco. Oltre ai fratelli Scholl il nucleo originario della Rosa Bianca comprendeva anche Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, poco più che ventenni e di religione cristiana, tutti studenti all’Università Ludwig Maximilian di Monaco, ai quali si era unito il Professor Kurt Huber, musicologo e docente di filosofia, estensore del testo degli ultimi due dei sei volantini diffusi dal gruppo, che sarebbe stato seguito da un settimo, già scritto, che però non poté mai essere stampato. Pur essendo così giovani avevano già partecipato alla guerra sul fronte occidentale e su quello orientale e si erano già resi conto che il rovesciamento delle sorti che la Wehrmacht aveva subito a Stalingrado avrebbe portato alla sconfitta della Germania. Queste le ultime parole di Sophie Scholl: “E’ una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte se attraverso di noi migliaia di persone sono risvegliate e suscitate all’azione? Io seguo la mia coscienza”. Hans Scholl gridò a gran voce: “Viva la Germania. Viva la libertà”. E a casa sua, tra le pagine di un libro di poesie di Goethe, accanto a un verso che Hans amava citare spesso – “Nessun Paese è fine a sé stesso”, fu ritrovata una rosa bianca, simbolo della forza d’animo, della bellezza, della purezza. Poco prima di morire il Prof. Huber riuscì nonostante tutto a pronunciare parole d’amore perché Omnia vincit amor. Complessivamente furono 15 i membri della Rosa Bianca condannati a morte fra Monaco e Amburgo mentre altri 38 vennero incarcerati. Durante il nazismo, il Tribunale del Popolo condannò a morte 3.500 persone. Dopo la morte dei Fratelli Scholl, nessuno studente seguì il loro esempio, come invece aveva auspicato Sophie, ma un aereo inglese sì: raccolse i volantini e tornato in Inghilterra li lanciò dal cielo in milioni di copie. La vicenda della Rosa Bianca testimonia che la dignità può esistere anche negli interstizi della storia. Dopo il caloroso successo di martedì, CANTO DELLA ROSA BIANCA. STUDENTI CONTRO HITLER. MONACO 1942/43 si replica stasera, giovedì 30 gennaio, al Teatro Nuovo di Treviglio (Bg) e domani sera, venerdì 31 gennaio, alla Sala S. Fermo di Almè (Bg).

Elisabetta Dente