LE CANZONI DEL SIGNOR DARIO FO al Teatro Gerolamo. Un omaggio di Giangilberto Monti al Premio Nobel che fece della nostra città la culla delle sue creazioni

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Com’è bello il bianco e nero. E com’era bella la Milano in bianco e nero. E in “total look black”, dalla piccola lobbia alle scarpe (unica eccezione una sciarpa rossa e una viola, morbidamente accomodate attorno al collo), entra in scena Giangilberto Monti, cantautore, scrittore e drammaturgo, milanese doc, per introdurre un artista totale, drammaturgo e attore, regista e scrittore, autore e illustratore, pittore e scenografo, comico ma anche attivista, nato a Sangiano, in provincia di Varese, che fece della nostra città la culla delle sue creazioni. Eccolo, ora, in una grande foto proiettata sullo sfondo, il volto coperto a metà da una maschera e sotto il suo sorriso ironico. È il Dario Fo degli esordi, anni ‘50, in costume di scena o ritratto accanto a Franca Rame, compagna di una vita sia nella stesura dei testi sia nell’allestimento degli spettacoli, così come nell’impegno sociale e nella lotta politica. E in questa serata con la quale il Teatro Gerolamo rende omaggio all’inventore di un particolare linguaggio teatrale noto in tutto il mondo, il “grammelot” (e tuttora l’autore italiano più rappresentato all’estero), esordisce Monti: “Siamo qui per cantare le sue canzoni (ben 250 sono state le sue composizioni), per dirvi come sono nate e quanto la musica abbia sempre accompagnato i suoi spettacoli”. E mentre i ritratti si susseguono sullo sfondo, Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi, sul palco attacca la musica di “Ma che aspettate a batterci le mani”, nata appunto dalla collaborazione con il Maestro Fiorenzo Carpi, così come “Hanno ammazzato il Mario” e “Il giovane di Tunisi”. E poi, in contrapposizione al cabaret dei Gufi, ecco il cabaret dei Dritti, con Franco Parenti e Giustino Durano, e nel 1953 “Il dito nell’occhio”, proposto come rivista, ma in realtà satira sociale, e l’anno successivo “I sani da legare”, “per il quale (la voce di Giangilberto Monti continua nel racconto) Giorgio Strehler suggerisce a Carpi di comporre degli stacchi musicali fra uno sketch e l’altro. Di nuovo musica, con “La luna è una lampadina” (con uno sguardo a quella bella soubrettona, la Franca) e un pensiero a “quant’è bela Milan”. “Questo spettacolo “, ricorda Monti “era stato presentato prima del Covid con una grande orchestra”. Ma ora, sull’intimo e raccolto palcoscenico di quel gioiellino che è il Teatro Gerolamo, sono il pianista Fabrizio Bernasconi e il trombettista Marco Brioschi, definito “Il Chet Baker italiano”, a raccogliere gli applausi. Accanto a loro non poteva mancare colui che dà il nome alla formazione, Paolo Tomelleri al clarinetto, accolto con calorosissimi applausi quando ricorda come, con i pochi mezzi di allora, tutto si faceva nella casa di Papà Tomelleri, prove comprese. E a sorpresa, a completare la Paolo Tomelleri Jazz Stars, dalla platea si catapulta sul palco il batterista Alessio Pacifico che, da grande professionista, perfettamente a suo agio suona con le sole bacchette percuotendo sedia, tavolino e bicchiere. “Non fare tilt” o “La forza dell’amore” o “Stringimi forte i polsi”, che Franca Rame aveva giudicato la più bella canzone d’amore scritta da Dario Fo. I ricordi si susseguono, entrano in campo nuove collaborazioni. Accanto ai grandi successi sulla scena, come “Gli arcangeli non giocano a flipper”, al Teatro Odeon di Milano nascono le nuove conoscenze, ad esempio quella con Enzo Jannacci. E di pari passo gli spettacoli in televisione, fino alla Canzonissima del 1962, con il Maestro Gigi Cichellero e la regia di Vito Molinari, interrotta bruscamente. Ma poi la Rai richiamò Dario Fo, quindici anni più tardi, con la meravigliosa avventura della Palazzina Liberty e la messinscena di “Mistero Buffo”, il suo capolavoro. Da non dimenticare che il 1964 assiste al debutto di uno spettacolo fondamentale nella storia della canzone popolare italiana, “Bella ciao”, con Giovanna Marini e Michele Strano, e una compagnia di giovani cantori che poi daranno vita al Nuovo Canzoniere Italiano. Abbiamo lasciato alle spalle la nebbia e la fuliggine degli anni ‘50, superato i ‘60 e siamo arrivati ai ‘70. Giangilberto Monti imbraccia la chitarra e intona, invitando il pubblico a unirsi a lui, “Ho visto un re”. Senza dimenticare l’esperienza del cabaret al Santa Tecla e al Derby o gli incontri con Enzo Jannacci (“Veronica” o “Vengo anch’io no tu no”) e Fabrizio De André (da una ballata medioevale a “Via del campo”). E poi i giornalisti Beppe Viola, Gianni Brera e Sandro Ciotti, e nuove composizioni, quali “Prete Liprando” e “Il giudizio di Dio”, “L’Armando”, “T’ho compràa i calzett de seda”. Alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Letteratura, nel 1997, Dario Fo ha citato Ruzante e Molière come i suoi maestri; Giangilberto Monti ha omaggiato il suo maestro scenico con una selezione delle sue canzoni la cui finalità può essere ben riassunta nel titolo di un suo spettacolo: “Ci ragiono e canto”. In scena fino a domenica prossima, il 13 ottobre, Lucia Vasini presenta l’omaggio del Teatro Gerolamo a Franca Rame con “Il tempo dei miracoli”, Giullarate da “Mistero Buffo” di Dario Fo e Franca Rame, diretto da Mattea Fo.

Elisabetta Dente