Al Piccolo Teatro Grassi ANATOMIA DI UN SUICIDIO, con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli. Le storie di tre donne, accomunate dalla stessa famiglia, che si riflettono l’una nell’altra

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Amore, sì. E poi ancora amore, amore, amore. In un percorso temporale lungo rispettivamente 11, 5 e 8 anni, che accomuna tre donne, tre nomi, tre vite: Carol, la mamma (Tania Garribba); Anna, la figlia (Petra Valentini); Bonnie, la nipote (Federica Rosellini). Diacronico sì, ma al tempo stesso simultaneo, perché sulla scena di Marco Rossi le storie di queste tre donne si svolgono contemporaneamente, riflettendosi l’una nell’altra. In un racconto che nella lingua dell’autrice, l’inglese Alice Birch (che al suo attivo vanta già numerose e fortunate sceneggiature cinematografiche, oltre che diversi testi teatrali), si rivela un meccanismo a tempo, capace di bilanciare in contrappunto la narrazione e il dipanarsi delle vicende delle tre protagoniste di ANATOMIA DI UN SUICIDIO, che dopo il grande successo di pubblico e di critica dello scorso anno, consacrato da ben 5 Premi Ubu, è ora al Piccolo Teatro Grassi fino al 22 dicembre nell’allestimento de lacasadargilla, collettivo artistico associato al Piccolo Teatro, che produce lo spettacolo, e per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni, che ne tratteggia anche i paesaggi musicali. Un’unica linea femminile, dunque, che dopo l’entrata in scena dalle tre porte interne della grande casa che si affacciano sul palco, vede contemporaneamente altri nove interpreti muoversi in tre ambienti diversi e che proietta la propria sfera d’azione non solo in ambito famigliare, ma anche sociale, coinvolgendo pure le tematiche dell’eredità e del generare. Nella grande casa che accoglie e restituisce le vite di Carol, Anna e Bonnie le mura risuonano dei sentimenti di mariti, compagne, amici, colleghi: amore, sì, ma anche ansie, desideri, progetti, dolori, in un dialogo intermittente, ma costante, che rispecchia anche la fatica del vivere quotidiano, dai tentativi di sopravvivenza, fino alla resistenza alla vita. Momenti alti o momenti impercettibili, che appartengono sì, alla vita di Carol, Anna e Bonnie, ma che in senso lato si distendono sul macro o microuniverso che le circonda, che si permea lentamente delle loro voci, dei loro pensieri, delle loro confessioni. Carol, la mamma, è in bilico fra la vita e la morte. Si sforza, senza riuscirvi, di essere una buona moglie, ha tuttavia un grande vitalità, che non le permette, però, di non pensare alla morte. Che arriverà puntuale quando Anna, la figlia, sarà quasi donna e quindi in grado di camminare nella vita da sola. Anna, appunto, è il ponte che collega madre e nipote. È contraddittoria e brillante al tempo stesso. Della madre dice: “Tutto è semplicemente caos da quando se n’è andata”. E si sente pronta a cominciare una nuova vita. Ma in realtà i fantasmi del passato si riaffacciano nella sua esistenza in tutta la loro prepotenza, come la droga. La vita le consente ancora di portare a termine la gravidanza ma poi, nel momento della nascita di Bonnie, la abbandonerà. Il primo atto si chiude con rami ondeggianti al vento proiettati sulla parete di fondo, uno dei muri interni della casa, mentre il secondo si apre con le tre porte chiuse. La parete di fondo è ora il muro esterno della casa che si affaccia su un grande giardino. E Bonnie diventerà l’ultima della stirpe. Non sa quasi nulla della mamma e della nonna. È silenziosa e solitaria in quella casa grande, che la riveste di ricordi e di parole, dalla quale vuole uscire fisicamente e mentalmente. Saranno suoi, d’ora in avanti, un frutteto, l’acqua, un coniglio. Una vita altra, con altri silenzi, ma anche altri suoni, non più solo quelli delle parole da lei pronunciate o urlate in passato e che appartengono a un linguaggio da trivio o quelli di parole che toccano invece vertici di alto lirismo. Per lei d’ora in avanti, mentre potrà guardare con occhi nuovi il tappeto d’erba che si stende sul proscenio, parlerà la natura attraverso la bellezza di un frutteto o il gorgoglio dell’acqua. D’ora in avanti Bonnie non si trincererà più dietro un “a quanto pare”, espressione figlia di molti sentito dire, ma imparerà ad ascoltare la nostalgia e soprattutto il grande amore celato dentro di sé per la grande casa della sua famiglia. E il silenzio o la voce degli spazi fra le cose, in una fine che in realtà si trasforma in un nuovo inizio. Abbraccio corale da parte del pubblico a tutta la compagnia, con ripetuti e calorosi applausi…

Elisabetta Dente

(Immagine di copertina: Masiar Pasquali)