I Pizzigoni sono una famiglia, una vera, grande famiglia lombarda. La loro vita si svolge tutta attorno al salumificio, il Salumificio Pizzigoni, appunto. Un capostipite, Adelmo; un figlio, Carlin; un nipote, Robi. Ma oltre la campagna, le stagioni che si susseguono, qualche scappatella per i componenti maschi, un’amante, o forse più di una, la vita riserva uno scorcio d’altro, una musica che viene da lontano, da epoche diverse, dalla fisarmonica (Daniele Di Marco), uno strumento antico come il mondo, come testimonia l’origine greca del suo nome. Eppure capace di note leggere, lievi come i fiocchi di neve che si depositano ovunque, senza fare rumore. Sì, perché l’attività dei Pizzigoni ruota anche attorno alla Balera, termine tradizionalmente legato all’italico Settentrione e che deriva dal verbo ballare. Pochi o tanti, i passi di danza compiuti dai Pizzigoni, non è dato sapere, ma in ogni caso passi audaci, perché alzarsi dalla sedia e scendere in pista è un atto di coraggio, vuol dire mostrare i muscoli, significa offrirsi allo sguardo e al giudizio altrui, affrontare smorfie, risatine, commenti, mantenendo intatta la propria dignità in nome della musica, quella di una chitarra (Alessandro Centolanza) o di un contrabbasso (Gianmarco Straniero). Come in “Ballando ballando”, il film di Ettore Scola del 1983, così ricco di atmosfere, a cui si ispirano il testo e l’allestimento di NUOVA BALERA PIZZIGONI, di Emilio Russo, i personaggi che frequentano e animano Vedano al Lambro, le sue piccole attività e i ritrovi della vita quotidiana, la Trofea o Zefirino, figurine che sembrano uscite da un quadro naif, sono quelle che sentono scandire la loro vita dalle musiche dell’epoca, da quelle del primo ‘900 alle marcette del Ventennio, dal “Tango della gelosia” (1930), a “Perfidia” (1940), da “Ma l’amore no” (1942), fino ad arrivare a “Non arrossire” (1961). Ma facciamo un salto indietro nel tempo, tuffandoci proprio in quella neve che senza chiedere permesso a nessuno iniziò a imbiancare Vedano un sabato pomeriggio del gennaio 1985 per oltre 72 ore consecutive, fermando come per un incantesimo tutto e tutti, tranne Ivana, la barista della balera, che incurante della fatica di camminare nella spessa coltre bianca e del freddo esce quella sera chiudendo dietro di sé oltre la porta di casa la tristezza e la solitudine per recarsi là, dove la musica ha appena iniziato il suo letargo e al tempo stesso è già pronta a risvegliarsi. Proprio lì, Ivana scopre di non essere sola. Come avvertiti da un comando prestabilito, emuli dei manichini di un Museo delle Cere, i ballerini cominciano a muovere i primi passi, a cui danno a poco a poco la forma e la consistenza di un vero e proprio balletto. E le parole accompagnano le danze, dai primi timidi abboccamenti a movenze più sicure, da un no cortese a un sì convinto. NUOVA BALERA PIZZIGONI potrà vivere ancora qualche anno felice e vedere il ritorno di dolci primavere, prima che le neonate discoteche ingoino le prime timide strette di mano e i primi passi incerti. La vita stessa, del resto, è un passo di danza, mentre il tempo vola, e se sbagli un movimento sii comunque fiducioso: non chiedere alla neve di insegnarti a cadere, ma di farti intravvedere un raggio di sole, nuovi desideri, nuovi sogni, nuovi incontri, come quelli con i ballerini scesi dalle tavole di legno della balera in platea per ballare con il pubblico e per ricevere, come tutti gli interpreti, i meritati applausi. NUOVA BALERA PIZZIGONI ha debuttato ieri in prima nazionale al Teatro Menotti e resterà in scena fino a domenica 22 giugno.
Elisabetta Dente