Carlo Borromeo, nelle sue famose “Istruzioni” al clero, redatte con dovizia di particolari tale da sfiorare la pignoleria, scrive: “Degli edifici annessi alla chiesa quello principale, intimamente connesso, è la sacrestia”. Quindi, conclude, non solo una sacrestia per ogni chiesa, ma quando questa è importante più di altre, possono anche essere due: una per il capitolo e gli arredi del coro, l’altra per sacerdoti, ministri officianti e per le rimanenti suppellettili. L’armadio più bello deve essere posto in luogo appartato e silenzioso, illuminato da una lampada perenne e quasi sempre “firmato”: RR.SS. (Reliquiae Sanctorum). La minuzia delle descrizioni del Borromeo nell’arredo delle sacrestie non dimentica nulla: grandi armadi in noce, larghi e lunghi cassetti scorrevoli per i paramenti, suddivisi questi per colore; altri armadi ancora per contenere libri sacri, carte legali, registri parrocchiali con la certificazione di battesimi, cresime, matrimoni, morti; una sezione speciale per rinchiudervi le lettere pontificie, gli editti episcopali, le pastorali. Senza dimenticare poi l’esigenza di avere robusti armadietti per contenere vasi sacri, patene, corporali, purificatoi, veli. Tocco finale, chiavi diverse per ogni singolo armadio, grande o piccolo che sia e addirittura per ciascun cassetto. In definitiva, per i falegnami, un lavoro enorme, di notevole impegno, conseguenza delle numerose commesse ricevute dai vari Ordini Religiosi. Il sentire popolare sostiene convinto che la più bella sacrestia di Milano in legno di noce è quella di San Fedele, opera del gesuita Daniele Ferrari che vi lavora dal 1639 a poco prima del 1670, ricca di due statue in grandezza naturale di Sant’Ignazio di Loyola e di San Francesco Saverio, con fregi, decorazioni e putti in funzione di cariatidi, a gloria della Compagnia di Gesù. Per la custodia delle reliquie in grandi armadi finemente lavorati, la sacrestia dei Barnabiti di Sant’Alessandro è altrettanto famosa ed è stata donata dai marchesi Trivulzio nella seconda metà del Seicento. Armadi destinati al medesimo uso, per i quali cambia la mano degli artisti ma rimane la preziosità del lavoro eseguito, sono rintracciabili nella sacrestia degli agostiniani di San Marco, fra i cui busti che li sormontano spicca la figura di Lanfranco Settala, fondatore dell’Ordine nel XIII secolo. Milano vanta una grande varietà di opere consimili: gli armadi di Santa Maria della Passione (1692); quelli della sacrestia del Carmine (1691-1707) su disegno di Girolamo Quadrio; quelli di San Fedele concepiti a onore dell’ordine carmelitano, con gli episodi della vita di Sant’Andrea Corsini (1301-1374) elevato alla gloria degli altari nel 1629. Né va dimenticata la sacrestia di San Francesco da Paola, splendido esempio di barocchetto, con gli armadi privi di figure ma contenenti gli strumenti della Pas¬sione di Cristo. Non esiste mobile di chiesa che raggiunga, dopo l’altare, la sacralità del Confessionale. Sempre San Carlo così lo definisce: “Mobile di legno che serve per ascoltare nel modo debito e convenevole le confessioni dei penitenti”. Al pari di altri mobili e suppellettili, suggerisce come debba esser fatto, indicandone le misure essenziali; se agli inizi del Trecento i confessionali erano di forme molto semplici, per quelli del suo tempo San Carlo concede tuttavia la possibilità di aggiungervi ornamenti quali cornici, fregi, intagli eccetera. Milano conserva due gruppi di confessionali di altissimo valore artistico: il primo è quello della Chiesa dei Gesuiti, San Fedele, che in origine aveva nove confessionali scesi poi a otto; sono opera di Giovanni Taurini e di suo figlio Riccardo, negli anni che vanno dal 1596 al 1603. Il secondo gruppo è composto da undici confessionali, dei quali due in marmo, eseguiti dopo il 1626 e conservati nella chiesa di Sant’Alessandro. Quelli in legno, attribuiti al Garavaglia, sono ricchi di fregi e statuette. Eccoci infine alle cantorie con organo. Il duomo di Milano ha due cantorie: la prima disegnata dal Pellegrini – con raffigurazioni di angeli cantori – e da Giovanni Maria Piantavigna (1552); la seconda eseguita da Cristoforo Valvassori e terminata nel 1588. Bella è anche la cantoria dell’Albertolli, posta sopra la porta d’ingresso della chiesa di Sant’Alessandro, mentre di forme neoclassiche è quella di San Fedele. Opere in legno, semplici e grandiose, a torto catalogate fra le arti minori: altari, statue della Madonna e dei santi, credenze istoriate, pulpiti, panche, inginocchiatoi, porte d’ingresso grandi e piccole, reliquiari, tabernacoli, candelieri. Una fantastica raccolta di lavori eseguiti, nel giro di qualche secolo, da artisti famosi e da artisti sconosciuti; tutti accomunati da sapiente manualità e da sicura fede.
(Federico Formignani, giornalista e scrittore)