Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo dimenticare le tragedie del mare. Anche se qui non vediamo brandelli di legno pronti a testimoniare la presenza di un barcone, sappiamo però che quelle onde, ora amiche, hanno rappresentato solo poche ore prima, per molti, una sentenza di morte. La scena è vuota, nuda come le immagini che non vediamo, ma che sappiamo ricordare perché le abbiamo già viste tante, troppe volte, e sono rimaste impresse nei nostri occhi, prima ancora che nella nostra memoria. Ma la presenza di Saverio La Ruina, Dario De Luca e Cecilia Foti, in tuta nera davanti ai loro leggii, le evocano. E dal nulla affiorano volti, voci, il tramestio a bordo e tutto intorno a loro, nell’acqua nemica. La potenza della magia del teatro è anche questo: disegnare e dipingere nell’atmosfera di una scena nuda quello a cui tu, spettatore, puoi dare una fisionomia. E da una fisionomia appena abbozzata parte l’idea di Saverio La Ruina per la costruzione di un testo drammaturgico, tuttora un “work in progress”, per non dimenticare quello che accadde la notte del 26 febbraio 2023, in ore che dovevano essere di gioia, coincidendo con la fine del Ramadan. Ed è qui che il lavoro di La Ruina si ferma, per ora, su parole piene di speranza. Ma prima i tre attori hanno letto e recitato storie di vita e di speranza, incarnando o ricordando un racconto che è perennemente in equilibrio fra ironia e tristezza, in una prospettiva leggera, che affida a una chiave di lettura surreale l’interpretazione del morto e del vivo in un cimitero dove, come vuole la burocrazia, non esistono lapidi, ma cartelli contrassegnati da sigle provvisorie in codice, in attesa che il lavoro pietoso di identificazione attraverso particolari fisiognomici possa aiutare non solo l’anatomopatologa, ma anche i famigliari a riconoscere povere salme oltraggiate da salsedine e pesci. Ed ecco che accanto a un dialogo immaginario fra un camposantaro e un cadavere, un particolare descritto da Cristina Cattaneo nel libro “Naufraghi senza volto” offre lo spunto per la creazione di Kuramu e del suo sogno di venire in Europa, dopo un viaggio lungo due anni attraverso il suo paese e il deserto. Un destino che ha accomunato la vita di questo ragazzino dalla pagella cucita all’interno del giubbotto a quella di tanti altri migranti, o semplicemente esseri umani in fuga dalla guerra, dalla fame e dall’ingiustizia. Così, accanto ai neri di oggi, si staglia la figura del Dottor Schwarz, col suo fardello di sei milioni di morti nella Shoah. Tanti sono quelli tuttora in attesa di sepoltura, mentre il racconto continua per Saverio La Ruina e per Scena Verticale, una delle realtà più interessanti nell’attuale panorama teatrale italiano, nell’individuazione delle differenze culturali, etniche, religiose e politiche. KR70M16 – CUTRO (laddove la sigla evoca la provincia di Crotone, il numero dei morti e il sesso del protagonista, il ragazzo con la pagella) si replica al Teatro Oscar fino a domenica prossima, il 5 maggio.
Elisabetta Dente
(Nella foto: Saverio La Ruina)