Anche se qui non è il servitore di due padroni, Arlecchino si ritrova sempre a doversi confrontare con equivoci, musi lunghi, sotterfugi, invenzioni linguistiche, mimiche, salti, piroette, duelli paventati o evocati e una fame atavica, che di quando in quando fa capolino tra una scena e l’altra, come nella migliore tradizione della Commedia dell’Arte. Perché proprio di Commedia dell’Arte si tratta, quella che il vicentino Stivalaccio Teatro, nato nel 2007 come Compagnia di Teatro Popolare, difende e propone nelle sue rappresentazioni, che attingono a un patrimonio secolare tipicamente italiano. In Italiano, oltre che in vernacolo, sono infatti i loro testi, nei quali i nove attori che compongono la compagnia danno prova, non solo di possedere la lingua, ma anche i movimenti ginnici, il canto, la danza, la lotta e naturalmente la recitazione. E questo ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO, al Teatro Menotti fino a domenica 12 maggio prossimo, nasce dal canovaccio omonimo di Luigi Riccoboni, uno dei testi più rappresentati nella Parigi del Settecento. Arlecchino deve destreggiarsi con arguzia e intelligenza fra due coppie di innamorati, dal carattere a volte ispido, a volte sornione, una intrigante mercantessa di stoffe, un Pantalone de’ Bisognosi guardingo, in una scenografia girevole fra cambi di luce ad hoc e musiche suonate dal vivo dai vari attori, tutti esperti in chitarre, tamburelli e fisarmoniche, ma anche in arnesi da cucina della quotidianità (un coperchio, una pentola, uno scolapasta), dai quali scaturiscono ritmi e sonorità esilaranti. Qualche entrata in platea e qualche discesa dal palcoscenico fra il pubblico rendono lo snodo della vicenda ancora più accattivante. E se qualche indumento di un colore grigio più scuro sembra far calare un velo di tristezza sulle vicende dei nostri, mentre la quasi totalità dei costumi è di color burro (come il pan di zucchero di Arlecchino), con alcuni inserti sul marrone e sul beige, non temete: nessuno può pensare di mettere le catene all’amore (anche se Cupido talvolta sembra scoccare dardi a casaccio) e l’amore alla fine trionferà su tutto. In un baleno, Arlecchino si vede costretto ad entrare in una condizione di muto “per spavento”, appunto, ammiccando ed esprimendo una gestualità consumata, ma uscirà presto da questa nuova identità per rientrare nei panni di sempre: burlone, potendolo essere, ma sempre fedele, aspettando la benevolenza del suo padrone. Calorosi e ripetuti applausi, alla fine, non solo per Marco Zoppello, Arlecchino nonché regista della Compagnia, che saluta il pubblico con un “Viva il teatro, viva la commedia”. Bravi!
Elisabetta Dente