Ci ho pensato un po’, prima di decidermi a scrivere questo libro. Di tempo, di tempo sospeso, ne ho avuto abbastanza. Continuavo a rinviare perché c’era sempre qualcos’altro da fare, da leggere, da ascoltare, su cui riflettere e prendere tempo. Un tempo sospeso, appunto. Quello che più o meno tutte le persone, nel mondo, hanno vissuto a causa della pandemia. Mi fa male soltanto a scriverla, questa parola, che non vorrei leggere mai più, tanto è il male che ha fatto e che mi ha fatto. Il solo pensarla, mi provoca un senso di nausea, dopo aver generato in me dapprima una quasi naturale superficialità di approccio (quando all’inizio le notizie erano poche e frammentarie) e poi, via via, per diverse ragioni, allerta, preoccupazione, angoscia e infine paura. Una paura fottuta. Soprattutto perché ho una figlia, una figlia molto piccola. E poi certo, anche di morire, di soffrire, di provare dolore in ogni modo possibile. Di paura ne ho ancora oggi e ne avrò anche domani, fino a quando questa storia non finirà davvero. Perché i tempi (che si credono erroneamente conclusi, o quasi) e i modi per uscire da questa difficile situazione sanitaria non li sta dettando soltanto la scienza medica. Qualsiasi fenomeno umano, infatti, si trasforma in un business potenziale, che viene gestito (nei tempi e nei modi, appunto) da chi detiene il potere economico-finanziario. Generalmente con la mediazione del potere politico, ma in situazioni come quelle che sta vivendo il nostro Paese da circa trent’anni (cioè di vuoto politico) in maniera diretta. Con conseguenze, ovviamente e assolutamente, fuori controllo. Ho pianto molto, durante questo tempo sospeso. Ho pianto di nascosto da mia moglie e da mia figlia, cercando di mantenere nei limiti del possibile un atteggiamento positivo interiore. E a proposito di mia figlia: penso che il solo dubbio di lasciarla senza il papà così piccola (nel momento in cui scrivo ha quattro anni) sarebbe sufficiente per far passare la voglia di scherzare e di mangiare a qualsiasi altro padre molto più gioviale e gaudente di me. Altro che “ce la faremo” e “andrà tutto bene”. Vedete, quando facciamo affermazioni generiche di questo tipo, al di là della buona fede con cui le pronunciamo e del comprensibile training autogeno che stimolano, dovremmo anche farci qualche domanda che dia un senso a queste frasi fatte. E visto che usiamo il pronome alla prima persona plurale, che ci accomuna in un unico, radioso destino, dovremmo chiederci: noi chi? Chi ce la farà? Chi riuscirà a sopravvivere? Chi non contrarrà la malattia? Chi la supererà stravolto nel corpo e nella mente? Chi ce la farà? Chi ha perso qualcuno che amava? Chi ha perso il lavoro? Chi non perderà il lavoro e nessuno che amava? Dovremmo stare più attenti a quello che diciamo e scriviamo. Magari prendendoci le nostre responsabilità. Tutti, nessuno escluso. Le parole sono importanti e non solo per Nanni Moretti. Tanto sentivo di dovere ad ognuno dei miei lettori. A chi leggerà questo scritto senza pretese, ma con qualche speranza: quella di trasmettere emozioni, sentimenti, sensazioni e riflessioni di un uomo. Soltanto un uomo…
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)
Un tempo sospeso. Quello che più o meno tutte le persone, nel mondo, hanno vissuto finora a causa della pandemia. All’autore fa male soltanto a scriverla, questa parola, che proprio come chiunque non vorrebbe leggere mai più, tanto è il male che gli ha fatto e che ha fatto al genere umano. E tuttavia, pur cercando ogni giorno di scrivere d’altro, ha pensato di raccogliere in questo libro alcune riflessioni personali sulla difficile situazione sanitaria, politica, economica e sociale che purtroppo stiamo ancora vivendo. Considerazioni e brevi analisi a volo d’uccello sui diversi aspetti che finora l’hanno caratterizzata, dal rapporto di ognuno di noi con le emozioni e i sentimenti (paura, coraggio, rabbia, dolore, superficialità, drammatizzazione, preoccupazione, indignazione, impotenza, ottimismo, speranza) alle responsabilità, politiche, sanitarie, collettive, individuali e dell’informazione. E poi la consapevolezza che non si può andare avanti così, il bisogno impellente di cambiare in meglio la nostra vita, della nostra maniera di reagire agli eventi da un nuovo punto di osservazione, con la rottura dei nostri schemi mentali. Un invito ad affrontare la vita in modo più distaccato, al di fuori dai nostri problemi quotidiani, dei quali siamo molto più importanti…
ERMANNO ACCARDI, classe 1960, siciliano di nascita e milanese di adozione, è laureato in Scienze Politiche e giornalista professionista. In oltre trentacinque anni di professione si è occupato di cronaca, sport, musica, cultura, spettacolo e televisione a livello locale e nazionale. Ha ricoperto diversi ruoli: redattore, vicecaporedattore, vicedirettore, inviato e conduttore dei telegiornali di Rete A, Mediaset, MTV, All Music, Repubblica Tv. Fra i molti impegni di giornalista, scrittore, presentatore e organizzatore di eventi di comunicazione ha aperto il blog Milano Meravigliosa (marchio editoriale registrato), che prende il nome da uno dei diversi libri che ha scritto finora e che nella maggior parte dei casi hanno la sua amatissima città come protagonista principale o come sfondo dei suoi racconti…
NEI RITAGLI DI UN TEMPO SOSPESO (Milano Meravigliosa, 2022) di Ermanno Accardi. Prefazione di Rino Morales, postfazione di Maurizio De Filippis, foto di copertina di Andrea Cherchi, progetto grafico di Gianna Avenia. Pagine 180, prezzo Euro 16,00.
In libreria e on line, distribuito e promosso da Distribook