Il nubifragio che si è abbattuto nella notte tra il 24 ed il 25 luglio scorso ci ha dato una serie di indicazioni importanti circa il funzionamento della macchina pubblica in caso di emergenze.
Siccome prevalentemente mi occupo di questioni inerenti alla sicurezza e alla militarità, provo ad esaminare il problema della grande messe di vegetazione abbattuta per cercare di capire la ragione per cui c’è voluto un mese e mezzo per ritornare alla normalità.
Premesso che le emergenze sono eventi che comunque si affrontano con uno strumento che si chiama “piano di emergenza”, poniamo che comunque l’evento di luglio sia stato dovuto esclusivamente al maltempo e quegli alberi fossero sani, potati regolarmente e con un impianto radicale adeguato, altrimenti usciremmo decisamente dall’argomento di questo scritto.
Quando una volta c’era un’emergenza, dal terremoto del Friuli a quello dell’Irpinia, si chiamava l’Esercito che interveniva in massa e, soprattutto, con mezzi specifici, pur rudimentali, ma era in grado di moltiplicare lo sforzo dei tanti giovani di leva. La prima esercitazione alla quale ho partecipato era relativa all’intervento per pubbliche calamità e in quei casi si predisponevano velocemente i messi e le dotazioni specifiche. Ricordo delle denominazioni fantasiose sul libro di carico dei materiali, della serie “zappatori del genio”, che era la più utile per gli interventi in emergenze civili. Alle pale e alle zappe si aggiungevano oggetti come le “pale batti-fiamma” e i “flabelli spegni-fuoco”, per finire con un improbabile ed esilarante “segone a due manici a denti stretti”, che serviva per segare, appunto, quanto ingombrava le strade.
Per fortuna, oggi l’Esercito, e più in generale, le Forze Armate, dispongono di reparti del genio che hanno mezzi e attrezzature speciali che possono intervenire validamente in molte emergenze. Qualcuno, in passato, aveva coniato il termine “dual use”, che lasciava intendere che le Forze Armate possono avere un impiego in operazioni militari ed operazioni in supporto della popolazione.
Il fatto è che a Milano (e in Lombardia) non ci sono reparti del Genio e nemmeno unità di manovra. Oltre al Comando del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della NATO (un Comando le cui forze, però, non stanno in Lombardia), ben poco è rimasto per le esigenze della nostra città e della nostra regione.
I militari che potete vedere in città vengono prevalentemente da altre regioni. Questo significa che se una tempesta si abbatte su Milano e bisogna sgomberare cinquemila alberi, semplicemente non ci saranno persone e mezzi, civili e militari, per ripristinare la viabilità, il Parco Sempione potrà essere nuovamente chiuso per un mese e agli angoli delle strade vedrete mucchi di rami che fanno bella mostra di sé.
Bisognerebbe fare uno sforzo per spogliarsi di una mentalità antimilitarista che ha depauperato le risorse a disposizione e di cui non si vuole valutare l’impatto per i cittadini. La presenza di militari in una regione così popolosa è un’opportunità che bisogna ricreare non solo per gli impegni che abbiamo assunto all’estero, ma anche per le nostre necessità che troppo spesso dimentichiamo.
Avere dei reggimenti di arma base, cioè persone sul terreno, dell’Esercito, possono essere una risorsa da utilizzare in caso di necessità. Se non le si ha o, peggio ancora, non le si vuole, bisognerà far venire reparti da altre regioni, che non è sempre una cosa semplice.
La macchina dello Stato, così tentacolare e complessa, ha sempre bisogno di uno sforzo regolatore che diminuisca gli enti di pensiero ed aumenti quelli di azione…
Gen. Francesco Cosimato